“LA STORIA” DI ELSA MORANTE IN TV: RIFLESSIONI A MARGINE SU UN LIBRO E UN’AUTRICE CHE HANNO FATTO MOLTO DISCUTERE

lunedì 15th, gennaio 2024 / 19:57
“LA STORIA” DI ELSA MORANTE IN TV: RIFLESSIONI A MARGINE SU UN LIBRO E UN’AUTRICE CHE HANNO FATTO MOLTO DISCUTERE
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di Lucia Annunziata*
Ho scritto questa traccia di appunti per i miei studenti ai quali, anche approfittando della fiction che sta mandando in onda la Rai, ho intenzione di presentare la scrittrice e il romanzo per un piccolo approfondimento.
Ho pensato che forse la lettura (per quanto chilometrica) potrebbe interessare anche qualcuno di voi, soprattutto perché ho letto in giro tante stroncature, non della fiction – su cui potrei essere decisamente d’accordo – ma del romanzo, in particolare sulla scorta della critica di Pasolini, dalla quale dissento.
Provo allora a parlare dell’opera come si fa a scuola, inquadrandola nel suo tempo e contestualizzandola e ponendo attenzione ad alcuni dei tanti aspetti che si possono esaminare quando si parla di un’opera letteraria.
Con la consapevolezza che non è un post, rivolgo ai temerari che ci proveranno l’augurio di una buona lettura.
Elsa Morante tende ad essere generalmente dimenticata: nel ventennale (2005) e nel trentennale (2015) della sua morte (1985) è stata molto poco ricordata, forse perché non è mai stata un personaggio facile. Era una donna scontrosa, estremamente rigorosa e intransigente, capace di estremi disprezzi, di rotture bibliche (come quella con Pasolini, dopo grande amicizia – ma lui, come già detto, le aveva stroncato “La Storia” – e con Dario Bellezza) ma anche di straordinari e generosi slanci. Vicina alla nuova sinistra e al mondo della contestazione giovanile, ma pure legatissima alla tradizione religiosa e pertanto figura difficilmente catalogabile e fuori dagli schemi.
Era nata a Roma nel 1912, figlia illegittima, non frequentò le scuole elementari, si separò presto dalla famiglia dopo gli studi liceali, vivendo di lezioni private e di collaborazioni a riviste e giornali. Si legò a Moravia nel ‘36, lo sposò nel ‘41, se ne separò nel ‘62 ma rimase a lui sempre legata. Dopo anni intensi di rapporti con la maggior parte degli intellettuali italiani, andò progressivamente sviluppando un urgente desiderio di intervento civile. Assillata da problemi di carattere personale che le amareggiarono gli ultimi anni, visse un lento declino in una condizione anche di bisogno, usufruì della legge Bacchelli, tentò il suicidio nel 1983. Ridotta a letto, morì nel 1985.
“La Storia” è la sua opera, allo stesso tempo, più facile – con cui aveva deliberatamente scelto di abbandonare la letteratura “alta”, a cui poi ritornerà con “Aracoeli” nel 1982 – perché immediatamente fruibile e di impostazione tradizionale, ma anche la più discussa – “famigerata e discussa”la disse Garboli – che suscitò un enorme dibattito, di intonazione anche politica, definitive stroncature e grandi passioni: “…di scrittori reazionari corre voce ce ne siano ancora, certo però non pensavamo ci fosse ancora spazio per bamboleggianti nipotini di De Amicis” (Nanni Balestrini, in una lettera a Il Manifesto del 18 luglio 1974); “…il romanzo è tornato tra noi solo una donna poteva guarirlo” (Cesare Garboli); “…un’opera capace di cambiare l’esistenza stessa degli uomini, di dare felicità e commozione e senso di fratellanza” (Natalia Ginzburg).
Il grande dibattito nacque anche dal fatto che si trattava di un’opera “ideologica”, uscita in un’Italia (nel ‘74) in cui era ancora forte il peso dell’ideologia politica, le opinioni che contavano soffiavano ancora a sinistra e invece “La Storia” era un romanzo controcorrente e di ispirazione sostanzialmente anarchica.
Negli anni ‘70 in Italia il livello di disagio era estremamente diffuso: crisi economica dilagante, rincaro del petrolio, fuga dei capitali, incertezza della situazione politica, in cui emergeva il travaglio interno del Pci, dopo i carri armati sovietici del ‘68 a Praga e l’invasione della Cecoslovacchia, inquietudini per le persistenti tensioni belliche internazionali (la guerra fredda), terrorismo che imperversava, con i gruppi armati che si richiamavano agli opposti estremismi politici.
Sul piano culturale, i teorici della Neoavanguardia della fine degli anni ‘60 avevano lasciato in eredità un gusto raffinato e pedante per una letteratura e una critica che, nutrite di semiologia e di strutturalismo, tendevano a privilegiare, rispetto al contenuto, l’intelligenza della costruzione, del montaggio, del pastiche linguistico, spesso a detrimento della leggibilità dell’opera.
Di contro a questa linea intellettualistica, si delineò il ritorno ad una letteratura più tradizionale e più tranquillamente fruibile che negli anni ‘50 e ‘60 aveva trovato la sua espressione esemplare in autori di successo, come Cassola e Bassani, che erano infatti stati già giudicati dalle Neoavanguardie come semplice intrattenimento e praticamente linciati da un certo tipo di critici “raffinati” (tra gli attacchi più feroci ricordiamo ancora una volta quelli di Pasolini a Cassola).
In questo clima apparve “La Storia”, nel ‘74, pubblicata da Einaudi in un’edizione volutamente economica sin da subito, per volontà dell’autrice. Fu accolto in modo molto favorevole, ebbe una tiratura da Best seller, con 600.000 copie (quando gli standard di Moravia, che era tra gli scrittori più letti, erano di 100.000) e suscitò una accesissima querelle (Garboli parlò di “fracasso, frastuono e anche comicità di quella caccia alla fattucchiera”, la Morante fu accusata di speculare sulle sofferenze, di vendere disperazione, di propagare pessimismo, di aver messo in commercio un romanzo criticabile “dal punto di vista marxista e proletario”) nel mondo culturale all’interno del quale molti classificarono, in positivo e in negativo, l’opera come la massima espressione
di un “ritorno all’ordine” e alla semplicità.
La Morante ostentava, infatti, e denunciava una grande indifferenza verso i problemi di teoria del romanzo e della letteratura, esplicitando, sin dalla bellissima dedica, il suo intento (“por el analfabeta a quien escribo”: per l’analfabeta a cui scrivo).
La tematica ad effetto – la seconda guerra mondiale vista con gli occhi dei semplici -, la sua voluta leggibilità (l’autrice abbandonava deliberatamente i suoi moduli raffinatamente letterari e ricorreva a una lingua assai meno ricercata e preziosa di quella che era stata tipica delle sue opere precedenti), il consistente lancio editoriale e la massiccia operazione pubblicitaria (prezzo concorrenziale, uscita a giugno in vista delle letture estive) contribuirono insomma al successo,ma anche alla lettura mistificata del romanzo.
Se può essere criticabile la fruizione dell’opera in chiave meramente consolatoria, in virtù dei buoni sentimenti di cui è permeata, tuttavia la riduzione del romanzo di una scrittrice sempre poco consumistica a semplice prodotto di mercato è ingiusta, così come ingiusta è l’accusa di aver voluto ripristinare un anacronistico realismo, contaminato dal magico incantato mondo di Useppe (i colloqui con Bella la comprensione del linguaggio degli uccelli) rivolta proprio a lei che sempre se ne era tenuta lontana, anche quando era di moda (ad esempio “Menzogna e sortilegio” del ‘49 è lontanissimo dal Neorealismo all’epoca dominante).
In realtà l’accesso diretto alla storia in questo romanzo (oltretutto straniato, a causa del recupero ormai “fuori stagione” di temi legati al secondo conflitto mondiale e al dopoguerra di cui, nella metà degli anni ‘70, non scriveva più nessuno) è l’esito forse criticabile ma sincero di un lungo percorso esistenziale e letterario spesso sottovalutato o ignorato dalla critica: su di esso hanno avuto grande influsso, tra l’altro, i contatti con le inquietudini della beat generation espressa in USA e poi in Europa dal fenomeno degli hippies e da certa letteratura “underground” (Kerouac, Ginsberg) nota alla scrittrice.
L’amicizia di Elsa con Bill Morrow e altri giovani è la spia più evidente della sua particolare sensibilità al malessere giovanile, che non è una moda, che sarebbe peraltro in anticipo, ma una scoperta di sintonia fra il suo antico e spontaneo anarchismo e lo spirito di ribellione dei giovani della nuova generazione. Tutto ciò attesta l’indipendenza ideologica con cui l’autrice si atteggia di fronte ai grandi temi della vita. Il confronto con la storia dolorosa della seconda guerra mondiale è il punto di arrivo di uno svolgimento ampio in cui l’impegno intellettuale della conferenziera di “Pro e contro la bomba atomica”(1965) si intreccia con il sentimento materno riscoperto nei rapporti con Bill Morrow e con altri giovani inquieti e con l’ingenua e fresca utopia da loro derivata; e d’altra parte questi motivi sono legati ad altri precedenti temi tipici della scrittrice: quello della riflessione sul femminile e sul materno cui si aggiunge la lettura appassionata e partecipe dei quaderni di Simone Weil.
Ecco allora che una materia in apparenza trita viene rivitalizzata dalla capacità di cogliere i segreti del corpo e dell’anima femminile, della sensibilità di restituire il gusto della natura libera, il rapporto con gli animali, l’incanto dell’infanzia, il senso dei piccoli aspetti della vita, il pavoneggiarsi di un adolescente, il ruzzare di un animale, la ricerca di cibo per il figlio da parte di una madre, offrendone una visione inedita rispetto alla letteratura maschile contemporanea.
D’altra parte l’ordine compositivo in cui tutti questi motivi si organizzano è uno sguardo triste ma ampio, fermo e caldo, una sorta di abbraccio alla vita degli umani e di tutti i viventi visti nel loro povero e grande incrocio di anima e corpo, nell’ingenuo e tormentato vivere e affannarsi nel mondo e la conoscenza è affidata alle crepe che si aprono nel “logos” attraverso la follia e la fantasia e l’attenzione alle proprie emozioni di donna.
Dopo tutto quel parlare che se ne fece all’uscita, sul romanzo della Morante e sull’autrice stessa è progressivamente sceso un silenzio di tomba, “La Storia “ è un “romanzo criticamente abrogato”(Garboli), un romanzo “sospetto, puerile, ricattatorio, nessuno più ne scrive”.
Ben venga, perciò, la fiction della Archibugi che, con tutti i suoi limiti (e ne ha tanti) ha il merito di aver riacceso la discussione. Con la speranza che, a cinquant’anni dalla sua uscita, il libro sia valutato con maggiore pacatezza e obiettività.
Nella foto: una immagine della serie Tv con Jasmine Trinca nella parte di Ida (foto Ansa). 
* Lucia Annunzata è docente di lettere al liceo Italo Calvino di Città della Pieve.
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