T come TACERE
La libertà di denunciare una cattiva gestione non è così scontata. La minaccia di ritorsioni è una pratica ancora in uso. Con la rubrica di oggi parliamo dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
“Messi a tacere e inascoltati in piena pandemia” è un rapporto di Amnesty International uscito a ottobre del 2021 che comincia così: “ Le operatrici e gli operatori sanitari e sociosanitari che hanno lanciato l’allarme sulle inadeguate condizioni di lavoro e di sicurezza nelle strutture sociosanitarie e socioassistenziali durante la pandemia sono stati/e spesso soggetti/e a procedimenti disciplinari e hanno temuto ritorsioni da parte dei loro datori di lavoro, per il solo fatto di avere denunciato presunte irregolarità sul posto di lavoro. Datori di lavoro sia del pubblico che del privato hanno impedito alle operatrici e agli operatori il godimento dei diritti alla libertà di espressione e di associazione, incluso il diritto a riunirsi in sindacato e a reperire, ricevere e diffondere informazioni.”
Sembra di non essere nel 2022 ma agli inizi del ‘900, eppure diritti ritenuti oggi fondamentali vengono ancora negati.
ANONIMATO
Noi del comitato abbiamo potuto constatare nei nostri 5 anni di attività che le operatrici e gli operatori sanitari delle aziende pubbliche con cui siamo venuti in contatto chiedono sempre l’anonimato. Hanno difficoltà a parlare liberamente, perché temono ritorsioni; spesso si auto-censurano. Questo non è giusto, “[…] la libertà di espressione e l’attività sindacale sono elementi che migliorano le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro”, sostiene il rapporto di AI, ma tutto ciò e stato calpestato.
LAVORATRICI, LAVORATORI, CITTADINE E CITTADINI
Parlare liberamente in pubblico dell’organizzazione del lavoro, dell’essere costantemente sotto organico (anche prima della pandemia), del precariato ed altre tematiche simili dovrebbe essere una pratica consueta per una lavoratrice o un lavoratore. Solo così cittadine e cittadini informati possono chiedere che si migliorino i servizi. E i servizi migliorano quando migliorano le condizioni lavorative delle operatrici e degli operatori. C’è qualcuno che lo può negare?