L’ADDIO A MIHAJLOVIC, GIOCATORE, ALLENATORE E TESTIMONE DELLA FOLLIA DELLA GUERRA

domenica 18th, dicembre 2022 / 15:39
L’ADDIO A MIHAJLOVIC, GIOCATORE, ALLENATORE E TESTIMONE DELLA FOLLIA DELLA GUERRA
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ROMA – Oggi domenica, la camera ardente in Campidoglio; domani, lunedì, i funerali alle 11.30 presso la basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri a Piazza Esedra a Roma.  Come un politico di grido o un uomo delle istituzioni. Ma non  si tratta di un politico di grido, né  di un uomo delle istituzioni. Si tratta di un uomo di sport che se ne è andato a soli 53 anni. Si chiamava Sinisa Mihajlovic. Serbo, ma ormai molto italiano. Ultimo saluto nella Capitale perché da giocatore ha militato sia nella Roma che nella Lazio. E anche nella Samp e nell’Inter. Da allenatore ha guidato Bologna, Catania, Fiorentina, nazionale della Serbia, Sampdoria, Milan, Torino, Sporting Lisbona e ancora Bologna…
Mihailovic, il mago delle punizioni che calciava come pochi altri. Un guerriero in campo, in panca e fuori. Simpatico no, tutt’altro. Ma uomo vero, che non ha mai dimenticato da dove veniva. Cioè da una famiglia di operai, dalla Jugoslavia di Tito che non ha mai rinnegato, neanche dopo lo smembramento seguito alla Guerra dei Balcani. Un “mezzosangue” perché di padre serbo e madre croata, nato a Vukovar che adesso è Croazia e fu una delle città cruciali di quella guerra. Ma Sinisa era serbo nel midollo. Non lo ha mai nascosto. Anche quando lo hanno accostato, per antiche amicizie, a criminali di guerra come Zeliko Ražnatović , detto Arkan, ex capo degli ultras della Stella Rossa Belgrado diventato uno dei “signori della guerra”, capo di una formazione paramilitare spietata, accusato di pulizia etnica e altri misfatti, ucciso nel 2000…
Per dire chi era Sinisa Mihajlovic riportiamo uno stralcio di una intervista rilasciata nel 2009 al Corriere di Bologna:
“Il 24 marzo 1999 la Nato cominciò i bombardamenti sulla Federazione Jugoslava. Quando l’hai saputo? Dov’eri?
«In ritiro con la nazionale slava. La notte prima ci avvisarono che la guerra sarebbe potuta cominciare. Eravamo al confine con l’Ungheria, la Federazione ci trasferì in fretta a Budapest. La mattina dopo sulla Cnn c’erano già i caccia della Nato che sventravano la Serbia».
Qual è stata la tua prima reazione?
«Ho contattato i miei genitori, stavano a Novi Sad. Li ho fatti trasferire a Budapest, ma papà non voleva. Da lì siamo partiti per Roma (ai tempi giocava nella Lazio, ndr), ma dopo due giorni mio padre Bogdan ha voluto tornare in Serbia. Mi disse: “Sono già scappato una volta da Vukovar a Belgrado durante la guerra civile. Non lo farò ancora, non potrei più guadare i vicini di casa quando i bombardamenti finiranno”. Prese mia madre Viktoria e se ne andarono. Ero preoccupato, ma fiero di lui».
Dieci anni dopo come giudichi quella guerra?
«Devastante per la mia patria e il mio popolo. A Novi Sad c’erano due ponti sul Danubio: li fecero saltare subito. Ci misero in ginocchio dal primo giorno. Prima della guerra per andare dai miei genitori dovevo fare 1,4 km, ma senza ponti eravamo costretti a un giro di 80 chilometri. Per mesi la gente ha sofferto ingiustamente. Bombe su ospedali, scuole, civili: tutto spazzato via, tanto non faceva differenza per gli americani. Sul Danubio giravano solo delle zattere vecchie. Come la giudico? Ho ricordi terribili, incancellabili, inaccettabili».
Ma la reazione della Nato fu dettata dalla follia di Milosevic. La storia dice che fu lui a provocare quella guerra.
«Siamo un popolo orgoglioso. Certo tra noi abbiamo sempre litigato, ma siamo tutti serbi. E preferisco combattere per un mio connazionale e difenderlo contro un aggressore esterno. So dei crimini attribuiti a Milosevic, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresenta».
L’hai conosciuto?
«Ci ho parlato tre-quattro volte. Aveva una mia maglietta della Stella Rossa di Belgrado e mi diceva: Sinisa se tutti i serbi fossero come te ci sarebbero meno problemi in questa terra».
Il tuo rapporto con gli americani?
«Non li sopporto. In Jugoslavia hanno lasciato solo morte e distruzione. Hanno bombardato il mio Paese, ci hanno ridotti a nulla. Dopo la Seconda Guerra Mondiale avevano aiutato a ricostruire l’Europa, a noi invece non è arrivato niente: prima hanno devastato e poi ci hanno abbandonati. Bambini e animali per anni sono nati con malformazioni genetiche, tutto per le bombe e l’uranio che ci hanno buttato addosso. Che devo pensare di loro?».
Rifaresti tutto ciò che hai fatto in quegli anni, compreso il necrologio per Arkan?
«Lo rifarei, perché Arkan era un mio amico: lui è stato un eroe per il popolo serbo. Era un mio amico vero, era il capo degli ultras della Stella Rossa quando io giocavo lì. Io gli amici non li tradisco né li rinnego. Conosco tanta gente, anche mafiosi, ma non per questo io sono così. Rifarei il suo necrologio e tutti quelli che ho fatto per altri».
Ma le atrocità commesse?
«Le atrocità? Voi parlate di atrocità, ma non c’eravate. Io sono nato a Vukovar, i croati erano maggioranza, noi serbi minoranza lì. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme da un giorno all’altro si sparava addosso. È come se oggi i bolognesi decidessero di far piazza pulita dei pugliesi che vivono nella loro città. È giusto? Arkan venne a difendere i serbi in Croazia. I suoi crimini di guerra non sono giustificabili, sono orribili, ma cosa c’è di non orribile in una guerra civile?»
Sì, ma i croati…
«Mia madre Viktoria è croata, mio papà serbo. Quando da Vukovar si spostarono a Belgrado, mia mamma chiamò suo fratello, mio zio Ivo, e gli disse: c’è la guerra mettiti in salvo, vieni a casa di Sinisa. Lui rispose: perché hai portato via tuo marito? Quel porco serbo doveva restare qui così lo scannavamo. Il clima era questo. Poi Arkan catturò lo zio Ivo che aveva addosso il mio numero di telefono. Arkan mi chiamò: “C’è uno qui che sostiene di essere tuo zio, lo porto a Belgrado”. Non dissi niente a mia madre, ma gli salvai la vita e lo ospitai per venti giorni».
Hai nostalgia della Jugoslavia?
«Certo, di quella di Tito. Slavi, cattolici, ortodossi, musulmani: solo il generale è riuscito a tenere tutti insieme. Ero piccolo quando c’era lui, ma una cosa ricordo: del blocco dei Paesi dell’Est la Jugoslavia era il migliore. I miei erano gente umile, operai, ma non ci mancava niente. Andavano a fare spese a Trieste delle volte. Con Tito esistevano valori, famiglia, un’idea di patria e popolo. Quando è morto la gente è andata per mesi sulla sua tomba. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando».
Sei un nazionalista?
«Che vuol dire nazionalista? Di sicuro non sono un fascista come ha detto qualcuno per la faccenda di Arkan. Ho vissuto con Tito, sono più comunista di tanti. Se nazionalista vuol dire patriota, se significa amare la mia terra e la mia nazione, beh sì lo sono».
Ecco l’intervista a Mihailovich del 2009, 13 anni fa, è utile anche oggi. Non solo per ricordare il calciatore e l’uomo Mihajlovic nel giorno del commiato, ma anche per capire, per esempio, qualcosa di più di ciò che sta avvenendo in Ucraina da un anno a questa parte e ciò che è avvenuto in Ucraina dal 2014 in poi… Per capire che i nazionalismi balcanici e mitteleuropei non sono certo senza peccato, ma non lo è nemmeno l’Occidente. Per capire che la guerra è sempre una montagna di merda, da qualunque punto di vista si guardi.
E anche Luka Modric, leader della Croazia che è arrivata terza al mondiale in Qatar, già “pallone d’oro” e regista del Real Madrid, che la guerra dei Balcani la visse da bambino croato profugo, pur essendo di sponda opposta a quella di Sinisa, ha tante volte confermato l’aberrazione di ciò che successe in quegli anni, a ridosso del 2000, tra Belgrado, Zagabria, Mostar, Serajevo, Vukocvar, Bihac, Srebrenica…  Loro che pure hanno giocato o giocano ancora a pallone ad altissimi livelli, con contratti milionari, sono o sono stati comunque dei privilegiati, ma restano testimoni (importanti) di una follia. La montagna di merda l’hanno vista da molto vicino. Anzi ci si sono trovati coi piedi dentro…
m.l.
Nella foto (Fanpage): Sinisa Mihailovic sulla panchina del Bologna.
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