E DI MAIO SCOPRI’ CHE E’ MEGLIO FARE IL VICERE’ DEI BORBONI CHE IL MASANIELLO. LA PARABOLA INGLORIOSA DEI 5 STELLE

mercoledì 22nd, giugno 2022 / 17:06
E DI MAIO SCOPRI’ CHE E’ MEGLIO FARE IL VICERE’ DEI BORBONI CHE IL MASANIELLO. LA PARABOLA INGLORIOSA DEI 5 STELLE
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PERUGIA – C’è anche la firma dell’onorevole umbro Filippo Gallinella tra quelle di circa 60 deputati e senatori che in seguito allo scontro tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, lasciano il Movimento per aderire al nuovo progetto politico del ministro degli Esteri ‘Insieme per il futuro’. Si costituisce quindi un gruppo autonomo alla Camera e una componente del Misto al Senato. L’altra deputata umbra Tiziana Ciprini è comparsa invece nella lista dei fedeli a Conte,  confermando quanto aveva anticipato su Facebook smentendo chi la individuava tra gli scissionisti con Di Maio. Che brutta fine sta facendo il Movimento che alle elezioni del 2018 risultò il primo partito con il 33% dei voti…
Ma la vicenda 5 Stelle non riguarda solo la diatriba Conte -Di Maio o il futuro del governo Draghi, riguarda la credibilità del parlamento e più in generale la democrazia.  Non perché oggi Di Maio lascia il Movimento che lo ha eletto e di cui è stato il “capo politico” e dice cose totalmente diverse, anzi opposte, a quelle che diceva prima di diventare ministro, sia sul vincolo di mandato, sia sulla coerenza, sul “noi non siamo come loro”, ovvero sulla presunta e declamata “diversità” genetica dei 5 Stelle, ma anche per altri motivi.
Oggi qualcuno tra quelli che sbeffeggiavano Di Maio perché prima di fare politica faceva il “bibitaro” allo stadio di Napoli, si affannano a sostenere che l’ascesa di Di Maio da bibitaro a capo politico dei 5 Stelle a ministro degli esteri è la dimostrazione pratica e provata della bontà del sistema democratico, che consente certe carriere anche a chi di base e come punto di partenza sembrava non averne la possibilità, né i crismi…
Ma chi sostiene questo lo fa perché adesso fa comodo il Di Maio ministro, allineat con Draghi e non il Di Maio Masaniello che dichiarava “abolita la povertà”, perché oggi Di Maio non è più un antisistema, ma una figura del sistema, funzionale al pensiero dominante e alla perpetuazione del governo in carica. Un perfetto democrstiano, trasformista, incoerente, attaccato con la colla e coi chiodi alla poltrona, ma perfettamente allineato sulle posizioni che debbono passare…
E’ un problema democratico e non solo un problema interno ai 5 stelle la “diaspora” di Giggino e dei suoi 60 seguaci perché non è solo lo specchio di come sia ridotta la politica, ma perché è l’ennesimo episodio di “cambio di casacca”. Episodi che rendono il Parlamento totalmente diverso non nelle facce, ma nei partiti e nei gruppi parlamentari, da quello eletto dai cittadini nel 2018.
Un terzo dei parlamentari ha cambiato casacca e sono 15 i gruppi che oggi risultano in parlamento e che dopo le elezioni non esistevano.
Il quadro politico uscito dalle urne nel 2018 risulta ad oggi totalmente stravolto. Il partito più votato, il Movimento 5 stelle è ridotto ormai a poco più della metà dei seggi che aveva ottenuto con il voto nel 2018. Il Pd, la forza considerata più stabile e attrezzata ha perso 30 parlamentari che sono quasi il 20% del totale di partenza. Ogni formazione ha avuto movimenti in più o in meno. I gruppi misti rappresentano un sesto del Parlamento e adesso alla Camera e al Senato figurano, come dicevamo, 15 formazioni politiche che non erano presenti alle elezioni di 4 anni fa. Questi gruppi, assieme ai deputati e senatori non iscritti a nessuna componente rappresentano un deputato su tre.
In pratica nel Parlamento Italiano nella legislatura in corso si è assistito ad un fenomeno migratorio di massa che non ha risparmiato nessuna formazione. In percentuale sul totale, sono più i “migranti” che sono passati dalla Lega a Fratelli d’Italia, dal M5S alla Lega o al Pd, perfino a Italia Viva, dal Pd a Italia Viva ecc. che quelli che sbarcano a Lampedusa… Un esodo biblico finalizzato ad una sola cosa: la riconferma.  In pratica a decine e decine di parlamentari, infischiandosene del “vincolo di mandato”, dell’impegno a suo tempo assunto con gli elettori che li votarono, sono passati da una forza all’altra, anche da uno schieramento all’altro, proprio nella speranza di ottenere una ricandidatura.Non a naso, oggi, in molti anche sui giornali e sui social ipotizzano Di Maio candidato nel 2023 magari con il Pd (cioè con quello che definì “il partito di Bibbiano, dove gli amministratori locali facevano l’elettroshok ai bambini per poi venderli.” E magari insieme a Di Maio anche i vari Gallinella…
“Il Movimento è fatto di idee non di ‘grandi uomini’, le persone cambiano le idee rimangono” ha scritto in un post la referente chiusina dei 5 Stelle Bonella Martinozzi a commento della vicenda Di Maio. Sarà anche così, ma le idee camminano sulle gambe degli uomini e tutti ricordano cosa dicevano i 5 Stelle non solo dell’Ucraina, ma anche di Draghi, dell’Europa, del Pd, di Renzi, sulla corsa agli armamenti e l’aumento delle spese militari, … e vedere colui che ne era il capo politico dire bellamente “scusate, scherzavo”  e vederlo abbandonare la nave pur di rimanere abbarbicato al ruolo di ministro, non è un colpo al cuore, è una debacle totale di quelle stesse idee. Che perdono totalmente di credibilità. Significa che non ci credevano nemmeno loro…
La parabola del M5S è stata più rapida di qualsiasi altro movimento: rapida e inarrestabile l’ascesa, rapidissima e rovinosa la discesa. 
Con la caduta delle stelle e la loro scomparsa, di fatto, dalla scena e dagli stessi flussi elettorali, viene meno quella che sembrava poter rappresentare la speranza di riforma della politica. “Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno!”dissero nel 2018… sono finiti dentro la scatoletta, hanno fatto la fine del tonno e sono affogati nell’olio, peraltro pessimo.
Il buon Luigi Di Maio ha scoperto che è meglio fare il ministro che il capopolo, meglio  fare il viceré per i Borboni che il Masaniello.
Siamo nel cuore di chi ci ha creduto, di chi ha riposto fiducia e speranze nel M5S. Oggi tocca a loro trovarsi nella stessa condizione di quei vecchi comunisti che hanno riposto fiducia e speranze nel Pd e si sono ritrovati a fare i democristiani su tutta la linea, compresa la difesa ad oltranza dell’atlantismo e la deriva bellicista…
La transumanza dei parlamentari di cui sopra lascia intendere che ormai serve a poco anche votare. E infatti la metà degli elettori a votare non ci va più. Alle prossime elezioni politiche, con questo andazzo, c’è pure il rischio che il primo partito diventi quello di Giorgia Meloni, cioè i neofascisti o comunque un partito che i conti con il fascismo, coi saluti romani, con la violenza fisica e verbale, non li ha mai voluti fare fino in fondo. Per il resto è una marmellata, dove le forze realmente antagoniste rispetto al pensiero unico e alla dittatura del capitalismo finanziario sono marginali e frammentate in decine di partitini con percentuali dello zero virgola…
Dal punto di vista politico l’Italia non era mai stata così male. Viene da rimpiangere non solo Pertini, Moro e Berlinguer (troppo facile), ma anche Craxi, Andreotti, Fanfani e Mario Capanna…
Pensate come siamo messi…
 m.l. 
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