50 ANNI FA LA BOMBA ALLA CASA DEL POPOLO DI MOIANO. QUEL 23 APRILE IO ME LO RICORDO

martedì 23rd, aprile 2024 / 11:41
50 ANNI FA LA BOMBA ALLA CASA DEL POPOLO DI MOIANO. QUEL 23 APRILE IO ME LO RICORDO
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MOIANO – 23 Aprile 1974. Sono passati 50 anni esatti. Mezzo secolo. Eppure io me la ricordo bene quella mattina del 23 aprile del ’74. Facevo ancora il liceo. Quarto anno. A Montepulciano. Niente scuola quella mattina, perché poco prima che prendessimo il pullman in piazza della stazione, un tassista ci disse che era successa una cosa grave. Una bomba. A Moiano. Alla casa del popolo. Non si va a a Montepulciano, si va a a Moiano. Sciopero spontaneo, autoproclamato lì sul posto. Pochi giorni prima, il 18 aprile, data simbolo della vittoria elettorale della Dc contro il Fronte Popolare nel ’48, le Br avevano rapito il giudice Sossi a Genova. La bomba a Moiano, in una casa del popolo luogo simbolo della sinistra umbra (l’aveva inaugurata Togliatti 11 anni prima e l’avevano fatta costruire i fratelli Marchini, gli stessi che avavno regalato al Pci il palazzo di Via delle Botteghe Oscure a Roma, moianesi di origine), aveva tutta l’aria di un attentato di marca fascista. Erano i fascisti a mettere le bombe. Lo avevano già fatto a Piazza Fontana e alla Questura di Milano.

Andammo a vedere. Alle 8 di mattina c’era ancora fumo nell’aria, calcinacci., vetri rotti. Una porta metallica, quella di accesso ai piani superiori completamente distrutta. La lapide in travertino con scritto “Pci Sezione Palmiro Togliatti”  in frantumi. Qualcuno l’aveva già ricomposta lì da una parte, per terra. C’era gente incredula. Qualcuno aveva le lacrime agli occhi, e non per il fumo e l’odore acre di bruciato e di polvere. Una bomba a Moiano alla vigilia del 25 aprile. Il primo 25 aprile in cui alle manifestazioni per celebrare la Liberazione avrebbero parlato insieme esponenti del Pci, del Psi e della Dc e anche generali dell’esercito italiano. C’era stato il golpe i Cile, l’anno prima. Berlinguer parlava di “compormesso storico” per non fare la fine del Cile. Forse quell’embrione di unità nazionale ritrovata dopo gli anni duri della guerra fredda (che non era ancora finita) a qualcuno dava fastidio e così cominciarono le bombe, i rapimenti, le stragi…

A Moiano andò bene. Per fortuna. Non ci furono morti, né feriti, ma solo per un caso. Perché l’ordigno era potente. Un chilo e mezzo di tritolo. La miccia a lenta combustione utilizzata per l’innesco dell’esplosione durò più del previsto. O forse gli attentatori volevano solo mandare un avvertimento. La bomba infatti esplose alle 2,30 del mattino. Nella Casa del Popolo e nel bar della stessa non c’era più nessuno. Se fosse esplosa due ore prima sarebbe stata probabilmente una strage. Il tritolo era stato collocato nel pianerottolo di accesso, ma la parete distrutta dall’altra parte aveva il bancone del bar. Che fu devastato, ovviamente.

La mattina dopo, lì, davanti alle macerie molti  militanti di sinistra, ma anche tanta  gente comune radunatasi subito dopo l’esplosione e rimasta in strada. Incredula e incazzata.

A Moiano lo scoppio lo avevano sentito tutti. Molti, praticamente tutti, gli edifici circostanti erano stati danneggiati. Nessuno aveva più i vetri alle finestre. Anche le vetrate della chiesa, distante circa 200 metri, erano andate in mille pezzi per lo spostamento d’aria.

Il fatto di Moiano finisce in prima pagina su L’Unità. Che riporta la notizia che nella stessa notte altri ordigni simili sono stati piazzati e fatti esplodere a Lecco contro una sede del Psi, a Milano in una sezione del Pci e a Palmi in Calabria in una Camera del Lavoro. “Lecco, Milano, Palmi e Moiano, stessa bomba, stessa mano” è lo slogan più gridato nella grande manifestazione che si tiene il 24 aprile nella frazione pievese. Più di 10 mila persone.

C’eravamo anche noi, ragazzotti liceali che avevamo giustificato l’assenza a scuola del giorno prima con “sciopero per attentato neofascista a Moiano”. In effetti uno sciopero era stato proclamato da Cgil e Cisl.  Sciopero generale, ma solo a Città della Pieve. Dovemmo discutere un po’ per farla accettare.

Ricordo ancora nitidamente il presidente della Casa del Popolo, Fosmeo Imbroglini che dal palco gridò “C’hanno messo la bomba? noi siamo tignosi e la rifaremo meglio di prima!” E così fu. Due mesi dopo, il 23 giugno, la Casa del Popolo venne re-inaugurata dopo il ripristino realizzato anche tramite una sottoscrizione spontanea di quasi 30 milion di lire. All’epoca lo stipendio di un operaio era di 120 mila lire al mese.

Alla manifestazione avrebbe dovuto partecipare anche Enrico Berlinguer, segretario nazionale del Pci. Ma Berlinguer non venne, ufficialmente per una “lieve indisposizione”.  Si seppe poi che in realtà i dirigenti comunisti avevano giudicato troppo a rischio di attentati la terrazza da cui avrebbe dovuto parlare. Del resto un attentato lo aveva subito l’anno prima in Bulgaria. La scampò per un soffio.

Per la bomba di Moiano furono accusati i neofascisti di Ordine Nero, una cellula di Arezzo e Firenze. Tutti assolti dopo sette anni di procedimenti giudiziari. Ma per “insufficienza di prove”, non per “non aver commesso il fatto”. I neofascisti della cellula aretina, gli stessi che la notte dell’8 dicembre del ’70 aspettavano l’ora x del colpo di stato militare di Junio Valerio Borghese, davanti al piazzale della Sai a Passignano sul Trasimeno, pronti ad entrare in azione…

Uno di loro Francesco Bumbaca, tipo calvo e corpulento, fermato sempre nel 1974 su ordine della Procura di Montepulciano come uno dei sospettati per la bomba di Moiano e per altre “bravate” come gli spari ad una manifestazione sindacale a Montepulciano nel ’71, si dichiara “prigioniero politico” e per essere interrogato pretende di poter indossare pantaloni di orbace, stivali e camicia nera “come i camerati di Salò”, dice.

Il figlio del Procuratore della repubblica di Montepulciano era il mio compagno di banco al liceo. “Se non mettessero le bombe e non sparassero davvero, verrebbe da ridere. Ma da ridere c’è poco” mi disse la mattina dopo raccontadomi l’episodio. E lui non era un estremista d sinistra, come me.

Ecco quella bomba a Moiano, in una casa del popolo che tutti noi frequentavamo, pur senza avere conseguenze gravi, ci fece entrare in una nuova dimensione. Ci proiettò in un botto (o meglio, con un botto) in mezzo ad una tempesta che fino a quel momento avevamo visto solo in Tv e sui giornali. Quella bomba avvicinò la provincia periferica e sonnacchiosa, lenta nei movimenti e nella percezione degli eventi, calma e tranquilla, pure troppo, ai fumi e al clima rovente della prima linea che era, naturalmente, nelle grandi città, nelle cinture operaie, nelle università… Ci sentimmo anche noi improvvisamente in prima linea (minuscolo: la Prima Linea più tardi divenuta nota organizzazione della galassia del terrorismo roso doveva ancora salire agli onori delle cronache). La “strategia della tensione” di sui sentivamo parlare e di cui discutevamo nei collettivi studenteschi era arrivata anche a casa nostra. Capimmo che eravamo entrati nel vortice e che anche noi ragazzotti di provincia potevamo rischiare la vita. Lo capimmo ancora meglio un mesetto dopo, il 28 maggio, quando in Piazza della Loggia a Brescia una bomba simile, ma meno potente di quella piazzata a Moiano fece 8 morti e più di 100 feriti durante una manifestazione sindacale e antifascista.  Il 4 agosto ci fu l’Italicus, altra bomba, stavolta su un treno a San Benedetto Val di Sambro, tra Bologna e Firenze: 12 morti e 48 feriti.

Una cosa simile poteva succedere (avrebbe dovuto succedere) nel mese di maggio del ’75  sempre sulla linea ferroviaria Roma-Firenze-Milano, nel tratto tra Chiusi e Arezzo, precisamente nei pressi di Castiglione del Lago. Un ordigno esplode e fa saltare il binario, ma il treno carico di pendolari che vi passa sopra non deraglia. Come a Moiano l’anno prima, solo per caso o per fortuna non si verifica una strage. Anche quella bomba non è un gingillo. Sul banco dei sospettati sempre gli stessi. I neofascisti. Erano loro a mettere le bombe. E a cercare le stragi. C’era anche il terrorismo rosso, che ha fatto altre nefandezze. Ma le bombe per uccidere alla cieca, nel mucchio, facevano parte del bagaglio fascista, di quelli che sognavano e volevano i colonnelli.

Sono passati 50 anni, forse a Moiano e altrove la memoria si è un po’ affievolita. Ma siamo ancora lì, oggi, nel 2024, a discutere di fascismo e antifascismo, di censura agli intellettuali, con un partito erede del Msi, con la fiamma tricolore nel simbolo, primo partito nazionale e prima forza di governo del Paese, con una presidente del Consiglio che la parola antifascismo proprio non riesce a pronunciarla e quando sente parlare di 25 aprile le viene l’orticaria.

Invece bisogna avere memoria. Bisogna ricordare che c’è stato il fascismo che prese il potere con un colpo di stato, che uccise Matteotti e Don Minzoni, che picchiò a morte Gobetti e incarcerò Gramsci, Terracini, Pertini… Poi c’è stato il fascismo di Salò che aiutava i nazisti nei rastrellamenti, nelle stragi di civili come a Civitella in Valdichiana, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto e nelle deportazioni di ebrei e oppositori. E c’è stato anche il neofascismo stragista e golpista degli anni di piombo. Il fatto che negli anni di piombo a morire talvolta siano stati anche dei giovani militanti missini o di altre formazioni di estrema destra, come Sergio Ramelli, Mikis Mantekas o i due figli del netturbino Mattei morti nel rogo di Primavalle, tutti senza avere colpe specifiche, è certamente un fatto triste. Ragazzi anche loro, vittime della stessa strategia della tensione e di una aberrante logica di violenza che contagiò pure la sinistra. Ma ciò non assolve una destra italiana che voleva fare come in Grecia e come in Cile. E che ancora oggi, oggi che è al governo, non riesce a fare i conti con quelle vicende e a prenderne le distanze.

Ha ragione lo scrittore Maurizio De Giovanni: “Se dopo 79 anni dal 25 aprile ’45, non si riesce a pronnciare una parola, non è questione risolvibile con un buon logopedista. Antifascista. Non è difficile, ripetete con me: io sono antifascista.E quindi sono per la libertà di parola e contro ogni forma di bavaglio e di censura. E sapete perché? perché io sono antifascista.Ditelo, provateci, ad alta voce… Se qualcuno ha problemi a dirlo, il suo silenzio dice esattamente il contrario. Non so se mi spiego”. Ti sei spiegato benissimo Maurizio. Chiaro come il sole.

Ma il problema non è solo la “censura”, non è solo l’occupazione dell’informazione pubblica stile Minculpop o l’idiosincrasia per il contraddittorio e per le critiche, tutte cose che al governo in carica e alla sua maggioranza evidentemente calzano a pennello. C’è anche una questione di memoria e di conti da fare con la propria storia. Con un passato lontano e con un passato più recente. Quello che oggi, 23 aprile 2024, torna a rimbombare, come quell’esplosione alle 2 e mezzo del mattino alla Casa del Popolo di Moiano, esattamente 50 anni fa.

Marco Lorenzoni

  • Sulla bomba di Moiano, gli anni di piombo nel territorio a cavallo ra Umbria e Toscana, i tentativi di golpe e la presenza di cellule terroristiche nella zona, come primapagina abbiamo allestito lo spettacolo teatrale “Bianco rosso e nero” andato in scena nel 2012-2013, poi diventato il libello “Il vortice” edizioni Del Bucchia (2014) e editato il libro “Voce del verbo tradire” del 2021. 

 

 

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