UN BEL GIRO D’ITALIA E LA PESSIMA FIGURA DEL TG1
Ieri sera, guardando abbastanza distrattamente il Tg1 ci son rimasto male, perché il notiziario della Rete ammiraglia della Rai non ha dato nemmeno la notizia di chi aveva vinto il Giro d’Italia. Trasmesso tra l’altro da Rai sport e tal Tg2 (sempre Rai) tutti i giorni per tre settimane. Ho avuto il dubbio che mi fosse sfuggito qualcosa. Che la notizia il Tg1 l’avesse data, senza che me ne accorgessi… Poi stamattina scorrendo facebook ho trovato un post di Luciano Fiorani che diceva praticamente la stessa cosa. Conosco Fiorani da una vita e so che di sport se ne intende. O per lo meno gli piace. E gli piace parlarne. Se anche lui ha notato con disappunto, il “buco” del Tg1, allora – ho pensato – non è stata una mia distrazione. Il Tg1 ha proprio preso una “topica” come dicevano un tempo Sandro Ciotti e Bruno Pizzul.
Per carità, c’è l’emergenza Covid che tiene banco, ci sono i Dpcm di Conte che fanno discutere. Ma come può la rete ammiraglia della Rai, non dare neanche la notizia della conclusione del Giro d’Italia? Chi decide la scaletta del Tg? Il Giro è una delle manifestazioni sportive (ma no solo sportive) più importanti. E’ un appuntamento con la memoria, con l’immaginario collettivo. Con la storia stessa di questo Paese. E’ anche uno spot straordinario per le bellezze e le peculiarità dell’Italia delle grandi città e dei piccoli paesi: quest’anno dalla Sicilia al Sestriere. Dalle pendici dell’Etna ai passi appenninici ai tornanti alpini, le salite del Giro hanno sempre sapore di leggenda. Chi ha più di 70 anni ricorderà ancora le imprese di Coppi, chi ne ha almeno 60 quelle di Anquetil e Bahamontes, Gimondi e Mercx, Motta e Adorni. Poi via via Saronni e Moser, Battaglin e Baronchelli, Bugno e Chiappucci, Hinault, Indurain, Pantani… Fino a Froome e i colombiani…
Negli ultimi dieci anni è stato Vincenzo Nibali il number one dei ciclisti azzurri. Un Nibali che non ha sfigurato neanche i questa edizione 2020, ma che a 35 anni suonati, ha dovuto arrendersi alla straripante gioventù di vari Geoghegan Hart, il vincitore a Milano, Hindley, Almeida…
Ma l’Italia ha trovato un campione assoluto, il più grande cronoman del momento, che però è capace di vincere anche tappe che non sono contro il tempo. Filippo Ganna sembra il nuovo Peter Sagan. E il Tg1 neanche gli dedica mezzo minuto? Uno scandalo. Tour de France e Giro d’Italia hanno consacrato una nuova generazione di ciclisti. Non solo i due vincitori, lo sloveno Pogacar vincitore a Parigi, l’inglese Geoghegan Hart, ma anche altri: i citati Hindley e Ganna, Almeida, Ben O’ Connor, Demare… Sta cambiando anche le geografia del ciclismo, ora vanno molto forte i francesi, gli sloveni, gli inglesi, gli australiani, gli americani e i sudamericani… Non più solo italiani, belgi e spagnoli.. Il ciclismo è uno sport duro, di grande fatica. Servono gambe, fiato e nervi saldi. Per vincere le grandi corse a tappe serve anche avere alle spalle una buona squadra e serve non farsi prendere dalla foga e dalla voglia di strafare, perché potresti pagarlo caro il giorno dopo… Vincere un Tour o un Giro a 22 o 25 anni è una grande impresa, riuscita solo ai grandissimi….
I giovani d’oggi seguono più il fantacalcio che il calcio giocato. Il ciclismo lo seguono poco, forse meno del calcio. Difficile sentire dei venti-trentenni discutere di una tappa al bar… La bicicletta sembra a molti uno sport d’altri tempi anche se le bici da corsa sono macchine ad altissima tecnologia. E il ciclismo ha ormai poco di epico e molto di sforzo programmato scientificamente. Eppure quando vedi i corridori salire sui tornanti delle Dolomiti, delle Alpi piemontesi o dei Pirenei c’è sempre quel pizzico di epopea, di eroismo che rimanda alle imprese storiche dei campioni del passato. E basta vedere la folla sulle strade (anche quest’anno, nonostante e restrizioni causa covid ce n’è stata parecchia sia al Tour che al Giro d’Italia) per capire che il ciclismo è lo sort popolare per antonomasia. Forse adesso è più difficile ricordarsi nomi dei corridori, ma il pathos è lo stesso di quando correvano Coppi, o Baldini o Gimondi… Da qualche anno si parla anche meno di doping. E questo è positivo.
Quest’anno, il Giro d’ottobre, anziché a maggio, è stato un’anomalia, ma ha aiutato a passare meglio i pomeriggi bombardati dalla seconda ondata dell’emergenza covid. E adesso che è finito ci mancherà. Come ci mancavano il campionato e la champions nei mesi del lockdown…
Il Tg1 non si è accorto di niente, ha fatto finta di niente e, diciamolo, ha fatto una pessima figura.
m.l.
Ho seguito alcune tappe del giro e ho rilevato alcune pecche sulla trasmissione TV. Ad esempio certi castelli, borghi, paesaggi, chiese e monumenti non sono mai stati descritti con un breve cenno. L’Italia è la nazione che vanta il maggior numero di siti eppure sono stati dimenticati. Non aiutavano certe scritte in bianco su fondo rosa.
Dicono che la RAI stia cancellando alcune rubriche come RAI Sport e Rai Storia.Non sorprende questa valutazione.Purtroppo rimpiangiamo l’era di Bernabei, democristiano,che privilegiava comunque le competenze per il bene della Azienda.Allora i politici rispettavano comunque i programmi e si ben guardavano da interferire pesantemente.In altri termini tutti avevano un po’ di spazio.Non c’era l’epoca del pensiero unico…
Da quando la RAI si trova tutti i soldi del canone in tasca sicuri, che interesse ha a pagare gli eventi? Ci guadagna il doppio! Facciano anche loro la PAY TV, così si accorgerebbe di quanto valgono…comoda la vita con i soldi in tasca chi glielo fa fare di sbattersi? Non lo facevano neanche prima, figurarsi ora.
Non guardo Tg1 e non me me pento affatto.un tiggi x un popolino di ignoranti
X Remo. Personalmente non sono sportivo e non seguo normalmente lo sport come invece lo fanno altri e sono sostanzialmente d’accordo con quanto si dice sul TG1 e TG3,ma non rimpiango affatto la gestione Bernabei perchè se anche appariva esercitata con più equilibrio rispetto ad altri avvenimenti era comunque e sempre dedicata alla formazione di un modo che portava acqua al sistema delle imprese e dello sviluppo che queste esercitavano nel paese italia, mettendo soprattutto in luce l’aziendalismo e molto marginalmente il sindacato come ossatura sociale ed i diritti che ne derivavano dalla sue lotte.Diciamo che erano altri momenti poichè nella società italiana c’erano anche altri problemi quali il terrorismo e l’inizio della polverizzazione sociale. Quindi si parla sempre di una gestione di parte molto ben offuscata ma funzionale al sistema, e tale posizione alla fin fine è quella che conta.L’ingrezzo del berlusconismo con le privatizzazioni e il porre in evidenza che il privato fosse più duttile si affermava anche per reazione a tale stato di cose.Il ”pensiero unico” al quale si fa riferimento nelle risposte date,è molt più avcentuato adesso e sono d’accordo, ma è più accentuato perchè è diminuita fortemente la reattività e soprattutto il senso critico degli italiani.Due bisogni che pongono solo in evidenza cosa abbia provocato nel sociale e quindi nella cultura una certa ”lotta di classe” espletata dai padroni del vapore contro quella che dicevano di espletare gli operai e le classi sociali meno abbienti. Siamo stati tutti inondati da notizie false e fabbricate appositamente per soddisfare un esigenza che ci hanno messo in testa: quella della possibilità dello sviluppo continuo.Mai cosa questa più fedifraga di questa ed oggi ne paghiamo lo scotto,ma ancora purtroppo vincente che ha avvolto anche la sedicente sinistra,l’ha fagocitata facendole cambiare il dna e provocando le conseguenze di ”tale pensiero unico”.Quando la facoltà critica si annebbia prevale il sistema. Ed allora di cosa ci si lamenta ?
X il Sig.Lorenzini.Alla base della sua dizione credo ci sia il concetto che” la fame aguzzi l’ingegno” per cui l’introito di una azienda se è sicuro perchè preso alla fonte(in questo caso con l’addebito sulle bollette enel) secondo lei e per quanti riconoscono valido codesto principio citato fra virgolette, porti il suo contrario( la sovvenzione pubblica) comunque a realizzare una tv scadente, arrivando perfino a propagandare la sottocultura sociale ad un popolo di beoti ai quali è stato imposto il pagamento del canone per legge e non è una libera scelta invece come quanto espresso dai canali privati ,i quali se uno li preferisca ed a seconda di quanta pubblicità raccolgano mandano nell’etere programmi di assoluta concorrenza affinandone la qualità alla destinazione finale dell’utente,rtealizzando alla fine un ampliamento del concetto di libertà. Secondo il mio non modesto ma modestissimo pensiero invece è tutto il contrario di quanto lei dice ,primo perchè innanzitutto è lo Stato che si pone il problema dell’elevazione culturale del proprio popolo(se lo faccia bene o male questo è un altro discorso che nulla ha a che vedere con la TV dei canali privati o di tale confronto fra stato e privati per il quale tali privati debbano lottare per portare a casa il cosiddetto ”lesso”) secondo,sempre rimanendo nell’ambito della Tv di Stato osserviamo che fino ad ora tale tv è stata si la spartizione fra i partiti e risente della politica che fanno tali partiti (perchè la fà politica, eccome se la fà)ma che invece dovrebbe essere esente da questa ed avere organismi autorevoli di controllo vero che non risentano affatto nè delle nomine nè delle fette ritagliate della torta ad appannaggio degli stessi partiti(clientelismo che è certamente una delle rovine dell’italia contrapposto però all’utilizzo privato dell’entità pubblica intesa come risorsa pubblica e sua occupazione e spartizione privata di entità come è l’etere ma anche una diffusione di una interpretazione culturale della politica fatta ad uso e consumo privatistico) cultura questa che porta generalmente se fornita su tali basi alla formazione di una cultura individualista che si afferma tendenzialmente su quella sociale.Un concetto quindi di arretratezza.Ma il concetto fondamentale su cui si basa la tv di stato è giusto e democratico e semmai il discorso da fare dovrebbe essere quello di un settore le cui uscite vengano integrate finanziariamente dallo stato.Il fatto degli introiti dovuti al canone dell’abbonamento dà al popolo italiano la certezza che la cultura che ne promana non sia quella del ”padrone” e che non sia finalizzata meramente al profitto privato. Questo almeno nominalmente .lasciamo stare che il mezzo di addebito del canone possa dare la certezza che tutti paghino ed era ora che si facesse.Trovo inoltre che il principio di spartizione dell’etere così come è stato realizzato tolga una parte di libertà al pubblico per trasferirla nelle mano del privato effettuata con irrealistici e non veri intenti di fruizione delle libertà.L’etere è uno spazio pubblico e credo che non possa essere oggetto di contrattualistica fra stato e singolo privato o privati a meno che non sia prevista una serie di regole ferree che riguardino la salvaguardia di quello che è chiamato ”servizio pubblico”.L’erosione difatti di tale status appena detto è proceduta di pari passo con il detrimento del concetto della ”pubblica utilità” che è avvenuto da qualche decennio sostituito progressivamente da quello per il quale ”il privato sia più agile, più libero, e che lasci una scelta più larga di programmi agli ascoltatori” che preferiscono la scelta a misura propria, anche con le pay-tv. E’ la stessa storia, chiaramente con aspetti paralleli e non simili del contrasto fra pubblico e privato nella sanità,fra pubblico e privato nel lavoro, fra pubblico e privato nella ricerca e fra pubblico e privato della destinazione sociale di tale ricerca.Sono campi diversi chiaramente, ma hanno un principio comune che cozza con una realtà globale che è quella delle risorse del pianeta che per quanto siano immense, sono limitate comunque, con l’uso che fin’ora si è fatto di tali risorse.Difatti a validare tale discorso basta guardare il globo e pensare a quanta gente possa nella realtà vivere decentemente e quanta indecentemente a cominciare dalle risorse che sono un bene naturale e cioè appartengono a tutti e la loro predazione da parte di chi con la prepotenza militare o politica se ne approria.Come vede nel piccolo(tv) ci stà il grande (sviluppo).E lo sviluppo mi sembrava che una volta negli anni 60 e 70 fosse stato considerato nel divenire del mondo come ” ineguale”, poi si è dimenticata tale caratteristica e natura proprio quando sono aumentati i pesi del privato sul pubblico a tutti i livelli, primo quello informativo e divulgativo ed oggi sembra che se lo sviluppo sia ineguale più nessuno se ne curi e pur sapendo che sia così,tutto questo lo si dia per scontato,quindi normale,a cui la nostra mente si assuefà.Chiedo a lei,-anche se siamo andati avanti col discorso d’origine-tutto questo rappresenta una evoluzione od una involuzione dal momento che il principio che si diceva all’inizio sul ”verbo divenuto monumento” che la fame aguzzi l’ingegno ? I discorsi che la fame venga soddisfatta a seconda del modo che dovrebbe decidere liberamente un popolo lasciano purtroppo il tempo che trovano e spesso anzi quasi sempre sono proprio quelli che permettono l’affermarsi della diseuguaglianza, perchè il meccanismo ormai lo si sà come funzioni e come e perchè i poveri siano diventati impotenti a scrollarsi di dosso il ”cravattaro”. E secondo me il”cravataro” è proprio quel modello che si diceva all’inizio.Vede come siamo andati avanti col discorso ? Ma già 150 anni fà (pensi quanto tempo è passato) quell’analisi su quel principio era stata enunciata da un tale che poi è stato dichiarato quasi deficiente,che si chiamava Karl Marx.Difatti poi si è visto come si è ridotto il mondo.Vede dalle corse in bicicletta dove siamo arrivati?