L’IMPORTANZA DELLE OPERE PER LA MITIGAZIONE DEL RISCHIO IDRAULICO. NEL NOSTRO TERRITORIO QUALCOSA E’ STATO FATTO. PER FORTUNA
“Che le ruspe li avessero presi di mira già da tempo non è certo una novità. A deturpare il Catria, che con il Monte Acuto era uno tra i paesaggi più singolari e selvaggi dell’Appennino umbro-marchigiano, ci si erano messi giù fin dagli anni ’70.
“Verso la sua cresta sommitale – scriveva Stefano Ardito autore di una delle tante pregevoli e dettagliate guide per gli escursionisti di vent’anni fa e passa – salgono ben cinque grosse strade sterrate, mentre tagli e sbancamenti di vario genere hanno trasformato la montagna in un triste monumento alla ruspa”.
Eppure c’è da scommettere che nemmeno lui avrebbe potuto immaginare a qual punto di devastazione avrebbero portato le scelte dei politici e degli amministratori della Regione Marche con i loro progetti di trasformazione dell’ambiente montano nel parco giochi permanente degli sport invernali del Monte Catria. Chi oggi si inerpica a piedi sui sentieri può contemplarne il compimento, come del resto può averne una certa idea anche chi guarda in quella direzione dal mare, a decine di chilometri di distanza.
Alle piste da sci e agli impianti di risalita, progettati e realizzati decenni orsono per i turisti della domenica, si sono sovrapposte strutture imponenti che, nelle intenzioni dei costruttori, dovrebbero poter competere con quelle alpine.
E così ha preso corpo il progetto della nuova stazione sciistica del Monte Catria, che nei mesi del lockdown ha avuto un’accelerazione decisiva. Allargamento a dismisura delle piste, sostituzione della vecchia bidonvia con nuove seggiovie, ski-lift, impianti per l’innevamento artificiale e per l’illuminazione delle piste. Il tutto per la modica cifra di quasi cinque milioni di euro reperiti con fondi pubblici… (…)
Sfigurato in modo indelebile il bosco di faggi a suon di ruspe e scavatrici e spianate le aree più alte con le praterie fiorite di viole e di orchidee, anche la fauna, in cui si annovera ancora qualche esemplare di aquila reale, è messa seriamente in pericolo.
A scempio oramai compiuto si deve registrare il grido di dolore lanciato dall’universo delle associazioni ambientaliste, da quelle nazionali come il Fai, Italia Nostra, il Wwf o Legambiente, a quelle locali, le cui proteste non sono riuscite a scalfire il granitico blocco di politici e imprenditori fautori dell’opera(…) nel 2017 una denuncia per eccesso di disboscamento e un esposto alla Procura per distruzione di habitat naturale all’interno di un sito protetto… “
Così nel 2020 scriveva sulla rivista L’altrapagina di Città di Castello Maurizio Fratta, che è stato anche collaboratore attivo di Primapagina. Il territorio in questione è quello a monte della zona devastata dalla recente alluvione nelle Marche.
Un articolo maledettamente “profetico” quello pubblicato esattamente due anni fa. Solo che più che una profezia, le cose scritte da Fratta appaiono come una fotografia impietosa di una realtà già conclamata. E proprio per rispettare il dolore di coloro che hanno perso i loro cari non si può tacere: vanno chiamate per nome e cognome le responsabilità che hanno generato questo stato di cose. Nessuna giustificazione per chi ha autorizzato le manomissioni del territorio (cave, capannoni, costruzioni in zone esondabili, strade, taglio del bosco). Continuare chiamarlo maltempo è una presa in giro. Senza le “manomissioni” del territorio il maltempo non avrebbe fatto e non farebbe gli stessi danni, e invece ogni volta che piove con una intensità superiore alla media, ci ritroviamo a piangere i morti…
Nel nostro territorio che non è a valle degli Appennini, negli ultimi 20 anni ci sono state alluvioni, senza vittime ma con molti danni. Nel 2006 a Chiusi Scalo, nel 2012 a Ponticelli e nell’Orvietano. Da allora però, piano piano sono state realizzate opere poco visibili, ma decisive per l’eliminazione o la mitigazione del rischio idraulico, come la vasca di espansione sul torrente Tresa per la messa i sicurezza dell’abitato di Moiano e della Ferrovia; la Vasca di espansione sul torrente Gragnano nei pressi di Montallese, per evitare allagamenti della frazione chiusina; poi alcuni piccoli invasi e una sorta di diga a monte di Chiusi Scalo (zona Porto e zona Boncia bassa, VEDI FOTO); è stato rafforzato l’argine del torrente Montelungo che defluisce verso il lago; è stata realizzata una vasca di espansione nei pressi del nuovo Palasport (per la sicurezza dell’impianto e della zona industriale contigua); altre opere sono state portate a termine da parte del Consorzio di Bonifica da Chiusi fino ad Orvieto lungo i corsi d’acqua Astrone, Chiani, Paglia.
Parliamo di lavori per milioni di euro.
Su questo terreno va dato atto ad alcuni sindaci e amministratori della zona di aver preso sul serio la questione e di aver capito la lezione che la natura talvolta ha impartito, mettendoci sopra volontà politica, soldi e programmazione. L’ex sindaco di Chiusi Bettollini si è speso molto in questo senso durante la sua legislatura. Non dappertutto è successa la stessa cosa.
Se anche gli alvei di fiumi e torrenti venissero ripuliti con una maggiore regolarità i rischi diminuirebbero ancora. Sappiamo che non è semplice, ma la manutenzione del territorio è la prima “grande opera” da fare, così come migliorare lo stato delle strade, perché alluvioni, frane, smottamenti non avvengono mai solo per “maltempo” o perché il destino è cinico e baro, ma perché si è costruito troppo e male, si è costruito nei posti sbagliati, si è consumato troppo suolo, sono stati tagliati troppi alberi, fiumi e torrenti sono stati lasciati in abbandono con le sponde e gli alvei invasi dalla vegetazione e i tronchi vaganti che ostruiscono i ponti…
In un quadro del genere tornare a parlare di invasi per immagazzinare acqua come potrebbero essere la Diga di San Piero in Campo in Valdorcia (opera rimasta incompiuta) o quella sullo Ierna in Valnestore non sembra del tutto peregrino, potrebbero aiutare il territorio a rispondere ai periodi di siccità e sarebbero presidi di tutela ambientale, più complessiva rispetto all’uso e alla regimazione delle acque. Sempre che poi non vengano lasciate a se stesse.
m.l.
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Questa sera al TG3 regione Umbria delle 19,30, Quagliarello spiegava come bisogna diffondere sui territori in modo uniforme lo sviluppo, le reti di trasporto, i servizi, così da non trovarsi dinnanzi a zone fortemente ingolfate e caotiche, e altre abbandonate, marginalizzate. Giusto , solo che il candidato Quagliarello (lui si definisce moderato, ma sta facendo supporto alla Meloni, Berlusconi, Salvini), non sa che proprio su questo la Giunta Tesei, con Melasecche in prima fila, non intendono abbracciare questo suo pensiero. Infatti per le infrastrutture seguitano a pensare di incrementare le aree già ampiamente servite, perché questo torna utile al loro collegio elettorale.
Oh Renato, sono d’accordo con quanto dici ma per quello che ha prodotto il PD e la sinistra ancor prima, basta vedere le fotografie non tanto delle Marche ma dell’Umbria- vedil località come Magione per esempio, attigua al nostro terrtorio. Per chi volesse vederle e confrontarle con l’odierno , ho foto in archivio di quel territorio dagli anni ’60 ad oggi ed è bene le campagne elettorali su tali argomenti talvolta non farle….ci si rimarrebbe male….perchè inevitabilmente il pensiero và subito a chi abbia governato.La realtà è questa, non altre. E se vogliamo uscirne non mi sembra sia bene tanto re-insistere sull’acqua passata, ma magari fare qualche scuoletta di partito come c’erano una volte del tipo Frattocchie ed invitare i Sindaci dei nostri territorii e di quelli nominati, come per esempio quello lacustre di cui parlavamo prima, dove negli anni non si è mai persa l’abitudine, anzi la si è incrementata sugli aspetti che ” tutto stava bene” pur di incrementare le entrate delle casse comunali….alla fine ancor prima degli interessi economici credo che ci voglia la cultura che insegnavano in quelle scuole nominate prima. ” A buon intenditor poche parole” recita il proverbio. E che c…sennò ci si vuole per forza far passar per fessi. Ma come vedi in Umbra la risposta l’hanno già avuta quando hanno perso la Regione. Ed allora chiediamocelo il perchè. Basterebbe solo questo !