LETTA, SALVINI, PARIGI E LO IUS SOLI: “VIVA LA RIVOLUZIONE E ABBASSO LA REAZIONE”
Il neo segretario del Pd, Enrico Letta non ha fatto in tempo a pronunciare l suo primo discorso, all’assemblea nazionale del partito che subito si è attirato le ire e le ironie di Salvini. Che detto così sarebbe già un buon segno. Ad irritare il leader leghista è stato il rilancio da parte di Letta della necessità di approvare in tempi stretti lo “Ius soli“. Certo, in tempi di pandemia e in mezzo al caos vaccini dopo la sospensione di quello prodotto da AstraZeneca, parlare di Is Soli può sembrare anche leggermente fiori quadro e fuori luogo. Può sembrare a chi ragiona di pancia. Non a chi ragiona. Minimamente.
Perché lo Ius Soli è semplicemente una norma di civiltà, una cosa che andrebbe approvata in dieci minuti. Se fossimo un Paese normale. Non è un favore agli immigrati (come forse pensa Salvini e come possono pensare i suoi fans) è una norma di elementare e semplicissima umanità oltre che di diritto civile. Non si tratta infatti di dare la cittadinanza agli stranieri (come qualcuno dice, erroneamente), si tratta semplicemente si riconoscere che “un bambino che nasce in Italia, vive in Italia studia in Italia, cresce italiano e pensa in italiano è un italiano”. Come ha scritto benissimo ieri Michele Serra, che poi ha così proseguito: “Ben più che un principio politico, è un principio umano. Accessibile alla sensibilità e all’esperienza di chiunque viva una vita normale, negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole. Lo Ius soli è un principio popolare, ammesso che veramente si creda nel popolo in carne e ossa, non in quella sua caricatura truce che è il populismo”.
Salvini ha apostrofato Letta chiamandolo “il parigino” sottintendendo con ciò, una sua estraneità al “popolo italiano” e una sua appartenenza – diciamo così – ad una elite europea, metropolitana, una condizione insomma da radical chic, da ricco professore della Sorbona, che ha niente da spartire con le periferie di Roma o di Milano, di Brescia o di Caserta o anche di Perugia. Questo per dire che la proposta dello Ius Soli è una cosa che appassiona solo certi personaggi e classi che stanno ai piani alti e non il popolo, quando invece “nelle campagne, nelle fabbriche, nelle scuole italiane è la realtà quotidiana”. Scrive Serra: “Chi custodisce la vigna con te, chi guida il muletto accanto a te, mangia in mensa con te, ha i figli a scuola con te, forse non è ancora italiano, ma i suoi figli sì, certamente sì, ovviamente sì. Lo capisce anche uno mai stato a Parigi” (sempre Michele Serra).
Ecco: ne parlavamo ieri sera in redazione. E una nostra redattrice che fa di mestiere (quello vero) la maestra elementare faceva notare che tra i suoi alunni, 3 su 23 sono figli di genitori stranieri, e fino a pochi mesi fa erano 6. Tutti nati in Italia. Questo in un piccolo comune, periferico, di provincia, come Cetona. Figuriamoci in una grade città. Perché quei 6 bambini non dovrebbero essere considerati cittadini italiani, quali sono, a tutti gli effetti? Cosa osta? Nulla se non l’ottusità di un popolo imbevuto di propaganda fascistoide latente.
Quanto a quell’epiteto “parigino” (perché come un epiteto lo ha inteso) rivolto da Salvini a Enrico Letta, ha ragione Michele Serra ad augurarsi che Letta rivendichi con orgoglio la sua componente parigina… Perché Parigi “è città del mondo, capitale culturale quanto New York, casa di chiunque ami sentirsi libero” è la capitale del Paese che ha fatto la più grande rivoluzione della Storia. E proprio in questi giorni, per l’esattezza domani, 18 marzo ricorre il 150esimo della “Comune di Parigi” che come la Repubblica Romana, 22 anni prima, fu un grande esperimento sociale e democratico e il primo tentativo di mettere in piedi una società più libera, laica, egualitaria, libertaria e socialista nel cuore dell’Europa.
Michele Serra conclude così: “Viva Parigi, viva la libertà, abbasso la Vandea e gli elmi cornuti.Viva la rivoluzione, abbasso la reazione”. A volte anche lui scrive dei pistolotti buonisti da bravo di ragazzo di sinistra con la pancia e il portafoglio pieni, stavolta ha scritto un pezzo magistrale. Con un finale che ci trova totalmente d’accordo. Bisognerebbe ricominciare a gridarlo più spesso quel “Viva la rivoluzione, abbasso la reazione”, altro che “andrà tutto bene!”
Marco Lorenzoni