DOVE SONO LE BASI USA E NATO IN ITALIA: TUTTA LA PENISOLA OBIETTIVO SENSIBILE IN CASO DI GUERRA. ANCHE “LA POLVERIERA” DI RAPOLANO NEL MIRINO

giovedì 26th, gennaio 2023 / 19:27
DOVE SONO LE BASI USA E NATO IN ITALIA: TUTTA LA PENISOLA OBIETTIVO SENSIBILE IN CASO DI GUERRA.  ANCHE “LA POLVERIERA” DI RAPOLANO NEL MIRINO
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I venti di guerra non  sferzano solo l’Ucraina. Ormai si sentono, gelidi, anche da noi. L’ipotesi di intervento diretto di truppe Nato è sul tappeto. La possibilità che il conflitto in atto tra Russia e Ucraina si allarghi e diventi Terza Guerra Mondiale è tutt’altro che remota. E non è mai stata così vicina dal 1945 ad oggi. Quella tra Occidente e Russia non è più la guerra fredda degli anni ’50-80, ma una “guerra calda”. Lo dice Lavrov, ministro della guerra russo. Oggi Il Fatto Quotidiano titola in prima pagina “Siamo in guerra (e ora ce lo dicono)”. Chiaro a che punto siamo arrivati?

Se malauguratamente si dovesse davvero arrivare alla guerra Nato-Russia, sarebbe la guerra mondiale. Con possibilità di uso delle armi nucleari. Il grande crash. L’apocalisse. La fine dell’Europa, ma non solo, nel giro di pochi minuti. E noi, tutti, stiamo qui a discutere su “fino a che punto possiamo spingerci”, “siamo pronti a mandare i nostri soldati?” o sulla comparsata di Zelensky a Sanremo, del tutto inopportuna, perché non stiamo parlando di un videogioco…

L’Italia c’è dentro fino al collo in questa storia. No solo perché ha deciso proprio in questi giorni di inviare nuovi aiuti militari all’Ucraina, ma anche perché può essere uno dei bersagli principali dei missili russi. Nella penisola nel 2013 le basi con presenza Usa in Italia erano 59. Adesso sono salite a circa 120, ma ve ne sarebbero un’altra ventina tenute segrete per motivi di sicurezza. In tutto, nel 2019 erano presenti nel nostro paese 12.902 militari statunitensi: 3.055 dell’esercito, 3.992 della marina, 318 dei marines e 4.636 dell’aeronautica.

Nel linguaggio corrente, vengono definite tutte “basi Nato”. In realtà non è esattamente così perché ci sono quattro tipi di strutture diverse: quelle concesse agli Stati Uniti in base a due accordi firmati negli anni Cinquanta, che rimangono sotto comando italiano mentre gli Stati Uniti detengono il controllo militare su equipaggiamento e operazioni; le basi Nato vere e proprie; le basi italiane messe a disposizione della Nato in base agli accordi dell’Alleanza atlantica e le basi condivise da Italia, Stati Uniti e Nato. La sostanza è che sono tutte, di fatto “basi Nato”.

In totale in Italia sono custodite 70 testate nucleari, che sono dislocate in due basi: Aviano e Ghedi. Ad Aviano, in Friuli, sono ospitate alcune bombe atomiche B61-4.  Altre bombe nucleari di tipo B61-3, B61-4 e B61-7 sono all’aeroporto militare di Ghedi nel bresciano.

Ma quali sono e dove sono le principali basi Usa-Nato nella penisola?

Sigonella, nella piana di Catania, è il principale hub dell’Aviazione di Marina Usa. La più  attrezzata base logistica in appoggio alla sesta Flotta americana nel Mediterraneo: qui sono di stanza i famosi droni spia “Global Hawk” essenziali per le missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione. Da questa base partono anche i droni d’attacco “Reaper”.  Sigonella rimane legata, nella memoria italiana, al 1985 quando Bettino Craxi si oppose alla consegna alla Delta Force di Abu Abbas e degli altri terroristi colpevoli del sequestro della Achille Lauro.

Napoli è sede dell’Allied Joint Force Command dal 2013, anno della riorganizzazione dell’area militare della Nato, rappresenta uno dei due comandi strategici operativi assieme all’Allied Joint Force Command Brunssum e dipende direttamente dal quartier generale supremo delle potenze alleate in Europa. Il comandante ha la responsabilità anche della VI Flotta della Marina statunitense, che oltre alle basi di Sigonella e, appunto, Napoli – dispone di un attracco nel porto di Gaeta che ospita stabilmente la USS Mount Whitney, nave ammiraglia della Sesta Flotta americana.

A Mondragone, in provincia di Caserta, c’è invece il sotterraneo antiatomico per il comando americano e Nato da utilizzare in caso di guerra.

Ad Aviano Pordenone, c’è l’aeroporto, infrastruttura militare italiana, che viene utilizzato dall’Usaf, l’Aeronautica militare statunitense. Dal 1955 è in vigore un accordo Usa-Italia per l’utilizzo congiunto della base, che è anche della Nato. Dal 1992 al 2005 è stato il quartier generale della “Sixteenth Air Force” trasferita poi a Ramstein, in Germania. Secondo un rapporto americano del “Natural Resources Defence Council” ad Aviano sarebbero conservate bombe atomiche B61-4, di potenza variabile. È la più grande base aerea Usa del Mediterraneo e ospita il 31st Fighter Wing, che forma parte della United States Air Forces in Europe, uno dei maggiori comandi dell’USAF, equipaggiato con cacciabombardieri F-16CM Fighting Falcon. Aviano fu una delle principali basi utilizzate per bombardare la Serbia durante la guerra del Kosovo (cui l’Italia contribuì con 54 aerei e 1300 missioni). Vi sono state riunite quasi tutte le testate nucleari B61-4 che possono essere portate in volo anche dai cacciabombardieri italiani; ufficiosamente, una quarantina.

Nella caserma Carlo Ederle di Vicenza c’è la base dell’Esercito Usa, con il  173esimo Airborne Brigade Combat Team e lo United States Army Africa. Dal  2013 un altro campo ha affiancato l’Ederle, Camp Del Din.

Camp Darby, a Pisa, nasce negli anni ’50, è intitolata al brigadier generale  William O. Darby, ucciso dall’artiglieria nemica il 30 aprile 1945 sulle rive del Lago di Garda. E’ un deposito di missili, ordigni e munizioni cui attingono le forze Usa. Sotto controllo italiano, è improprio considerarla una base Nato. E’ una base Usa. Ed è il deposito di materiale bellico più grande al di fuori del territorio statunitense, con bombe e munizioni.

Ghedi, 25 km a sud di Brescia, c’è una struttura a gestione totalmente italiana classificata come ‘Main operating base’, addetta cioè ad attività esclusivamente militari. Ospita un deposito di bombe atomiche di tipo B61-3, B61-4 e B61-7: da 20 a 40, di potenza variabile tra meno di un chilotone e 340 chilotoni. La struttura è totalmente a gestione italiana, ma le bombe sono Usa. In caso di guerra, in base agli accordi Nato, potrebbero essere lanciate da aerei italiani.

Poggio Renatico in provincia di Ferrara ospita una Base aerea dell’aeronautica militare italiana, vi si trova il Deployable air command and control centre della Nato. Controlla lo spazio aereo dell’alleanza atlantica ed è in grado di schierarsi ovunque per operazioni militari e missioni di pace. Nel personale ci sono militari di 16 paesi.

A Motta di Livenza, in provincia di Treviso, nella caserma Mario Fiore si trova il Multinational Cimic group, reparto multinazionale interforze a guida italiana che ha la funzione di coordinare e agevolare la cooperazione tra la componente militare e le organizzazioni civili dove si svolgono le operazioni. Anche queste forze possono essere velocemente spostate in qualsiasi parte del mondo.

Nella caserma Ugo Mara di Solbiate Olona, in provincia di Varese, si trova il Corpo d’armata italiano di reazione rapida della Nato, che può essere inviato velocemente ovunque in scenari di crisi. L’Italia fornisce il 70% dei militari mentre il restante 30% è costituito da soldati di altri paesi alleati: circa 400 di Albania, Bulgaria, Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Turchia e Ungheria. Il comando è affidato a un italiano. Per due periodi il Corpo d’armata italiano di reazione rapida ha guidato le missioni Isaf (International security assistance force) in Afghanistan.

A Taranto si trova il comando delle forze navali e anfibie offerto dall’Italia alla Nato.

La Forward Operating Base (Fob) di Trapani-Birgi fornisce supporto tecnico-operativo e logistico agli Awacs della E-3A Component, di base a Geilenkirchen in Germania, da cui dipende il personale che è quasi interamente fornito dall’Aeronautica Militare Italiana.

A La Spezia è di stanza un Centro della Nato che si occupa di ricerche in campo scientifico e tecnologico.

Nella città militare della Cecchignola a Roma, si trova la struttura denominata Nato Defense College:  è una scuola militare internazionale. Fu voluta dall’allora generale Dwight Eisenhower nel 1951 ed è stata a Parigi fino al 1966, per poi essere trasferita a Roma. Lo staff è composto da 130 tra militari e civili di 21 paesi e i corsi servono a formare le più alte cariche, sia nell’ambito della Nato sia degli eserciti dei paesi membri dell’alleanza.

A Niscemi, in Sicilia c’è una stazione radio della marina militare degli Stati Uniti.

A Gricignano di Aversa, in provincia di Caserta, si trova invece una cittadella abitativa – completa di piscine, impianti sportivi e di un ospedale – ove alloggiano i militari statunitensi che prestano servizio nelle basi Usa in Campania.

E queste sono solo le più note. Un quadro comunque sufficiente per capire che l’Italia potrebbe essere presa di mira da nord a sud.

E questo territorio? Non è senza peccato. E ospita anch’esso una struttura militare di cui si sa pochissimo. Si tratta della base dell’esercito italiano situata a Poggio Santa Cecilia, nei pressi di Rapolano Terme, tra Sinalunga e Siena. Una decina di capannoni e tunnel sotterranei pieni di munizioni ed esplosivi. Non a caso gli abitanti della zona la chiamano “la polveriera“.

Nell’agosto del 1980 fu oggetto di una grande manifestazione pacifista cui parteciparono circa 20 mila persone. Si era diffusa la notizia che “la polveriera” di Rapolano avrebbe ospitato i famosi missili nucleari a medio raggio Pershing e Cruise americani, detti “euromissili” che avrebbero dovuto contrastare gli SS-20 sovietici…

Poco dopo l’invasione Russa dell’Ucraina, 10 mesi fa, alcune testate locali raccontavano di un forte movimento di mezzi militari intorno alla base di Rapolano. Probabilmente da lì sono partiti alcuni carichi di armi e munizioni destinati alla resistenza ucraina, secondo quanto deciso dal Governo e dal Parlamento Italiano. Su quel traffico insolito le consigliere regionali del M5S Silvia Noferi e Irene Galletti presentarono una interrogazione. Era il mese di marzo del 2022.

Nella base di Rapolano nel 2015 si verificò un episodio increscioso: un militare in servizio fu ferito da un colpo di pistola sparato da un suo superiore. Il soldato colpito era un paracadutista volontario della “Folgore, il fatto avvenne durante un servizio di vigilanza. Il giovane fu trasportato alle Scotte di Siena dove fu sottoposto ad un delicato intervento chirurgico. La madre, visto il silenzio sulla vicenda da parte della Difesa, si rivolse con un videomessaggio all’allora Ministro Pinotti per chiedere chiarezza sull’episodio e che il figlio potesse continuare la carriera militare.

In caso di guerra, anche “la polveriera” di Rapolano sarebbe un obiettivo sensibile. Così come l’Aeroporto militare di Grosseto da cui partono i “caccia” italiani. Altre strutture militari italiane, ma in caso di necessità utilizzabili dalla Nato si trovano anche a Castiglione della Pescaia (a 15 km da Grosseto) e nei pressi di Sovicille, vicino Siena.

C’è da stare poco allegri. L’unica domanda da porci è “quanto durerebbe l’Italia, come penisola, in caso di attacco russo”?

m.l.

 

Nella foto (Huffington Post): un drone Nato in una base italiana

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