LA MALATTIA, I MEDICI, I MALATI E I FAMILIARI… UN CONFLITTO ACUITO DALL’EMERGENZA COVID

martedì 02nd, febbraio 2021 / 11:13
LA MALATTIA, I MEDICI, I MALATI E I FAMILIARI…  UN CONFLITTO ACUITO DALL’EMERGENZA COVID
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Sulla scia dell’articolo del Direttore di questa testata Marco Lorenzoni, relativo alla situazione dei pazienti ricoverati negli ospedali durante questo periodo di emergenza sanitaria mi risulta difficile astenermi dall’esprimere la mia solidarietà a tutti coloro che si trovano all’esterno delle strutture ospedaliere senza la possibilità di poter stare vicino ai loro familiari trattenuti per patologie non COVID.

Ovviamente tutta la comprensione possibile va al personale medico e sanitario che ha deciso di dedicare la propria vita alla cura degli altri e che, nella maggior parte dei casi,  fa con impegno e dedizione.

Passare i propri giorni migliori accanto alla sofferenza e al dolore è indubbiamente una scelta che implica coraggio, spirito di sacrificio e vocazione.

E’ un percorso che modifica l’anima e molto spesso la destruttura perché il dolore plasma affinché gli possa sopravvivere.

A causa della malattia di mia madre nel triennio 2012-2015 ho frequentato diversi ospedali e ho avuto la possibilità di osservare molti occhi, tutti differenti ovviamente, ma accomunati da una stessa costante, quel senso di finitudine, di blocco emotivo, di sbarramento.

Quegli sguardi dicevano tutti più o meno la stessa cosa: ”Io ci sono ma non posso garantire ciò che vorresti. Io sono un essere finito esattamente come te, non aspettarti da me la salvezza ma nella migliore delle ipotesi spera nella cura”.

Nella maggior parte dei casi erano occhi testardi e prudenti che hanno salvato centinaia di vite ma ne hanno viste altrettante spegnersi e che hanno profondamente compreso che la medicina non è altro che la vita che si prende cura di se stessa e che come tale ha un limite.

L’intervento medico è una lotta a tre che vede come protagonisti il malato, il medico e la patologia. Due entità che si tengono ben strette, unite, e che si coalizzano contro la terza sperando di avere la meglio.

All’esterno di questo campo di battaglia ci sono gli altri; ci siamo noi, i familiari che vogliamo a  tutti i costi partecipare al conflitto e a volte siamo ingombranti, inconsapevolmene ingombranti.

Ci collochiamo tra le nuvole e i sassi con tutte le nostre speranze e ci ancoriamo alla voce di chi sa, di chi conosce, di chi in teoria può, forse, fare qualcosa.

Cerchiamo di fidarci di qualcuno che non siamo noi e da lui farci guidare.

Riconosco che le nostre presenze sono un fardello in più da portare per chi le vive; le nostre domande sono una pesante scocciatura ma non ne possiamo fare a meno poiché se il medico risponde alla massima della scienza, il familiare risponde alla massima dell’amore ed è per questo che non riesce a restare al di fuori,  non può essere escluso.

I parenti dei pazienti sono talvolta ingestibili, ne sono consapevole; fare i conti con un dolore instabile non è facile, non siamo pronti, non siamo preparati, non abbiamo studiato medicina, per cui fronteggiare questo tzunami ci risulta impossibile. L’addestramento a questa pratica non è contemplato dal pensiero che per sua natura invece tende sempre, indiscutibilmente, alla ricerca della felicità.

Escogita vie, cela, nega, inganna, pur di raggiungere quello stato d’estasi attivatore di endorfine e quando arriva il dolore è completamente impreparato ad accoglierlo.

La nostra mente naufraga, si paralizza di fronte all’ignoto; cerca di volgere uno sguardo alla vita ma di punto in bianco non la comprende più a causa della  sua irruenta e selvaggia crudeltà.

Dovremmo smettere di cercare e allentare la presa, ma spesso non siamo ancora pronti a mollare la mano che abbiamo tenuto e trattenuto fino a quel momento.

Ci vestiamo di abiti che non sono i nostri, facciamo congetture, attiviamo meccanismi di difesa, studiamo, leggiamo, come non abbiamo mai fatto prima nella speranza di poter arrestare il tempo, di rubare qualche giorno, un’ora, una manciata di secondi.

Mi rendo conto che di fronte a questi atteggiamenti la scienza non possa far altro che sorridere e tenerci a distanza, ma in quegli attimi di vita rubati, di fronte a tutto il dolore possibile, risiede quella forza che comprende e gestisce tutte le altre, l’amore.

L’amore unisce e rivela, per amore si vive e si muore.

E’ la forza che può spiegare il Tutto e conferire significato alla vita.

Più potente che mai l’amore anima chi è esonerato da quella feroce lotta a tre e che mai come in quel momento cerca nel suo essere presente la possibilità di dilatare il tempo fino a quasi farlo fermare.

A questo punto non si è più né arbitri né spettatori, ma esseri nuovi che si avvicinano alla soglia dell’infinito per consegnare una parte di sé al vortice del Tutto e quel compito spetta soltanto a noi e a nessun altro.

Dopo l’atto di donare la vita, accompagnare al confine per lasciar andare la mano è forse l’azione più forte e potente che siamo chiamati a fare durante il nostro percorso di esseri umani; è una tappa che abbiamo il diritto affrontare per comprendere chi realmente siamo e verso cosa stiamo andando e non possiamo, né vogliamo esserne esclusi.

 Paola Margheriti

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