PREFERISCO LA RADIO CHE NON SI VEDE

lunedì 19th, aprile 2021 / 18:04
PREFERISCO LA RADIO CHE NON SI VEDE
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Preferisco la radio. La tv la uso per sciacquare il cervello, la sera, a fine giornata. Il sottofondo delle mie giornate è la radio. Non i canali con la musica h24. La musica h24 mi annoia e mi buca i neuroni. La radio invece mi informa, mi intrattiene, mi diverte, mi fa riflettere, mi segue senza distrarmi, la seguo entrando e uscendo dai miei pensieri.

Mi piace la sua sobrietà, il non cercare ossessivamente il sensazionalismo. Mi piace il garbo dei dialoghi e delle interviste, l’ironia di alcuni programmi, la leggerezza ( intesa come sottrazione di pesantezza) di altri. L’equilibrio delle notizie mi ricorda che nel mondo non esiste solo il Covid ma un sacco di altre cose, belle e brutte. Una bella è quella di alcune agenzie di viaggio che non vendono biglietti o vacanze in Egitto, e librerie che affiggono il cartello “Patrick libero subito” di Amnesty International, in segno di protesta contro la detenzione di Patrick Zaki.

La radio racconta storie di gente comune che invece non è comune per niente, come il tizio con la moglie russa conosciuta in Russia dove è stato diversi anni per lavoro ma che ora vive in Giordania, dove è nato suo figlio Yuri, in onore di Gagarin, e che era a Roma a trovare i genitori mentre la moglie e i figli erano dai nonni in Russia. Il mondo in una famiglia. Una vita in una telefonata. Tutta da immaginare.

È un pianeta più civile quello della radio. Niente berci, urla, ugole in primo piano, lacrime facili, insulti, polemiche, divismi. Nemmeno i programmi meno interessanti, forse anche un po’ scemi, scadono nella bega di bassa lega. Almeno, a me non risulta.

La radio è in controtendenza. Non fa uso dell’immagine in un’era in cui questa è predominante. Alla fine, video didn’t kill the radio stars. Anzi. L’assenza di immagine è parte della sua forza, elemento cardine della sua magia. La radio racconta la vita, la tv la mette in scena, con risultati non sempre brillanti, ma questa è un’altra storia.

Compensiamo l’assenza dell’immagine con la nostra di immaginazione, una fantasia lampo, appena il tempo di una telefonata, una voce, una storia. Come un buon libro, la radio stimola e sviluppa la fantasia, apre i canali del viaggio nella memoria, nelle immagini che abbiamo in archivio e che una voce può far riaffiorare, dice un amico fotografo.

Per questo non afferro il senso della “radio che si vede”. Che poi quello che si vede è lo studio radiofonico con i conduttori e gli ospiti, ove siano di persona.

L’ho vista la radio che si vede, mi dice poco. Mi sa di forzatura. L’amico fotografo dice che è per motivi di pubblicità visiva. Sarà, ma io preferisco la radio che non si vede

 

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