SCOLLAMENTI

lunedì 17th, maggio 2021 / 13:01
SCOLLAMENTI
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Qualche giorno fa mi è capitato di leggere le riflessioni di Glenn Adamson, autore del libro “Fewer better things.The hidden wisdom of objects”, su quanto poco sappiamo degli oggetti che ci circondano.

Il cellulare, il frullatore, la penna roller a inchiostro liquido, il pc da cui scrivo.  Sappiamo farli funzionare ma non abbiamo idea di come siano fatti, o di cosa. Non li abbiamo visti nascere, non sappiamo chi li ha creati o realizzati, non conosciamo la loro storia, se ce l’hanno.

Insomma, c’è uno scollamento tra noi e la materialità delle cose che inibisce la nostra capacità di individuazione, comprensione e risoluzione dei problemi ad essa legata. L’essere psicologicamente lontani dai processi di estrazione, manifattura e smaltimento di materiali e prodotti, ci rende poco ricettivi al problema del cambiamento climatico e, di conseguenza, poco creativi nel trovare soluzioni per un mondo sostenibile, scrive Adamson.

Mi sembra allora che lo scollamento sia il nostro modus vivendi.  Siamo scollati dall’acqua che beviamo, imbottigliata nella plastica, proveniente da fonti lontane. Dai cibi che mangiamo. Le verdure crescono in terre o serre altrove da noi, le erbe le compriamo in graziose confezioni ma non sapremmo distinguere la melissa dalla malva se ce le trovassimo davanti. Ingeriamo i prodotti della terra senza conoscere la terra, chi la coltiva, dove, come. Non conosciamo nè curiamo personalmente le nostre terre. Non possiamo giurare che sotto ogni terra, strada, autostrada, lago artificiale, non ci siano rifiuti tossici, che l’aria che respiriamo non sia pregna di veleni. Grazie al nostro scollamento.

Sappiamo poco e niente delle piante, ancora meno degli animali, soprattutto la loro funzione nell’ecosistema che per secoli abbiamo modulato secondo la nostra bisogna. Dopo aver cacciato il lupo fino quasi a sterminarlo perchè dava fastidio ai nostri allevamenti, abbiamo realizzato quanto fosse importante il suo ruolo di “controllore” di altre specie che, se in sovrannumero, sono dannose, come il cervo e il cinghiale.  E lo abbiamo reintrodotto nei parchi. Per esempio.

Semmai, la funzione meno chiara è proprio la nostra.  Noi all’ecosistema abbiamo opposto l’egosistema. Non ce ne frega niente degli altri esseri del pianeta. Se vivono, se muoiono, se esistono, se affogano nel mare in cui prendiamo il sole sui nostri materassini di vinile.

Respiriamo tutti la stessa aria e camminiamo tutti sulla stessa terra ma il nostro scollamento ci impedisce di vedere, comprendere, intervenire. La realtà è quella che scorre sulle bacheche dei social, dal dramma dell’Africa che muore al dilemma di Giacinta che non sa quale cuscino comprare per il suo nuovo soggiorno.

Accusiamo la politica, soggetto impersonale e onnicomprensivo, di essere scollata dalla realtà ma noi uguale. Anzi, peggio. Noi ci permettiamo di dire che gli operai non esistono più in un mondo del lavoro che solo nel 2020 ha registrato 554mila infortuni.

Il mondo tangibile ci è sfuggito di mano (letteralmente) producendo lo scollamento dal mondo delle idee. Se non sappiamo come funziona ciò che ci circonda non possiamo produrre idee per migliorarlo.  E così guardiamo con nostalgia alle idee di ieri ma non siamo in grado di immaginare narrazioni nuove che abbiano senso, consenso e radici forti.

Passiamo la vita a cercare il significato della vita e perdiamo di vista la risposta, semplice, banale quasi: salvaguardare, migliorare, consegnare la Terra e tutto ciò che contiene ai figli che verranno. Se verranno.

Che poi, se metti caso ci estinguessimo domani gli scienziati dicono che ci vorrebbero sì e no un paio di ere glaciali per spazzare via ogni traccia della nostra illustrissima presenza.

La natura si riapproprierebbe degli spazi  in tempi non troppo lunghi, scrive Bob Holmes, divulgatore scientifico. È accaduto, e sta accadendo, nella città fantasma di Pripjat, abbandonata in seguito all’orrore Chernobyl.

La Terra, se non fosse chiaro, si dimenticherebbe di noi molto presto

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