SI VIS PACEM PARA BELLUM… NO, CHI SPARGE ARMI PREPARA LA GUERRA

mercoledì 04th, maggio 2022 / 11:25
SI VIS PACEM PARA BELLUM… NO, CHI SPARGE ARMI PREPARA LA GUERRA
0 Flares 0 Flares ×

Si vis pacem, para bellum”, dicevano i Romani, che erano una potenza imperiale e imperialista. Si vis pacem, para pacem, è invece il motto dei pacifisti di tutto il mondo, almeno dal 1961, da quando lo studioso perugino Aldo Capitini si inventò la prima Marcia della Pace Perugia-Assisi. In quel momento era in atto la crisi dei missili a Cuba e il mondo era sull’orlo di una nuova guerra mondiale, 15 anni dopo quella che si era conclusa nel ’45, con l’atomica su Hiroshima e Nagasaki e con l’entrata dell’Armata Rossa a Berlino. Capitini propugnava un pacifismo attivo, basato sul dialogo e sulla pratica della nonviolenza. Ma oggi, con il conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina anche in Occidente e anche tra politici e giornalisti da sempre schierati sul fronte progressista è tornato in voga il motto romano “si vis pacem para bellum”, se vuoi la pace prepara la guerra. Vanno in questa direzione e seguono questa logica non solo l’invio di armi alla resistenza ucraina, sempre di più e sempre più potenti, ma l’aumeno delle spese militari fino al 2% del Pil, la ripresa della corsa al riarmo da parte di tutti i Paesi, la richiesta di paesi storicamente neutrali di entrare nella Nato… La corsa, detto in estrema sintesi, a dotarsi di strumenti sempre più “efficaci” e “precisi” come forza distruttiva di obiettivi militari, infrastrutture e, fatalmente, di esseri umani, come se questa fosse l’unica strada per garantirsi sicurezza e pace, quando invece la storia insegna che avviene esattamente il contrario, ovvero che preparare la guerra conduce, linearmente e semplicemente, alla guerra. Così come costruire e commerciare nuove armi prepara il terreno per il loro uso in conflitti, nuovi e vecchi. Lo ha detto anche il Papa nell’intervista al Corriere della Sera. Anzi il Papa ha detto pure di più. Ha detto che le guerre si fanno per per provarle sul campo le armi…

E questa è la tesi che espone anche Simone Siliani, direttore della Fondazione Finanza Etica di Firenze, sulla rivista on line Strisciarossa.

“Oggi – scrive Siliani – si viene informati che l’armamentario bellico italiano di terra – carri armati e obici – è vetusto e in non buone condizioni. Però questo abbiamo e, pazienza, alla resistenza ucraina dovremo mandare questo materiale. Ma sarà l’occasione per ammodernare, con nuovi e più efficienti, sistemi d’arma il nostro esercito. Fatto che dimostra alcune cose. In primo luogo che, come ogni macchina, anche quelle militari devono essere provate sul campo per essere mantenute in buono stato: cosa di meglio per farlo che una sana guerra guerreggiata? In secondo luogo, che questa terribile guerra in Ucraina è l’occasione per un regalo dello Stato alle maggiori industrie produttrici di armamenti in molteplici sensi”.  Regalo alle imprese, ma anche a se stesso: “Esentando dal pagamento dell’Iva le industrie del settore lo stato garantisce un mercato protetto interno per queste imprese (le maggiori delle quali partecipate significativamente dallo Stato, come Leonardo SpA e Fincantieri), favorendo uno sviluppo del mercato internazionale, ancora una volta garantito dallo Stato che autorizza il commercio verso paesi terzi attraverso il Ministero degli Esteri e al contempo, con la leva del Ministero della Difesa, permette di sviluppare nuovi e più efficaci prodotti da piazzare anche sul mercato internazionale, per poi prendersi la parte più consistente dei dividendi in quanto azionista di riferimento attraverso il Ministero dell’Economia e della Finanza.

Simone Siliani cita la relazione che il Governo è tenuto a presentare al Parlamento ai sensi della L.185/90 sul commercio delle armi, secondo la quale “l’Italia ha esportato complessivamente nel 2021 armi per 4,661 miliardi di euro, in leggero aumento rispetto al 2020. Fra esportazioni ed importazioni extra UE, il giro d’affari arriva a 5,340 miliardi, in aumento del 10,75% rispetto all’anno 2020. Esportiamo i nostri gioielli bellici verso 92 paesi paesi del globo, con un numero di autorizzazioni di 2.189. Il nostro miglior cliente è il Qatar che da 212,2 milioni di euro balza a 813,5 di transazioni. Il Qatar, fino al 2017 è stato nella coalizione guidata dall’Arabia Saudita nella guerra nello Yemen, definito dall’ONU il più grande disastro umanitario contemporaneo. Arabia Saudita che continua ad essere un buon cliente italiano: nel 2021 ha ricevuto 47,2 milioni di euro in armi italiche. Si noti che la L.185/90 proibirebbe la vendita di armi a paesi belligeranti. Ma nella classifica troviamo altri clienti problematici. Il Pakistan (203,7 milioni) impegnato nella guerra a bassa intensità nel Kashmir contro l’India (che da parte sua si prende 60,1 milioni di euro in armi italiane). L’Egitto che dai 992,2 milioni di euro del 2020 (quando fu campione di acquisti) scende ad appena 35 milioni: ricordatelo quando il nostro governo si straccerà le vesti per i diritti umani negati dal regime di Al-Sisi! La Nigeria, campione africano con 21,6 milioni di euro, paese impegnato su più fronti interni: a nord-est nel Borno contro gli islamisti, nel centro con le tensioni fra gli allevatori e le comunità agricole, nel delta del Niger dove si combatte per il controllo del petrolio e nel Biafra per reprimere le rivendicazioni di indipendenza. Ma anche in Europa con Cipro, cui abbiamo venduto 30,3 milioni di euro di armi italiane dimenticando, forse, che sarebbero i Caschi Blu dell’ONU a dover garantire la pace con la Repubblica Turca di Cipro Nord (il presidente turco Erdogan – sì, lui, quello che Draghi definiva un “dittatore” – ha dichiarato che “non esiste una nazione chiamata Cipro” e che, comunque, si prende 41,5 milioni di euro di armi italiane).

Secondo Siliani, insomma l’Italia che dice di voler lavorare per la pace, in realtà lavora per altre guerre…  “Noi, con il Papa e con nessun altro leader mondiale, pensiamo – scrive – che sia difficile perseguire fini di pace, con mezzi di guerra. La “logica” che presiede a questa illogicità umanitaria è quella fredda dell’economia. La finanza non è neutra”.

No, non è neutra e non sono neutre neanche le decisioni dei governi e dei parlamenti. Il dubbio che oggi si stia sfruttando il conflitto in Ucraina con il suo carico di morte e distruzione per far passare come aiuto umanitario una escalation della produzione e commercio di armi, e anche una logica di contrapposizione geopolitica che lo alimenti, è forte. Anzi, fortissimo. SE VUOI LA GUERRA PREPARA LA GUERRA. Ecco, è esattamente quello che stanno facendo quasi tutti.

m.l.

 

0 Flares Twitter 0 Facebook 0 Google+ 0 Email -- LinkedIn 0 Pin It Share 0 0 Flares ×
Mail YouTube