HO VISTO UN FILM: UN LUCA ARGENTERO INSOLITAMENTE CATTIVO E RUVIDO
CITTA’ DELLA PIEVE – Luca Argentero a Città della Pieve è di casa. Ci abita, ci si è pure sposato. E’ facile incontrarlo al mercato del sabato. Non è uno che se la tira, anche se di mestiere fa l’attore ed è piuttosto famoso. Ha anche una faccia pulita, da bravo ragazzo, di quelli che interpretano sempre ruoli positivi. Eroi positivi, brave persone magari un po’ sfigate, ragazzi belli e impossibili…
Due sere fa, in Tv hanno trasmesso in prima serata (Rai Movie) il film “Il permesso- 48 ore fuori”. Una pellicola del 2017, tratta da un romanzo di Massimo De Cataldo, diretta da Claudio Amendola e interpretata dallo stesso Amendola, da Luca Argentero, Valentina Bellè e Giacomo Ferrara. Un noire piuttosto cupo, dove il bell’attore pievese d’adozione, forse per la prima volta, non interpreta un bravo ragazzo, ma un galeotto, che faceva il pugile ed è finito dentro perché invischiato nel mondo sotterraneo e violento degli incontri di lotta clandestina.
Quattro storie parallele unite da un minimo comun denominatore. Il fatto che tutti e 4 i protagonisti, lo stesso giorno, alla stessa ora, escono dal carcere di Civitavecchia per un permesso di 48 ore. Poi dovranno rientrare.
Argentero veste i panni di Donato, l’ex pugile, che per prima cosa va a cercare la moglie. Sa che è costretta a prostituirsi e va a cercarla dal protettore… un certo Sasà, un tipo da suburra, che gli promette di lasciarla libera se lui accetterà di combattere un incontro di lotta clandestina e lo vincerà. Come ai vecchi tempi. Donato accetta, combatte a mani nude e batte l’avversario in un match violentissimo… Quando ricorda a Sasà di mantenere la promessa, questi gli dice che la moglie è morta da tempo e gli sferra una coltellata al fianco. Poi incarica due sicari di portarlo in un luogo sicuro e finirlo. Ma i due, forse per pietà, non lo fanno. Uno lo spinge in un fossato, ma spara in aria. Lui recupera un po’ di forze e con le ultime energie residue va di nuovo da Sasà e lo massacra con un piccone, finendolo con un pugno alla tempia sferrato con un anello… Poi cade anche lui. In riva al mare. O almeno si immagina che quella sia la fine. Immagini crude. Cupe.
Insomma un Argentero che si fa giustizia da solo, come si usa in certi mondi sottotraccia, una faccia ruvida, sporca. Barba lunga e mani insanguinate. Un’immagine lontana e diversa dallo stereotipo dell’Argentero faccia d’angelo e ragazzino a modo visto in tante fiction e filmetti precedenti.
Anche Claudio Amendola interpreta un boss della malavita in disarmo che cerca di salvare almeno il figlio e la moglie da quel mondo border line in cui pure ci stanno dentro fino al collo… Un malavitoso che una volta fuori, anche solo per 48 ore, vede che il quadro è cambiato. Che la pietà non esiste più, se mai è esistita. Che non c’è spazio per trattative. Che da quegli ambienti si esce in due modi, o finendo il galera o con una pallottola in corpo. Una figura stanca, dolente, rassegnata. E alla fine perdente.
Gli altri due, i più giovani, dopo aver vaneggiato nuovi colpi e fughe all’estero, alla fine decidono di fare l’unica cosa sensata: tornare in carcere a finire di scontare la pena, al termine della 48 ore di permesso…
Non un film memorabile, probabilmente. Neanche molto originale. Ma le interpretazioni sono piuttosto convincenti. E Luca Argentero, negli insoliti panni di un giovane truffato dalla vita, ma non una verginella, anzi uno che non si fa troppi scrupoli a picchiare e uccidere, e senza attaccamento alla vita stessa, somiglia a certi personaggi da film western, quelli che per la prima volta Sergio Leone o Sam Peckinpah presentarono con la faccia impolverata e la pistola fin troppo facile…
M.L.