ADDA VENÌ BAFFONE

venerdì 18th, gennaio 2019 / 12:38
ADDA VENÌ BAFFONE
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“Adda venì Baffone” ( dovrà pur arrivare il Baffone, cioè Stalin) è un detto popolare napoletano che risale al secondo dopoguerra, quando la Russia era vista come un paese libero e felice. Si invoca il Baffone per migliorare una situazione sgradevole.

Quelli che in Italia ci vorrebbe la dittatura sono una razza dura a estinguersi. Non hanno mai vissuto nell’ombra di un regime totalitario ma ad ogni dibattimento da apericena scodellano il nome di questo o quel dittatore servito con la solita minestra di luoghi comuni.

Quando c’era Lui non c’era la mafia e si lasciavano le porte delle case aperte, dicono con aria nostalgica, dipingendo idillici scenari di ordine e benessere cui non hanno mai assistito, scevri peraltro da riferimenti al “come” quel presunto paradiso sarebbe sceso in terra. Se citi di rimando, che so, Erich Priebke o Liliana Segre ti fissano con aria bovina. Echicazzoso’ dicono gli occhi che parlano più delle parole.

Si predilige l’Europa ma qualcuno si spinge oltre i confini invocando l’avvento di un Pinochet che, al netto dell’hobby della tortura, un’attitudine al crimine contro l’umanità, i desaparecidos, le madri di Plaza de Mayo e altre menate inventate dai comunisti che allora-il-PD?, era uno con le palle.

Perchè diciamolo, secoli di disquisizioni filosofiche su buon governo e doti del politico non hanno lontanamente scalfito l’autorità del testicolo. Il celodurismo di Bossi insegna che l’immagine vincente del potere è intimamente legata all’inguine maschile. Ragion (si fa per dire) per cui anche le donne vantano l’attribuzione di gonadi quando mostrano un piglio prevaricatore o semplicemente una dose più massiccia di determinazione.

In omaggio alla supremazia degli attributi, in Itaglia, e non solo, si chiama a gran voce un Capo che sconfigga la tribù dei magna-magna e ristabilisca la giustizzia con due zeta. Un uomo di Potere insomma, perchè gli uomini di Stato non sono capaci. Massa di buonisti senza palle, che te lo dico a fare.

E per i duri il fine giustifica i mezzi. La tortura? “giusto, perchè sennò non ti trovavi in quel posto lì, perchè se tu saresti dalla parte di chi deve dire la verità…”. La pena di morte? “Non vedo perchè no, mica è una bestemmia”. E l’istituto (nel senso di legge)  sull’aborto “da abolire perchè magari fanno delle cose solo per prendere gli stipendi, a parte che non lo sapevo nemmeno che c’era un istituto dell’aborto”, hanno dichiarato alcuni intervistati da Saverio Tommasi di Fanpage intervenuti ad una manifestazione leghista. Testimonianze da brivido che tuttavia hanno ottenuto meno spazio mediatico dell’incapacità di amare le cinquantenni di un francese con la crisi di mezza età.

Ci sono. Ci sono sempre stati ma oggi più che mai si sentono liberi di esternare la loro visione delle cose. Una visione che, se disgraziatamente dovesse tramutarsi in realtà, farebbe saltare proprio quella libertà che oggi gli permette di inneggiare ad autocrazia, morte e tortura perchè quando ce vo’ ce vo’. Un paradosso, ma non per chi lo ignora.

E ancor più paradossale è la certezza della propria immunità. I promotori del polso duro, da Mussolini a Pinochet, sono convinti della loro estraneità al marcio e dunque all’azione punitiva che ne conseguirebbe. Il pianeta dei magna-magna è altrove, di altri sono le colpe dello sfacelo in cui giace il paese. Certi che basti essere del partito giusto per essere dalla parte dei giusti.

Al filo-autocrate de’ noantri non sfiora neanche il pensiero che il tizio con le palle potrebbe non limitarsi a torturare e uccidere immigrati, islamici, dissidenti e magnamagna, ma anche chissà, i vegetariani perchè l’uomo vero è carnivoro, quelli più grassocci o quelli troppo magri perchè inquinano la razza, quelli che fanno yoga o quelli che usano cellulari di marca straniera perchè prima gli italiani. La dittatura funziona così: uno fa le leggi e comanda, gli altri obbediscono. Non c’è una logica e non esiste confronto.

“Le leggi, piacciano o meno, vanno rispettate”, ha detto Giulia Bongiorno, Ministro della pubblica Amministrazione ad una trasmissione di Otto e mezzo. “Ho obbedito perchè la legge dello Stato è la legge che devo seguire” ha detto Adolf Eichmann, il maggior responsabile e organizzatore delle deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento nazisti, al processo di Gerusalemme (1961). Un parallelismo inquietante che si fonda su un unico precetto: non pensare.

Non tutte le leggi sono giuste e non tutte le leggi sono sbagliate ma per arrivare ad un giudizio finale bisogna analizzare, ragionare, valutare. In una parola, pensare. E allora forse aveva ragione Hanna Arendt. Il male è banale. Fatte le dovute eccezioni non è frutto di alta somaraggine ma neanche di fini, malvagi intelletti. È semplicemente, banalmente assenza di pensiero:

[…] Quel che ora penso veramente è che il male non è mai “radicale”, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso “sfida” […] il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e, nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”. Solo il bene è profondo e può essere radicale. (H. Arendt, Lettera a Scholem, 1963)

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