VERSO IL POST CAPITALISMO. NASCE INTERNAZIONALE PROGRESSISTA
Il Covid ha aperto il vaso di Pandora. In soli tre mesi sono venuti a galla molti dei mali del mondo. La fragilità del sistema sanitario, l’insostenibile litigiosità di partiti, politici e governanti, l’incapacità dei paesi del globo di concordare un progetto solidale; il fallimento di un’ economia neoliberista, competitiva, individualista; la differenza abissale tra pochi ricchi e molti poveri.
La Storia dell’uomo è a un bivio. Siamo di fronte ad una scelta che Noam Chomsky ha descritto come “Internazionalismo o Estinzione”. Se non raggruppiamo le singole forze locali in un movimento globale dovremo arrenderci all’autoritarismo del capitalismo, che ci sta portando all’estinzione.
Non ci può essere un ritorno alla “normalità” perchè è stata proprio la normalità a condurci alla crisi. Alla luce di questa sfida esistenziale abbiamo il dovere morale e politico di organizzare una forza planetaria in grado di contrastare la logica espansionistica del capitalismo.
Con queste parole, il sito di Internazionale Progressista, l’11 maggio scorso, sollecitava la partecipazione ad una diretta video, un primo confronto sui temi che il movimento intende affrontare, dal titolo appunto “Internazionalismo o Estinzione”.
CHI È INTERNAZIONALE PROGRESSISTA
È un movimento globale voluto da Diem25 ( il partito europeo co-fondato dal parlamentare greco Yanis Varoufakis) e l’istituto Sanders —fondato nel 2017 da Jane Sanders, moglie del senatore democratico Bernie Sanders.
Oltre ai suoi fondatori ufficiali, l’organizzazione conta sull’appoggio di circa 40 sostenitori tra intellettuali, attivisti ed esponenti politici di tutto il mondo. Dallo statunitense Noam Chomsky, alla canadese Naomi Klein, il primo ministro Islandese Katrín Jakobsdóttir, il ministro argentino per le pari opportunità Elizabeth Gomez Alcorta; dirigenti latinoamericani come il brasiliano Fernando Haddad, candidato del Partido del Los Trabajadores, sconfitto da Bolsonaro nelle passate elezioni o l’ ex presidente ecuadoriano Rafael Correa. Ma anche la scrittrice Arundhati Roy, o la capitana della Sea Watch3 Carola Rackete.
Il progetto è stato varato lunedì 18 maggio con il lancio della piattaforma web, a cui si possono iscrivere sia persone singole che organizzazioni. Il sito è gestito da un team di traduttori, sviluppatori web, disegnatori, grafici e coordinatori, e si occupa di assistere gli iscritti, mettere in contatto le varie organizzazioni, pianificare e attuare azioni congiunte a livello globale.
Il sito specifica di essere finanziato dalle donazioni degli iscritti e di non accettare finanziamenti o partecipazioni di lobbies quali assicurazioni sanitarie, compagnie farmaceutiche, colossi del combustibile fossile,multinazionali tecnologiche e agroalimentari, enti finanziari, banche(con alcune eccezioni)
RAGIONI E OBIETTIVI
Internazionale Progressista nasce ufficialmente a Maggio del 2020 da un’idea in circolazione già dal 2018. La crisi sanitaria ed economica evidenziata dalla pandemia è solo lo tzunami di un oceano in subbuglio da tempo. Il settore pubblico, devastato da anni di tagli e privatizzazioni, non è stato in grado di dare una risposta efficace alla crisi sanitaria. Nient’altro che un’evidenza. Ma il malessere era già nell’aria.
Con maggior forza negli ultimi tre anni, ovunque nel globo si sono verificate, e si verificano, manifestazioni di protesta a difesa della democrazia, di condizioni di vita e lavoro dignitose, di salvaguardia del pianeta. Migliaia di movimenti sociali e politici sparsi rivendicano il diritto alla giustizia sociale ed economica.
Una crisi profonda che, secondo gli organizzatori di Internazionale Progressista, ha reso necessaria l’unione di tutte le forze progressiste in un movimento globale che tuteli il bene pubblico, i diritti dei lavoratori, la cooperazione tra Stati, e che allo stesso tempo getti le fondamenta di un mondo democratico, egualitario, solidale, ecologista, pacifico, prospero e pluralista, fondato su un’economia collaborativa ( vs competitiva). In una parola, post-capitalista.
L’organizzazione prevede tre livelli di azione: sensibilizzare la mobilitazione sociale, stimolare la riflessione intellettuale, promuovere l’idea progressista attraverso una rete di media. Fino ad ora hanno aderito al progetto le seguenti testate: The Nation (USA), Internazionale (Italia), Mediapart (Francia), Krytyka Polityczna (Polonia), Africa is a country, Brasil Wire, Lausan Collective (Hong Kong) e The Wire India
Elda Cannarsa
Bernie Sanders, Noam Chomsky, Organizzazioni internazionali, post capitalismo, Yanis Varoufakis
Che i tempi erano maturi per aprire una riflessione sul capitalismo, su questo modello di globalizzazione, sulla società fondata sull’IO e non sul NOI, era chiaro da un pezzo. Il maledetto virus, questo sig. Corona, ha fatto solamente saltare il tappo ad un pentolone che da anni bolliva rumorosamente. A dirla tutta, gli economisti seri, non quelli della scuola di Chicago, avevano detto fin da subito che le scelte che si andavano facendo oltre un quarantennio fa, avrebbero prodotto questi disastrosi risultati. Ma il vento impetuoso del liberismo, i Chicago Boy (quelli che furono chiamati da Pinochet subito dopo il colpo di stato, per buttare giù le linee guida di un capitalismo senza democrazia), gonfiava le loro vele. Quel nefasto pensiero teorizzato da Friedman, venne subito sposato dal FMI, che impose a continenti come l’Africa, l’Asia e l’America Latina, tagli drastici a quel poco di Stato sociale, che erano riusciti a darsi. Tagli quindi accompagnati dalla cancellazione di quasi tutti i Diritti civili, con l’apertura al commercio estero che soffocò le produzioni agricole di quei continenti, che si ritrovarono improvvisamente a vivere un nuovo colonialismo.
“Liberi di scegliere”, fu il suo best seller che ebbe certamente un grande impatto sull’opinione pubblica e sul rilancio della destra statunitense prima, e del mondo intero dopo. Poi seguirono altri slogan come “Via lacci e lacciuoli”, “Meno Stato, più mercato”, “Il Capitalismo, il Mercato, penseranno da soli a distribuire a tutti ricchezza e felicità”. Quindi una nuova divisione del mondo, da una parte Paesi come la Cina, dovevano e lo sono diventati, le grandi fabbriche del pianeta. Dall’altra tornare a rapinare continenti come l’Africa e l’America Latina. L’Occidente che doveva dedicarsi ai giochi finanziari, certamente la ricerca scientifica, però indirizzata in gran parte da interessi privati ovviamente, all’alta tecnologia. Da qui la pratica delle delocalizzazioni industriali in aree dove la vita di un essere umano vale meno di niente. Uno dei risultati collaterali di questa delocalizzazione, la scomparsa del ceto medio in tutto l’Occidente, precariato e bassi salari. Insomma sono venute meno le premesse perché il mercato funzioni, infatti è pressoché bloccato. Così come la Cina è stato senza dubbio uno dei Paesi che ha saputo cogliere l’opportunità che questo nuovo assetto mondiale, per diventare quella che oggi è: una grande potenza tecnologica e industriale. La democrazia no, quella al momento non è contemplata. Oggi quindi, stiamo assistendo alla bizzarria che vede il fallimento del dogma, il quale recita che un’umanità votata al proprio tornaconto, sarebbe stata capace di realizzare una società che consente a ogni individuo di raggiungere la propria felicità, di conseguire le proprie ambizioni. Oramai si parla della necessità di un nuovo patto sociale per realizzare sempre quegli obbiettivi di benessere e sviluppo per tutti. Io ritengo che non si possa uscire dal Mercato e dalla logica del profitto, la storia su questo punto si è espressa con chiarezza. Questo però non può rappresentare un alibi per nessuno per giustificare una rinuncia ad aprire una discussione su come costruire altri modelli economici che puntino a soddisfare meglio i bisogni dell’umanità intera e non solo di quella dell’emisfero Nord del pianeta.
Una materia quella dell’economia, che nei prossimi anni dovrà tornare al centro della riflessione politica, soprattutto della Sinistra, dopo che i fumi dell’alcol liberista hanno stordito anche lei per decenni, se si vogliono cambiare davvero i rapporti sociali in senso umanistico solidaristico. Sì, una nuova socialità è possibile.
Dunque provare ad avanzare ipotesi, progetti, che indichino la strada pe la costruzione di un altro modello il nome per renderla riconoscibile? Economia solidale di mercato. Ripartendo dal riaffermare senza imbarazzi, che ci sono delle pre-condizioni come la sanità, la scuola, la sicurezza, l’ambiente, i diritti, che devono stare alla base di questo nuovo Patto sociale. Il flagello del Neoliberismo, lo si potrà arginare e fermare, solamente se alla base della convivenza civile si affermeranno altri valori.