L’INDUSTRIA DELLA MANIPOLAZIONE. QUANTO COSTANO I “LIKE” E QUANTO AMPLIFICANO LA DISINFORMAZIONE
Anche i like, i followers o i commenti sui social network sono prodotti di consumo. Semplici da acquistare come il pezzo di ricambio di un aspirapolvere, una borsa o un libro, sono in vendita su siti online uguali a qualunque altra piattaforma e-commerce. Carrello incluso. Si sceglie il pacchetto desiderato, si inserisce il link del proprio profilo social, si paga, e nel giro di 24 ore i Mi piace fioccano a destinazione, gonfiando l’indice di gradimento. E si sa, i tipici utenti social nutrono maggiore fiducia per un contenuto che ha ricevuto un alto numero di Like.
In media, un pacchetto di 100 followers su Instagram costa cinque euro, 250 like ai post di Facebook 9,99, 100 fan di Twitter sui 20 euro. Instagram è il meno caro, Youtube il più costoso.
Oltre quella italiana, l’origine geografica dei pollici dopati è piuttosto variopinta. Sezionando i 12mila ( o 25mila) che magnificano i post di un Matteo Salvini qualsiasi, emergono sfilze di portoghesi, albanesi, ungheresi, bulgari, brasiliani, francesi, greci, belga, un tale Ukulg Ku, della Papua Nuova Guinea e un certo Bobou Tangara, originario del Mali. Un curioso caso di entusiasmo planetario per un politico italiano, oppure, più verosimilmente, un esercito di mercenari dei like. Ipotesi resa ancora più plausibile dall’ingente capitale che il divo del globo spende per i social.
L’ infrastruttura su cui poggia l’industria delle interazioni posticce è costituita dalla creazione di profili falsi, che possono avere problemi con la legge, non in quanto fittizi ma in quanto rei di esistere a scopo illecito come appropriazione dell’identità altrui, sostituzione della persona, pedofilia, stalking.
I più semplici sono i bot (diminutivo di robot). Non hanno foto nè contenuti, agiscono in base ad una programmazione del computer, sono relativamente facili da individuare, costano poco, e sono un ottimo sistema per far lievitare il consenso. Più complessi sono i profili che richiedono un intervento umano, per quanto minimo. Sono più elaborati, hanno una storia attiva e uno storico più remoto. Non è facile distinguerli dai profili reali.
Accessibile, efficiente ed economico, il mercato dei Like non comporta alcun rischio, se non quello di incappare in un fornitore disonesto che incassa ma non consegna. Per il resto, tutto legale. I siti pubblicizzano, vendono e riscuotono in modo del tutto trasparente.
Sta di fatto però che, mistificando il grado di popolarità, legittimano l’esercizio della manipolazione per fini commerciali o di propaganda politica. Un esperimento condotto da Nato Stratcom (centro di eccellenza Nato per le comunicazioni strategiche) rileva che se da una parte i contenuti politici di 4 profili su 5 attingono all’industria della manipolazione, dall’altra più del 90% di consensi dopati è a scopo commerciale. I casi più tipici sono quelli degli aspiranti influencer.
In sintesi, i social sono il campo di azione per chi vuole ottenere successi commerciali senza troppa fatica, e la nuova frontiera politica per pilotare il consenso elettorale, radicalizzare l’opinione pubblica, distogliere l’attenzione da discussioni di interesse pubblico.
È evidente, secondo la Nato Stratcom, che l’industria, negli anni, non è diventata meno accessibile. Anzi, è notevolmente cresciuta, con oltre un centinaio di fornitori, diversi impiegati e un reddito considerevole. Il pool coinvolto nell’esperimento ha acquistato circa 54mila interazioni senza alcun problema.
È vero che creare profili falsi è diventato più difficile. Sollecitati dalle agenzie di controllo della comunicazione, i social hanno rafforzato il sistema di individuazione e rimozione. Il lavoro della Nato Stratcom ha implicato la creazione di un certo numero di account fasulli, riscontrando poi che Facebook ne aveva rimosso l’80%, Twitter il 65%, Instagram (proprietà di Zuckerberg) il 50%, Youtube nessuno. Tuttavia, malgrado le segnalazioni, i tempi di rimozione sono molto lunghi. E non tutte le piattaforme si comportano allo stesso modo.
Ma sul fronte delle interazioni posticce i social non sono strutturati. Delle 54mila acquistate, diversamente distribuite su Facebook, Instagram, Twitter e Youtube, 4 su 5 erano ancora online un mese dopo l’acquisto. E nonostante la segnalazione, avvenuta successivamente, il 95% restava attivo. Il che dimostra, secondo il pool, che la stragrande maggioranza dei Like dopati non subisce alcun tipo di controllo.
Il problema è di vaste proporzioni. I social sono parte integrante della grande industria della manipolazione nella misura in cui, con una velocità e una precisione senza precedenti, agiscono da cassa di risonanza per le campagne di disinformazione di massa. A questo proposito, la Nato Stratcom sostiene che la sola azione di controllo da parte dei social non è, e non sarà sufficiente. È necessario regolamentare il mercato della manipolazione con l’intervento di leggi ad hoc. Perchè è chiaro che l’autoregolamentazione non funziona
Elda Cannarsa
manipolazione social, mercato Like, Nato StratCom