LA GENTE CHE NON ESCE DI CASA E UNA POLITICA CHE NON CERCA PIU’ L’EGEMONIA CULTURALE…

giovedì 27th, luglio 2023 / 19:18
LA GENTE CHE NON ESCE DI CASA E UNA POLITICA CHE NON CERCA PIU’ L’EGEMONIA CULTURALE…
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“E poi ti dicono ‘Tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera’.
Ma è solo un modo per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera”…

E’ una strofa de “La storia siamo noi”. Francesco De Gregori aveva già capito qual era il problema. La canzone è del 1985. Berlinguer era morto da un anno, e l’Italia scivolava su una china individualista e lui dava la colpa al qualunquismo. Che certo di colpe ne ha avute (e ne ha) e di danni ne ha fatti tanti. Qualche anno prima Lucio Dalla faceva risalire il problema al terrorismo: “Si esce poco la sera, compreso quando è festa, c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra”

De Gregori accusava la politica, il potere di cercare il modo di farci smettere di lottare, di protestare, di ribellarci e di farci stare “chiusi in casa la sera”. Erano già gli anni del riflusso, dell’edonismo reaganiano, della ricerca spasmodica del look giusto più che del benessere accompagnato dall’eguaglianza. Erano gli anni dell’esplosione delle Tv commerciali che dieci anni più tardi porteranno alla “discesa in campo” e all’ascesa al governo di Berlusconi. In sostanza però De Gregori tra le righe ce l’aveva con la sua parte. Con la sinistra che stava già cominciando ad abdicare al suo ruolo.  La mutazione genetica non è cominciata con Renzi, era già cominciata ai tempi del Pci. E qualcuno lo aveva capito.

E’ da allora che la sinistra in Italia è diventata un’altra cosa rispetto a ciò che era prima. Ed è da allora che la gente ha cominciato a pensare ad altre cose, non più alla rivoluzione, ma alla villetta bifamiliare in collina, ai giochi in borsa per far soldi un po’ più alla svelta, alla macchina un po’ più grossa e più bella della 128…

Oggi, a distanza di quasi 40 anni dalla canzone di De Gregori, in molte città e paesi, compresi i nostri (Chiusi, Chianciano, Città della Pieve, Castiglione del Lago ecc..) il problema principale è proprio quello di invertire la tendenza individuata dal cantautore, cioè far uscire la gente di casa. Farla tornare a fare comunità, a incontrarsi, a parlare. Oggi in un mondo molto più globalizzato e molto più tecnologico di allora, paradossalmente i social, le Tv on demand, la tecnologia diffusa e totalizzante stanno veramente chiudendo la gente in casa la sera. Tutti incollati al Pc, allo smartphone, allo schermo tipo home cinema della televisione. In sostanza siamo tutti ancora più soli, isolati, asociali di 40 anni fa.

Adesso nei nostri paesi è difficile trovare un bar aperto dopo le 21,00 (in alcuni casi anche prima delle 21,00) e i localini per turisti, laddove ci sono non compensano l’assenza, quelli sono, appunto, per turisti, non per la gente del luogo. Che infatti non ci va. A Montepulciano che pure brulica di gente, trovare un poliziano in giro la sera è fatto raro. Un pievese a Città della Pieve o un chiusino a Chiusi idem.

Tutto ciò accade perché siamo tutti  tutti qualunquisti, come cantava De Gregori nel 1985? Certo le ideologie e certe convinzioni e appartenenze, che c’erano 40 anni fa, adesso sono labili, se non morte e sepolte. O archiviate.

Ma come allora il problema è nel manico, cioè della politica che non fa più il proprio mestiere e ha smesso, anche a sinistra, di cercare di conquistare o mantenere quella che un tempo chiamava “l’egemonia culturale” ed era un chiodo fisso dei comunisti (dai tempi di Gramsci), ma anche dei socialisti e dei democristiani.

Fino alla fine degli anni ’80, primi ’90, le feste di partito erano l’evento più importante dell’estate, le più imponenti come richiamo, ma anche quelle dove era possibile trovare oltre a buon cibo locale, anche concerti di qualità, addirittura d’avanguardia; spettacoli teatrali, film, scrittori e giornalisti che venivano a raccontare cose rilevanti, gare sportive, stand libreria molto forniti. Insomma c’era una ricerca dell’innovazione, un tentativo di stare al passo coi tempi e con quanto di meglio e di più dirompente si muoveva nella società…

Se negli anni ’70-80 e anche ’90 una festa de l’Unità avesse proposto 10 giorni di liscio trash (con orchestre-spettacolo che nella maggior parte dei casi neanche suonano, ma fanno finta, utilizzando basi preregistrate) e niente altro, salvo qualche dibattitino striminzito con il segretario provinciale, il sindaco o un deputato di passaggio, ci sarebbero state delle sollevazioni.

Oggi alle feste de l’Unità (con l’Unità che dopo anni di chiusura è tornata in edicola, ma è un giornale privato) ci va anche molta meno gente. In qualche caso pochissima. Fa tristezza vedere i “villaggi” chiudere alle 23,30 con 20 persone che sciamano via…  Erano più vivaci quelle fatte con una porchetta, una damigiana di vino caricata su un’Ape, la griglia con le salsicce e la ruota in qualche frazioncina sperduta. Lì almeno c’era il sapore e l’odore dell’aia. E la fisarmonica (suonata) ci stava pure bene.

Il Pd, che è il partito erede del Pci e quindi il partito che organizza le feste de l’Unità non se lo pone neanche lontanamente il problema dell’egemonia culturale. Neanche ci prova. Eppure succede che  i volontari del Pd siano parte integrante e attiva nell’allestimento di manifestazioni diverse, ad esempio il Lars Rock Fest di Chiusi, che si è svolto una settimana prima della festa de l’Unità, nello stesso luogo, con le stesse identica strutture. Il festival rock è andato benissimo, grande partecipazione di pubblico, grandi band sul palco, grande organizzazione, e poi dibattiti su temi forti e attuali, 50 metri di libreria, mercatini, soluzioni green, possibile che a quegli stessi volontari e ai dirigenti del Pd non salti all’occhio la differenza? Il confronto, anche perché molto ravvicinato, è stato (è) impietoso. Ne emerge una fotografia impietosa del Pd. Un partito che non è più un partito, ma al massimo un comitato elettorale che si attiva solo per sostenere questa o quella candidatura.

Ovviamente il problema non è solo di Chiusi. Se si dà un’occhata ai manifesti della feste de l’Unità che ancora si fanno in giro nel comprensorio, sono tutte più o meno dello stesso tenore. Sembrano fatte con lo stampo. Non stiamo criminalizzando chi si fa il mazzo per allestirle le feste, né gli appassionati del liscio e dei balli da balera. Critichiamo il fatto che ci si fermi solo a quelli. Che il Pd, non la sagra della merangola, si fermi solo al liscio. Ballare si può ballare, volendo anche con il blues, con lo swing, con il rock& roll, con il revival.

Da queste parti il Pd è ancora quasi ovunque il partito di maggioranza e – diciamolo pure – l’unico che riesce a mantenere in piedi un minimo di struttura organizzata, delle sedi, dei gruppi dirigenti, l’unbico ce fa congressi e primarie (a destra o a sinistra del Pd di strutturato c’è poco o niente). E se il partito di maggioranza e quello più organizzato si appiattisce anche nelle proprie feste su programmi non solo politicamente poveri, ma  culturalmente trash il problema è serio. E non riguarda solo le feste de l’Unità. Riguarda il fatto che il Pd non si ponga il problema che la gente “sta chiusa dentro casa la sera”. E che i paesi stanno diventando o bistrot per turisti o dormitori desertificati. Ghost town dove anche negozi e servizi che un tempo c’erano adesso scarseggiano.

E demandare questi temi solo alle amministrazioni, non è la strada giusta. Li deve affrontare la politica. Ed è la politica che sta clamorosamente marcando visita.

m.l.

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