“Gli infortuni sul lavoro continuano, scandalosamente gravi». Così, solo pochi giorni fa, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, tornava a richiamare l’attenzione sulle tante, troppe morti che accadono sui luoghi di lavoro, all’indomani della tragedia a Torino, dove il crollo delle due gru in un cantiere edile ha provocato tre morti e tre feriti.
Oggi, 28 dicembre, un altro operaio è morto a Roma precipitando da un ponteggio.
Di lavoro in Italia si muore quasi quanto di covid. Più di 1.000 le vittime dall’inizio del 2021. Una media di 3 al giorno. Si muore nei cantieri, nei campi, in fabbrica, per le strade. L’Italia sta diventando una Repubblica fondata sui morti sul lavoro…
E’ uno stillicidio su cui non si pone abbastanza attenzione e che insieme ai femminicidi rappresenta una emergenza ancora più drammatica di quella legata alla pandemia. Perché a differenza del virus, che è un fattore esterno, imprevedibile, sconosciuto, i femminicidi e le morti sul lavoro hanno ragioni invece conosciute. Ragioni riferibili a una certa cultura maschilista, retrograda, oscurantista nel primo caso e al mancato rispetto delle norme, all’esasperazione della logica del profitto nell’altro.
Si muore di lavoro anche per errori umani, per disattenzioni degli stessi lavoratori, per fatalità… ma più spesso si muore perché qualcuno ha risparmiato sulla sicurezza; ha chiuso un occhio o tutti e due sulle misure da adottare e da tenere presenti per avere macchinari e strutture efficienti ed evitare incidenti; ha risparmiato sulla formazione dei dipendenti.
A confermare questo tragico “andazzo” non sono solo i sindacati dei lavoratori, ma anche esponenti del mondo imprenditoriale. Giannetto Marchettini, presidente di ANCE (associazione Nazionale Costruttori Edili) e di Cassa Edile di Siena mette il dito nella piaga: “I bonus dell’edilizia hanno creato anomalie incredibili in Italia. Spesso a discapito della formazione e sicurezza. Come imprese del sistema Ance abbiamo chiesto che tutti gli investimenti che ricevono denaro pubblico passino attraverso imprese qualificate. Fattore che vale per i lavori pubblici, ma che invece sfugge al settore dei privati e quindi ai lavori del superbonus. Sono nate nell’ultimo semestre undicimila nuove imprese edili molte con titolari residenti all’estero che non applicano contratti regolari. Imprese che sono border line…”.
Ovvio che a sfuggire alla norme sulla sicurezza non sono solo le nuove imprese nate sull’onda del superbonus e a conduzione straniera. Il problema riguarda anche le imprese italiane, comprese quelle locali ed è anche un problema di controlli, che spettano agli organi dello Stato. Ma è altrettanto indubbio che l’escalation inarrestabile degli incidenti sul lavoro, mortali e non, dipende anche dall’aumento del precariato (più si è precari, meno formazione si fa), dalle politiche iperliberiste e anche dalla minore sindacalizzazione dei lavoratori, dalla minore incidenza dei contratti collettivi a vantaggio della contrattazione ad personam; dalla progressiva trasformazione dei sindacati in agenzie governative di servizi (i Caaf). Insomma da un mondo del lavoro sempre più ostaggio della crisi e sempre più marginale rispetto ai processi decisionali e politici.
Un tempo gli operai e i contadini avevano riferimenti forti nelle confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, nei partiti della sinistra e nella stessa Democrazia Cristiana che al suo interno mediava tra poteri forti ed esigenze degli strati popolari e produttivi, secondo i dettami della Dottrina sociale della Chiesa… Oggi questi riferimenti sono scomparsi, o sono molto labili, nebulosi, confusi, aleatori. Deboli. E infatti si lavora di meno e si muore di più.
m.l.