ADDIO A FRANCOISE HARDY, ICONA DEL ’68 PRIMA DEL ’68
Era rimasta lei. Le altre due se ne sono andate una nel 2022 e una nel 2023. Katherine Spaak, Jane Birkin e adssoo anche Francoise Hardy. Icone della musica e del cinema francese anni ’60. La Spaak per la verità era belga, poi naturalizzata italiana. La Birkin era inglese, naturalizzata francese. Francoise Hardy era francesissima. In tutto. Anche se ha cantato pure in italiano. Tre bellezze sconvolgenti. E dirompenti. Ma tutt’altra cosa rispetto alle starlette di oggi, che fanno a gara a chi mostra più centimetri di coscia e meno centimetri di mutande. Per carità, anche Elodie, Annalisa, Emma o Angelina Mango sono bellissime ragazze. E tutt’altro che oche. Però sfruttano troppo il look, ci giocano fino al parossismo facendo passare in secondo piano musica e testi delle loro canzoni. Quello che resta in mente è il reggicalze o lo slip vedo e non vedo, c’è o non c’è… Francoise Hardy, morta ieri a 80 anni, negli anni ’60, quando spopolava, cantava e andava in giro sì con la minigonna, ma più spesso con vestitini eleganti ma semplici, maglioni a collo alto un po’ esistenzialisti, qualche giubbottino di pelle nera come i motociclisti o l’impermeabile di gabardine… Niente di peccaminoso, eppure pochissime altre cantanti-attrici avevano il suo fascino. E quelle canzoni più sussurrate che cantate (come quelle di Jane Birkin) tutt’altro che banali ne facevano un miraggio sexy che ha fatto innamorare e impazzire una generazione intera. Ragazze che impersonavano a 20 anni il ’68, prima che arrivasse il ’68. Francoise Hardy cantava le inquietudini dei ragazzi di quegli anni, cantò anche la versione francese del Ragazzo della via Gluk di Celentano, canzone profetica, manifesto ambientalista in pieno boom economico…
Ai ragazzi e alle ragazze di oggi che ascoltano e osannano Annalisa ed Elodie i nomi di Francoise Hardy, Katherine Spaak o Jane Birkin diranno poco o niente. Vorremmo dar loro in consiglio: andatevi a vedere qualche video su you tube o qualche film con le tre attrici di cui sopra (“La voglia matta”, “La bugiarda”, “Blow up” “Grand prix” o “il castello in Svezia”). Cari ragazzi vi accorgerete che la minigonna la portavano anche le signore che oggi hanno 80 anni e che sono nate nell’anno dello sbarco in Normandia. Che anche loro sapevano di essere icone sexy, ma non ostentavano il nude look perché non ne avevano bisogno. Bastavano quei capelli, quelle voci così particolari e la erre moscia e quei jeans normalissimi che indossavano tutte le liceali dell’epoca. Io che il liceo l’ho finito 49 anni fa me le ricordo le compagne di classe vestite come Francoise Hardy o Jane Birkin. Che pure imperversavano 10 anni prima, ma evidentemente non erano passate di moda. L’eleganza della normalità non passa di moda. Mai.
M.L.
Pochi titoli come quello di questo post sono stati più appropriati,come è la frase finale della tua conclusione che si riferisce al buon gusto che non passa mai di moda anche se talvolta contiene e si basa su immagini dirompenti ma sempre allo stesso tempo misurate e fornite con una cultura del bon ton dell’accettazione razionale. Parole che possono testimoniare anche talvolta una spaccato di rappresentazione della vita di quegli anni,sull’onda precedente della beat generation di Keruac,dove emergeva lentamente ma con grande potenza inarrestabile l’onnipresenza dei mass media che hanno fortemente contribuito all’affermarsi dei personaggi come appunto di Francoise Hardy, Jane Birkin ma anche come Jane Fonda anche se quest’ultima non era una proprio una cantante ma una intelligente attrice, soprattutto politica,ed in quegli anni la politica pesava a livello globale,mentre il segno dei tempi odierni è quello che la politica ha sempre meno spazio di celebrazione da parte della musica. Di Jane Birkin,valente fotografa, conservo sempre in archivio una foto di lei con a tracolla due Nikon superaccessoriate che all’epoca facevano invidia a chi non se le poteva permettere dato l’alto costo di queste fotocamere ed anche se questi erano tutti messaggi comunque ”consumistici” e dato che hai nominato Gran Prix di John Frankneimer,vorrei dire che i filoni fondamentali dello spettacolo di tal genere di cultura fu sostenuto molto con riferimenti nel campo innovativo dell’immagine da film appunto come Gran Prix e per chi conosceva quel mondo i riferimenti ai personaggi veri della leggenda automobilistico sportiva che apparivano sulla pellicola erano inequivocabili.Un mix di leggenda e di riferimenti che poi è confluito nel grande fiume del ’68 e che in ogni caso ha lasciato un segno indelebile di continuità nella storia delle generazioni che l’hanno fatto e vissuto. E se ci pensiamo bene in maniera onnicomprensiva, quando diciamo che ” il primo passo dipende dall’ultimo e l’ultimo dipende dal primo”,tutto quello che oggi ci sembra che non abbia collegamento perchè è il complesso mediatico che ci spinge a considerare i fenomeni della vita in maniera staccata l’uno dall’altro, in maniera pragmaticamente saltuaria e veloce, tutto questo non fà altro invece che aumentare il bisogno interiore di leggere ed osservare nei fenomeni, nella storia e nelle persone una continuità inscindibile che prende ogni angolo del globo.Forse è per questo che nel maggio francese a Boulevard St. Michel si gridava : ”Ca n’est qu’un debut continuons le combat” e queste parole anche se divenute slogans, hanno contato non poco e sono sempre attuali nella loro etica. E sono anche il segno di ciò che hanno espresso Francoise Hardy,Jane Birkin, Jane Fonda ed anche tantissime altre donne nell’arte e nella politica, come elementi culturali di rottura di un mondo che stentava a liberarsi dai lacci di una conservazione divenuta ormai antistorica e repressiva. E questi messaggi hanno vinto e si sono affermati fino a produrre anche ciò che è oggi di fronte ai nostri occhi,nel bene e nel male.