POST-NEOLIBERALISMO. UNA NUOVA NARRAZIONE
E quindi il Coronavirus dovrebbe cambiare il mondo. Ci siamo accorti che le cose non vanno bene, che la sanità pubblica è rimediaticcia, che “basta un virus” a scatenare una nuova crisi economica, che il pianeta sta morendo, che l’ossatura dell’unione europea è debole, il sistema economico è malandato, la classe dirigente è fiacca.
Ci siamo accorti cioè che il Neoliberalismo fa più danni della grandine. E però, ce ne eravamo accorti già nel 2008, quando, per sintetizzare, l’incontrollata concessione di crediti, che aveva creato l’illusione di essere tutti uguali di fronte alle banche, si sgretolò sotto i colpi delle insolvenze.
La Grande Recessione era l’occasione per cambiare una narrazione che aveva condotto allo scempio finanziario e alla miseria umana. Eppure, non è successo. Ci siamo limitati ad evidenziare il lato oscuro del Neoliberalismo. Perchè?
Perchè mancava, e manca tuttora, una diversa chiave di lettura della realtà. In altre parole, mancava una narrazione sostitutiva, in grado di spiegare il presente e progettare il futuro. Accecati dai bagliori del libero mercato, abbiamo dimenticato che vi sono altri modi di concepire il mondo. (Il valore delle cose, Raj Patel, Feltrinelli,2012).
Come se fosse una verità scientificamente provata, il neoliberalismo ci ha fatto credere che il mondo si divide in vincitori e perdenti. Chi non ce la fa, sua sarà la colpa con tutto quel che ne consegue. Abbiamo creduto che l’uomo, per sua stessa natura, è egoista, possessivo, lupo per l’altro uomo; che la competizione è un’inclinazione innata, un valore da coltivare nel lavoro, tra individui, tra Stati. Che l’individualismo è vincente e la collaborazione è buonista. Nella sfera economica abbiamo assistito ad una privatizzazione a tappeto, tagli delle spese come se non ci fosse un domani (che infatti è in equilibrio precario), ad un Mercato che ci viene presentato come se fosse una qualche situazione neutra e naturale, che non favorisce alcun soggetto in particolare, che ci influenza come la forza di gravità o la pressione atmosferica (George Monbiot)
Quando la Recessione del 2008 ci ha presentato il conto del fallimento, si è insinuato il dubbio che il Neoliberalismo fosse una storia già sentita, che la frase finale non sarebbe stata ” e vissero tutti felici e contenti”. Una storia sbagliata. Ma, in assenza di nuove coordinate, non abbiamo cambiato rotta. Ci siamo accontentati di una minestra riscaldata.
Il Neoliberalismo è una modernità superata, scrive l’economista francese Éloi Laurent, pretende di essere una spinta permanente al cambiamento e alla riforma, invece racchiude gli individui e i gruppi nel mondo così com’è, screditando le dissidenze e soffocando i pensieri nuovi. (Mitologie economiche, Feltrinelli, 2017). Una cosa però è chiara, afferma l’economista e giornalista britannico Raj Patel, non sarà il pensiero che ha provocato questo disastro a tirarci fuori dai guai.
Suona familiare? Direi di sì. Un’affermazione simile è proprio di questi tempi pandemici: non ci può essere un ritorno alla “normalità” perchè è stata proprio la normalità a condurci alla crisi. (Noam Chomsky)
Ora, non è che non sia successo nulla di rumoroso in questi anni. Diciamo che Éloi Laurent ci vede giusto quando parla di uno status quo talmente radicato e politicamente omogeneo da screditare le dissidenze e soffocare i pensieri nuovi. A destra come e a sinistra non c’è stata, e continua a non esserci, la volontà di creare una storia nuova, nè la sensibilità (ma anche l’intelligenza) di cogliere segnali che vengono da altre realtà.
UNA NUOVA NARRAZIONE
Perchè i pensieri nuovi, in fondo, ci sono. Un po’ sparsi, un po’ isolati e un po’ orfani di una leadership capace, ma ci sono. E tutti propongono una storia simile: il ripristino del bene comune, delle comunità, e di una politica che li tuteli; la ridistribuzione della ricchezza, la giustizia sociale, la collaborazione e la solidarietà come valori, una funzione coordinatrice dello Stato, la tutela dell’ambiente. Il valore della collettività contro l’assioma dell’individualismo. Come a dire (e si è detto), nessuno si salva da solo.
Su questi principi si muove, ad esempio, l’Internazionale Progressista, di cui abbiamo parlato su questi schermi.
E una storia simile, dal titolo La Restaurazione, la racconta George Monbiot, editorialista del Guardian, studioso del fenomeno neoliberalista.
Monbiot si appella proprio a quelle caratteristiche umane che la dottrina neoliberalista ha messo da parte: collaborazione e altruismo. E non è il solo. Contro il paradigma pseudo-scientifico della competizione come naturale inclinazione dell’uomo, gli antropologi Magnus Enquist e Olof Leimar, dell’Università di Stoccolma, oppongono un’altra verità: la cooperazione è limitata a poche specie mentre negli umani la cooperazione è all’origine del loro successo evolutivo nonostante vi siano sempre stati individui antisociali che cercano di non ricambiare i favori.
L’Homo Sapiens si organizzava in comunità per difendersi dai predatori, e ognuno aveva il suo compito: trovare cibo, tutelare il villaggio, accudire bambini e anziani.
La narrazione di Monbiot si basa sulla restaurazione del bene comune e il recupero dell’accezione di comunità. Un bene pubblico gestito da una comunità, sostiene, non può essere venduto nè dato via. I suoi benefici sono appannaggio di tutti. Da terra di saccheggio, la sfera pubblica deve trasformarsi in fonte di vantaggi collettivi, tutelata e gestita dalle amministrazioni locali. Se le decisioni possono essere prese a livello locale, non c’è ragione per cui si debbano prendere a livello nazionale. In questo modo si innesca una politica di appartenenza che, secondo Monbiot, potrebbe esercitare una forte attrattiva non solo su diverse realtà sociali ma anche sulla politica. Tanto la destra quanto la sinistra, afferma, hanno sempre cercato e coltivato la strategia dell’appartenenza. Sia chiaro però che per appartenenza Monbiot intende la costituzione di una rete di comunità diverse interconnesse, non di una rete vincolante che riunisca membri di uno stesso gruppo, come avviene, ad esempio, nei regimi dittatoriali. La chiusura ad altre comunità creerebbe infatti quello che Monbiot definisce l’effetto trappola. Per farla breve, ponti e non muri.
Da un’ angolatura architettonica, Massimiliano Fuksas lancia l’ipotesi di un Nuovo Umanesimo. Parla di riappropriazione della casa come luogo abitativo, di lavoro e tempo libero; di un intervento del governo nei piani dell’edilizia per includere un piano abitativo sociale, uno spazio comune all’interno dei condomini dove ci si possa incontrare, riunire, lavorare, oppure insegnare agli anziani le basi della tecnologia. Elementi che richiamano al concetto di comunità. A questo proposito, Fuksas rivaluta i piccoli centri come luoghi in cui, data una tecnologia moderna e funzionale, è possibile recuperare una dimensione umana e lavorare da remoto in maniera efficiente. Un’idea che richiede un investimento massiccio nella ricerca e nella formazione tecnologica, campo in cui l’Italia è mostruosamente indietro.
Ecco, forse non è la narrazione giusta, magari non è completa, o non è l’unica, oppure non ha un fantastico appeal. Ma è pur sempre una storia su cui cominciare a ragionare. O una storia da raccontare.
George Monbiot, Massimiliano Fuksas, neoliberalismo, Noam Chomsky, Nuovo Umanesimo, post-neoliberalismo, Restaurazione
Mi trovi d’accordo quasi su tutto.Per me e per spiegare più compiutamente quella che è stata ritenuta da decenni ”la normalità” occorrerebbe dare maggior peso all’affermazione di Noam Chomsky.Credo che avendo chiaro davanti agli occhi ciò che il sistema dove viviamo abbia prodotto e concepito come ”normalità”,la critica di tutto questo possa dare un contributo forte al cambiamento che molti dipiù di una volta oggi si augurano.Ma per cambiare occorre capire e qui il rischio è di fare il giuoco di chi a parole voglia cambiare(lo sentiamo tutti i giorni che a tener conto di ciò che naviga sui media vorrebbero quasi tutti cambiare) ma usando i mezzi forniti dal sistema invece si rischia che all’aumento della pressione per il cambiamento si aprano dei varchi nei quali si scarichi solo la violenza contenuta nella compressione che il sistema fà sugli individui.Vediamo con tale esempio e tocchiamo con mano ciò che manca per esempio in America al cospetto di quanto stà succedendo.Le folle della protesta che incendiano le città a seguito della morte della persona di colore soffocata dalla polizia. Ho un età che di queste cose ne ho viste a decine e decine soprattutto negli USA,dove il livello di cultura politica generale è ben lontano da quello dell’Europa senza alcun dubbio,-almeno come noi intendiamo la cultura- e quindi le manifestazioni di rabbia si sfogano contro uomini e cose ma non contro le ragioni essenziali di quel sistema che ha prodotto tutto questo soprattutto della concezione dei suoi fondamenti etico-economici(Ci si scaglia solo contro il razzismo ma non contro le prerogative ed i fondamenti di tale sistema non capendo e conoscendo che è proprio il sistema socio economico che per difendersi produca il razzismo,ma non solo).Quelle rivolte non spostano nulla in un mondo che fà riferimento solo ed esclusivamente alla libertà individuale che fra l’altro è misurata solo dai soldi posseduti ,ma non da quella sociale.La situazione che il Coronavirus ha prodotto fà certamente da innesco ma fin’ora nessun comportamento mediatico-se non quelli di piccolissime isole senza ascolto nel panorama generale- hanno prodotto una critica tendente ad avere una teoria per la quale il sistema possa cambiare.Ed a tal proposito ricordo che qualcuno disse:”Senza teoria non c’è Rivoluzione”.Eppure tutto questo sistema passa per ”democratico” agli occhi dei più, democratico in un mare di situazioni dove politicamente nella maggior parte del mondo di democrazia proprio tanta mi sembra che non ve ne sia.Si scopre quindi l’acqua calda che è il livello culturale delle persone che possa essere in grado di interpretare la realtà e proporre cambiamenti,poichè ancora una gran parte dell’umanità si trova ad uno stato di sottomissione ai grandi poteri economici e questo non è ” complottismo” ma realtà.Ecco cosa ha prodotto nel tempo la concezione ”del libero mercato” perchè è libero fino a quando non scoppino le contraddizioni in esso contenute e che esso stesso produce negli uomini.Dopodichè il sistema diventa da ”libero” ad oppressivo per la difesa di tutte quelle condizioni delle quali usufruiscono ristrette minoranze.Ci sono diversi livelli di libertà che facciano vedere il contenuto relativistico appunto della libertà democratica perchè credo che per la misura di questa si debbano usare in primo luogo i metri dei diritti umani.Se guardiamo sotto tale lente i paesi allora credo che potremmo considerare a sovranità limitata di diritti umani anche estensioni di territorio immensi come la Cina, la Russia, il Brasile, gli stati dell’Africa e dell’America Latina ma non si possa- credo- prescindere per tale considerazione, dalla loro storia recente e passata.E quindi il bollare di compressione dei diritti umani per usarli nella politica odierna dei blocchi penso che rischi di avere un senso limitato, che fotografa la realtà certamente e che abbia un valore,ma vederli a prescindere dal loro escursus temporale storico-economico e farne derivare una collocazione nell’elenco di buoni e cattivi sia un errore spesso voluto e cercato ad hoc.Perchè normalmente questo noi facciamo. Anche perchè tale elenco dove figuriamo tutti è usato da tutti per fare politica e tale politica è sempre finalizzata al raggiungimento di scopi e finalità-talvolta anche le più nobili(poche volte queste per la verità) ma per la maggior parte dei casi da politiche instaurate e portate avanti per non far terminare la cosiddetta ”teoria dello scambio ineguale”.Qual’è il contenuto più evidente di quanto immaginato essere ”lo scambio ineguale”? In una riduzione globale di risorse e di aumento della popolazione e di mancanza quindi di beni di consumo che il mercato offre a chi possa fruirne,lo scambio ineguale è soprattutto quello della concezione del lavoro che di per se stesso è creatore di ricchezza ma l’uso che se ne fà è invece quello della compressione. Fuori da tali ranghi è inutile cercare soluzioni, il sistema produrrà sempre guerre, contrasti, miseria ed emigrazione, inquinamento da produzione.Allora non vi sembra che debbano tornare alla mente le affermazioni di Chomsky per le quali si rifletta cosa abbia prodotto il sistema e quali siano le forze che hanno prodotto il mondo dove viviamo? C’è chi se ne frega e non li vuole considerare i massimi sistemi seppure riconosca che la necessità del cambiamento si faccia semprepiù urgente ma di sicuro dal momento che di tale situazione e con tale situazione ci campa(Occidente dove vige il sistema che lo fa mangiare due volte al giorno) non pone come diversità comportamentali l’andare verso altre situazioni dalle quali potrebbe scaturire il cambiamento, anzi, quando il cambiamento si possa presentare,opera per negarlo e trova ragioni per espandere la sua falsa e fedifrega politica anche verso i ceti meno abbienti in casa propria -nessuno escluso-.Il mondo ha proceduto di male in peggio proprio perchè è stata fornita scientemente tale teoria che è quella dell’implementazione e cioè che una cosa ne porti un altra e di per sè stessa non sarebbe una teoria da non considerare, solo che tale teoria produce risultati a seconda delle situazioni e di condizioni dove venga applicata.In un sistema del profitto le novità della tecnologia produrranno occasioni la cui finalità principale non è il benessere delle persone ma il profitto, illudendo chi lo sostenga che da tutto questo parallelamente si soddisfino i bisogni e possano derivare cambiamenti, elevazione di classi sociali,nuove opportunità…. Mi sembra che fin’ora così abbia funzionato il mondo ma da uno sguardo serio su di esso credo che emerga quello che vediamo e cioè che la Terra ha prodotto ciò che non può più contenere.E che tutto questo non può che terminare con un conflitto.C’è chi preme per questo e fin’ora i meccanismi che portano verso tale situazione i freni non li stanno usando.Tutti diciamo che vogliamo cambiare ma il cambiamento essenziale deve essere l’opporsi al procedere verso tale direzione non a ripristinarla e quindi quando diciamo che tutto cambierà dovrebbe essere tale intento essenzialmente nel non riproporre lo stesso mecanismo di sviluppo.In questo senso mi dichiaro catastrofista: ci riusciremo? Ne dubito alquanto….
Acuta,chiara, interessante come sempre. Bell’ articolo Elda ! Grazie.
Grazie Paola, sei sempre molto umana
Più che di fine ciclo del neo-liberalismo, parlerei di crisi forte del neo-liberismo. Il neo-liberismo è figlio della Tatcher e di Reagan a partire dagli anni 80 del secolo scorso. Anche in risposta ad alcuni eccessi del protagonismo dei sindacati operai degli anni 70, mette al centro l’interesse dell’individuo arrivando a negare perfino l’esistenza della “società”. Troverà in Milton Friedman e la scuola di Chicago dei teorizzatori estremi che influenzeranno a lungo il pensiero economico e la politica. Un potente alleato sarà poi il crollo dei regimi comunisti e la teorizzazione della “fine della storia” degli anni 90. Di fronte al crollo dell’unico modello economico alternativo storicamente realizzatosi, il modello capitalistico anglosassone si presentò come il modello vincente su scala mondiale, contagiando anche buona parte della sinistra riformista europea, compresa quella italiana. Sono gli anni in cui il PCI deve cambiare nome per non venire sommerso dal crollo del Muro di Berlino. Non avendo più un modello alternativo, si va affermando un turbo-capitalismo a trazione finanziaria che sfocia nei disastri della lunghissima crisi 2008 – 2018 originata dai mutui sub-prime. Senza aver dovuto nemmeno pagare dazio. Il tutto in un contesto di globalizzazione delle economie del mondo che ha innalzato il tenore di vita di milioni di asiatici ed ha ridotto il tenore di vita di milioni di operai e di ceto medio delle società occidentali. La situazione che precede il coronavirus è nota. Un aumento vertiginoso delle disuguaglianze (con una decina di uomini che detengono una ricchezza pari alla metà dell’umanità) che non è solo immorale ma che molti economisti (Picketty) sostengono essere di ostacolo alla crescita complessiva della ricchezza delle nazioni, uno strapotere della finanza sull’economia reale, uno strapotere dell’economia sulla politica. Infine, ma non per ordine d’importanza, negli ultimi tempi si è diffusa una maggiore consapevolezza dei limiti fisici dello sviluppo. Il problema è conosciuto da decenni (nel 1972 il Club di Roma pubblicò I limiti dello sviluppo), ma solamente il ripresentarsi dei disastri ambientali degli ultimi tempi, congiunti alla comparsa e all’efficacia comunicativa della diciassettenne svedese Greta Thumberg, hanno prodotto un cambiamento nelle opinioni pubbliche tali da consentire alla neo Commissione Europea di mettere la svolta green al primo posto delle politiche del prossimo mandato, insieme alla innovazione digitale. La speranza di molti è che queste politiche possano funzionare, creando benessere nel rispetto del pianeta e di tutti gli umani che lo abitano, salvando anche i livelli di libertà che le società liberaldemocratiche hanno garantito finora.
Grazie dell’attenzione e del contributo, Lele. In verità, non era mia intenzione affermare che siamo alla fine del neo-liberismo e/o del neo-liberalismo, che sono strettamente correlate, come giustamente dici, in quanto la dottrina economica è causa dell’ideologia. Piuttosto, il contrario. E cioè che l’ideologia neoliberalista non finirà fino a quando non ci sarà una narrazione sostitutiva (che implica una impostazione economica differente). Non ho parlato, ad esempio, del Keynesismo, periodo delle maggiori conquiste in campo sociale, perchè mi volevo soffermare proprio su una narrazione che stravolge i valori, o la pseudo-scienza, imposti dal neoliberalismo. Nel bell’articolo di The Vision, ad esempio, “Il Neoliberalismo ha distrutto l’idea di società” si percorrono le tappe dell’evoluzione fino alla crisi che, tuttavia, non prelude ad una distruzione totale. Non si profila cioè alcuna alternativa futura. Questo articolo vuole essere, invece, una riflessione sulla ricerca e costruzione di una nuova narrazione. E ho notato che le narrazioni diciamo “distruttive”, per quanto valide, attirano l’attenzione molo più delle narrazioni “costruttive”, quelle cioè che propongono, o evidenziano una visione alternativa
X Elda e Raffaele Battilana. Pur essendo aderente a Vs. ragionamenti sarei curioso che mi si rispondesse alla domanda che esprime Noam Chomsky e cioè quella evidenziata in grassetto sulla ”Normalità” che secondo le sue parole è proprio quella che ha condotto a questa ”anormalita” che vediamo. Nella Vs. valutazione, del resto più esplicita in quella dell’amico Battilana, non posso non notare quelle che secondo il mio modo di vedere e secondo come si debba a dar d’intendere che nella ” Normalità” venga trascurata quella che forse è la più importante riflessione da fare quando alla fine si loda il keynesimo ed il sistema delle libertà liberali in vigore in occidente e cioè quella che il processo di accumulazione della ricchezza che ha prodotto per almeno 3 secoli gli investimenti da parte del mondo occidentale sia stato strappato senza alcuna remora al terzomondo e che tutto questo grondi sangue di centinaia di milioni di esseri umani.Questo fatto perchè non viene considerato e nelle valutazioni oggi si prescinde da tale fatto?Perchè è proprio da tale condizione il fatto siano affluite MATERIE PRIME e RISORSE STERMINATE nelle epoche pre-coloniali(1500-1600) e coloniali(1700-1900) che hanno fatto si che al nostro interno in Occidente si sia sviluppato un sistema che ha costruito la tecnologia, la scienza su basi prettamente economiche,con l’industrializzazione e produzione conseguente di grandi flussi di ricchezze per le quali il grande flusso di TALE ENERGIA ha contribuito in misura straordinaria a lenire le contraddizioni sociali in occidente ed anche a DETERMINARE LA PACE SOCIALE, che pur ci sono state, ma comunque le stesse potenze coloniali, in primis l’inghilterra, la Francia e poi gli Stati Uniti hanno poggiato e potuto manovrare le politiche per le quali in almeno due secoli hanno raggiunto un potere straordianrio sia nel dominio tecnologico del mondo, nel produrre la scienza, le invenzioni ed anche le persone che sono state assegnate a controllare tali processi.In pratica,-estremizzando ma poi poi mica tanto- si può dire che il nostro sviluppo si sia basato e sia pervenuto e si sia appoggiato sul corpo degli altri ed anche con molte ferite da parte di tali ”altri”,dalle quali esce il sangue ancora oggi(lo vediamo con le guerre guerreggiate e/o guerre per delega…). Allora, quando specialmente l’amico Battilana conclude il suo discorso osannando ”il livello di libertà che le società liberal -democratiche hanno garantito fin’ora” dice una inesattezza per il semplice fatto che non è che non sappia quello che ho detto fin’ora ma lo sorvola,approdando ad una verità che a livello mondiale e di critica socio-economica ed anche politica, non è quella che dice che sia la fotografia della situazione.In pratica-ripetendomi- il nostro sviluppo che ha anche garantito delle libertà le ha garantite a noi nel complesso occidentale ma è basato sull’appropriazione piratesca delle entità di altre parti del mondo,che oggi si trovano esattamente-pur avendo all’interno di esse-aree di sviluppo e di appartenzenza tecnologica medio alta- rimangono sempre tributarie dell’occidente dal punto di vista economico-finanziario e di dominio politico.Allora, se viene definita questa-e sono d’accordo con Chomsky-la ”Normalità” che abbiamo perorato, percorso, inteso in tal modo noi in occidente, mi sembra proprio che tanta ”libertà” al mondo non l’abbia fornita,ed il discorso che ne deriva papale papale,con tutti quelli degli adepti che personalmente nella critica e nello studio sia al Keynesianesimo propendono per il ”miglior sistema possibile” dicano questo cosapevolmente celando la realtà vera di condizioni del terzo mondo.Ed certo che in tal caso possa valere il famoso principio della pancia piena e della pancia vuota”che recita che ”ognuno riesce a pensare a seconda del modo in cui si procura da vivere” che è il più importante principio del ”materialismo storico”, ma nello stesso tempo lo si sà benissimo-anche e soprattutto vedendo il problema in prospettiva- che quando ci viene detto che il liberalismo che assicuri che il miglior sistema per coniugare libertà individuale, ricchezze e sviluppo sia quello instaurato dalle società occidentali,non si faccia altro che stendere volutamente un velo pietoso sulla condizione degli altri, al punto che non è difficile farlo risultare una grande componente ipocrita di ciò che caratterizza il pensiero economico-politico moderno.Ed è su tale principio che gli uominie le nazioni si dovrebbero confrontare veramente perchè sennò è valido ciò che vediamo si produca e cioè quello che dopo i bei discorsi le condizioni umane non solo restano quelle che sono ma anzi invece di progredire vanno all’indietro.Ed è questa l’attuale fotografia della povertà psicologica,concettuale ed anche povertà politica ed etica,che tutti sappiamo essere la realtà questa, ma messi davanti al problema tendiamo a salvaguardare il nostro personale orticello.Qualcuno nel passato disse:. ”….ci si ferma troppo presto dopo i pensieri giusti, da qui tutte le incongruenze, discrasie ed avversità che sono nel mondo”.Ecco, credo che tale enunciazione potrebbe bene adattarsi a quella per la quale Chomsky abbia fatto quell’affermazione sulla ”Normalità”.Perchè tutti ne parlano come necessità di cambiare, ma quella di poter organizzare la vita sul pianeta regolando ed abbattendo gli interessi che hanno portato ad essere considerata quella che abbiamo vissuto da decenni e decenni come ”Normalità”, allora spesso- tranne la esigua minoranza di politici intellettualmente onesti e responsabili (che sono pochi) tutti gli altri svicolano perchè hanno capito che il loro ”status” dipende da quella condizione che ho prima detto sul significato di materialismo storico. Da tutto questo purtroppo ne deriva che mai nella storia le conquiste della maggior parte del genere umano siano state rettilinee, senza violenza,e che non abbiano prodotto traumi.Pienarsi la bocca di belle speranze risulta una condizione che porta a riconfermare a se stessi il prodotto di quella che è stata sempre nell’uomo e nelle sue organizzzazioni la supremazia di classe per la quale si è prodotta tale ”Normalità”.