COSA SUCCEDEVA NEI MANICOMI. IL RACCONTO DI GIACOMO DONI, FOTOGRAFO CON UNA MISSIONE

venerdì 09th, dicembre 2022 / 14:45
COSA SUCCEDEVA NEI MANICOMI. IL RACCONTO DI GIACOMO DONI, FOTOGRAFO CON UNA MISSIONE
0 Flares 0 Flares ×

Giacomo Doni è un fotografo che ha dedicato 16 anni della sua vita ( e continua a farlo) a recuperare e raccontare la memoria dei manicomi italiani, edificati tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Luoghi di follia, stigma di un male indecifrabile che ancora oggi suscita diffidenza e paura, gli ex ospedali psichiatrici sono un pezzo di storia che la società moderna e contemporanea ha preferito rimuovere.

Giacomo Doni comincia a fotografarli nel 2006, e si emoziona fin dai primi scatti. Ci mette poco a capire che dietro i muri dell’internamento si annidano migliaia di storie che chiedono di essere raccontate. I complessi manicomiali sono giganti di cemento spesso abbandonati, a volte constano di più costruzioni. Orientarsi non è semplice. Cosa cerca, gli domandano le guide che lo accompagnano nelle visite. Passaggi di vita, risponde lui. Storie di vita vissuta ai confini della società “normale”, vestigia di una realtà parallela che solo negli ultimi anni gli storici hanno iniziato ad investigare.

Lo ha raccontato lui stesso il 3 dicembre scorso, in un’affollata sala della Rocca di Città della Pieve, invitato dall’associazione culturale ArciNote. La memoria ci fa vedere il presente con occhi diversi, ha detto, mentre sullo schermo scorrevano gli scatti suoi ma anche di altri fotografi. Stanze scomposte, bagni senza porte, tappezzerie sdrucite, scritte sui muri, intonaci scrostati, inferriate, tracce di presenze.

Seguendo quelle tracce, Giacomo ha ricostruito le storie di uomini, donne e bambini vissuti al di là del muro. Nessuno escluso, in manicomio ci finivano anche i minori. Come il bambino reo di essersi lasciato incuriosire dal fucile appoggiato sul tavolo dal padre cacciatore, e di aver fatto partire un colpo. Niente morti né feriti ma l’azione fu letta come la folle intenzione di uccidere i genitori e al bambino fu diagnosticata una forma di squilibrio mentale. Entrò in manicomio a 12 anni e ne uscì il giorno della sua morte, a 92.

Al raccontare la storia di Luigina e Mario, Giacomo si è commosso, è rimasto qualche attimo in silenzio. Luigina e Mario si incontrarono e si innamorarono nel manicomio di Voghera da cui successivamente uscirono per effetto della legge 180 (Legge Basaglia).  Ma i due innamorati non potevano fare a meno di ripensare al luogo in cui era nata la loro relazione. Così ottennero le chiavi del manicomio perché potessero andarci quando volevano. Con un bella e allegra cerimonia, Luigina e Mario si sposarono anche, ha raccontato Giacomo. E alla fine della vita si spensero l’una a breve distanza dall’altro. La loro storia è raccontata in un libro di prossima pubblicazione.

Nel manicomio di Volterra, sulle pareti esterne del padiglione Ferri, dove erano ricoverati i criminali, c’è un graffito di circa 150 metri. È l’incredibile lavoro di Nannetti Oreste Fernando, in arte NOF, che trascorse 27 anni al di là del muro su cui incise con la fibbia del panciotto quasi 180.000 parole senza alcun errore grammaticale pur avendo solo la quinta elementare. Il graffito è considerato un capolavoro di Art Brut, l’arte spontanea di artisti autodidatti emarginati dalla società. La realizzazione fu possibile grazie ad un infermiere che intuì l’arte di NOF, gli permise di lavorare e tradusse tutto ciò che scrisse.

Spacciati per luoghi di cura di malattie mentali dai connotati violenti, vergognosi, impresentabili, i manicomi erano in realtà uno strumento di controllo sociale e tutela della morale. Chiunque avesse una condotta fuori dalle regole della società “perbene” veniva rinchiuso, isolato, spogliato della propria identità, reso invisibile: donne che avevano tradito il marito, madri di figli avuti fuori dal matrimonio, mogli ripudiate, omosessuali, poveri.

Ma che cosa vi credete di essere, vacca troia? Pazzi? Davvero? Invece no. E invece no. Voi non siete più pazzi della media dei coglioni che vanno in giro per la strada, ve lo dico io. (McMurphy, Qualcuno volò sul nido del cuculo, 1975)

Qualcuno volò sul nido del cuculo è la prima narrazione cinematografica della disumanità di tecniche e trattamenti adottati negli ospedali psichiatrici. Il film, vincitore di cinque Oscar, fu uno shock. Era il 1975, la legge Basaglia, che consentiva la chiusura dei manicomi in Italia, sarebbe stata approvata nel 1978. Ma in quel 1975 il mondo scopriva cosa accadeva oltre il muro. Reagì con stupore, incredulità, negazione.

Perché alla fine, per quanto la Storia insegni che gli esseri umani sono capaci di crudeltà inenarrabili, ci vogliono anni prima che il mondo accetti di vederle e condannarle. La connivenza è di gran lunga la soluzione meno impegnativa.

Elda Cannarsa

0 Flares Twitter 0 Facebook 0 Google+ 0 Email -- LinkedIn 0 Pin It Share 0 0 Flares ×
, , ,
Mail YouTube