UOMINI CHE DISCRIMINANO LE DONNE. I RICCHI E POTENTI SONO LORO

giovedì 01st, febbraio 2018 / 12:25
UOMINI CHE DISCRIMINANO LE DONNE. I RICCHI E POTENTI SONO LORO
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Il rapporto Oxfam rileva che l’iniquità della distribuzione della ricchezza globale colpisce soprattutto le donne

Fatta eccezione per alcuni casi, come Maria Franca Fissolo, vedova Ferrero, che si colloca tra i primi 50 più danarosi del mondo, la maggioranza dei ricchi è composta da uomini. Sono loro a possedere beni fondiari, partecipazioni azionarie e altre forme di capitale. Lo dice chiaro e tondo il rapporto di Oxfam, da anni  impegnata nella lotta contro disuguaglianza e povertà.

In sintesi, gli uomini hanno ideato e attuato un sistema economico a propria immagine e vantaggio in cui le donne occupano i posti peggio retribuiti, spesso precari e poco sicuri, con scarse opportunità di carriera e dunque di avanzamento sociale, alla meno peggio discriminati dal punto di vista salariale nonostante la parità di merito. In barba al principio delle pari opportunità la disuguaglianza di genere persiste, ulteriormente aggravata da un mercato neo-liberista che sempre più affonda la sua fortuna nel lavoro precario e a basso costo. Una tipologia di lavoro che viene svolto prevalentemente dalle donne.

Florida vive in Bangladesh. Ha cominciato a lavorare nel settore dell’abbigliamento a 15 anni (oggi ne ha 22). Cuce abiti per i grandi marchi globali come H&M. Lavora 12 ore al giorno per raggiungere i target che le vengono assegnati. Nei periodi in cui gli ordini aumentano, lavora anche fino a mezzanotte. Ma il salario di Florida, anche sommato a quello del marito, non è sufficiente a soddisfare i bisogni di cibo della famiglia.

Da questa parte del mondo, Stefan Persson, figlio del fondatore di H&M, occupa il posto no.43 nella lista degli uomini più ricchi del mondo pubblicata dalla rivista Forbes. Eppure, tra i grandi marchi dell’abbigliamento, H&M è una delle aziende che affronta con responsabilità e impegno il problema dei salari di sussistenza nella propria catena di fornitura.

Secondo il rapporto di Oxfam, norme sociali e retaggi culturali in tutto il mondo sviliscono le capacità delle donne, (de)limitano i settori in cui possono lavorare; in misura minore o maggiore  giustificano la violenza e la discriminazione.

Myint è un’addetta alle pulizie in un hotel in Tailandia. Subisce regolarmente molestie sessuali dagli ospiti ma è costretta a sopportare per non perdere il lavoro.

Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa Myint della differenza tra molestia sessuale e libertà di importunare o magari darle un’amichevole pacca sulla spalla spiegandole che si può anche dire NO.

L’idea che a portare il pane a casa sia compito maschile è ancora profondamente radicata nelle culture a livello globale. Di conseguenza, al sesso femminile si percepisce più consono il lavoro a tempo determinato o part-time. Sesso debole peraltro, nella misura in cui le donne sono considerate più vulnerabili: reagiscono meno alle intimidazioni e sono più esposte a violenza e sfruttamento sul posto di lavoro, a casa e nelle proprie comunità.

Le opportunità di scelta e decisione delle donne sono ulteriormente limitate dal lavoro di cura svolto in famiglia e nelle comunità. Un lavoro non riconosciuto e non retribuito in quanto “naturalmente femminile”, moralmente doveroso e dunque non quantificabile, come già rilevato cinquanta anni fa dal movimento femminista. Alla natura femminile si attribuiscono anche lavori come fare le pulizie o accudire i malati e quindi di basso valore salariale.

Ad aggravare la situazione si sono aggiunti i drastici tagli alla spesa pubblica degli ultimi anni. Le donne, che tendenzialmente occupano più posti nel settore pubblico, sono le più colpite dalla politica dei licenziamenti. Allo stesso modo, il vuoto lasciato dai tagli ai sussidi alimentari, all’assistenza medica e alla cura dell’infanzia è stato colmato dall’operato delle donne. Il tempo dedicato a questi compiti è maggiore e costringe spesso le donne ad accettare lavori temporanei e precari se non a rinunciare del tutto all’attività lavorativa.

La concentrazione della ricchezza nelle mani degli uomini non significa, come spesso si proclama, che gli uomini sono più talentuosi o più capaci. È ampiamente dimostrato, sostiene Oxfam, che i grandi capitali non derivano dal duro lavoro, da menti più fini o competenze più elevate, ma sono frutto di “eredità, monopolio o legami clientelari con i governi. Circa un terzo dei patrimoni dei miliardari sono ereditati.”

È piuttosto un cane che si morde la coda: i ricchi sostengono i monopoli, i monopoli generano clientelismo, il clientelismo favorisce i monopoli. Il resto dell’economia paga lo scotto e arranca per sopravvivere. E se i ricchi sono prevalentemente uomini, sono loro a detenere i monopoli e quindi il potere economico in cui le donne non hanno voce.

Come se ne esce? La raccomandazione di Oxfam è di promuovere la parità di genere sul luogo di lavoro. Con l’attuazione di  una politica di genere ” per quanto riguarda l’assunzione, la formazione, la promozione, le molestie e la presentazione di rimostranze; pubblicare i dati relativi al divario retributivo di genere a tutti i livelli aziendali, impegnandosi a colmare tali divari.”

Ma oltre alle raccomandazioni ai gestori della cosa pubblica è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale. Se non vogliamo che la lotta alla discriminazione resti un bel principio su carta, la rivoluzione deve iniziare dal basso. Perchè fino a quando la convinzione di fondo sarà: hai voluto la parità? Ora paghi, non ci sarà principio Onu (Empowerment Femminile), convenzione o azione governativa che possa garantire l’uguaglianza di genere.

Elda Cannarsa

 

 

 

 

 

 

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