LA VITA QUOTIDIANA AL TEMPO DEI SOCIAL. PERCHE’ FARNE A MENO E’ DIVENTATO DIFFICILE (E CONTROPRODUCENTE)
Cosa penso dei social e perché ci sto. Mettiamo in pubblico le nostre idee politiche, le nostre emozioni, i ricordi più intimi come i momenti più insignificanti delle nostre anonime vite, diciamo a tutti quello che in privato non diremmo a nessuno. Attacchiamo lite con gente che non conosciamo, di cui non sappiamo nulla se non quello che ci fanno vedere, e stringiamo salde alleanze con persone che se le avessimo davanti non ci prenderemmo neanche un caffé.
Perché lo facciamo, travolgendo ogni barriera tra pubblico e privato? Per stringere nuovi legami, cercare amicizie, confermare quelle reali ma sempre più deboli che avevamo o per sfuggire alla solitudine sempre più feroce cui i social stessi, complice la pandemia ci condannano? Perché i social sono ormai l’unica, ultima possibilità di comunicazione da quando il “prossimo “, inteso come gli amici del bar, il bottegaio sotto casa, la vicina di quartiere, il nostro barista o ristoratore, ecc, è praticamente scomparso. E il prossimo sui social diventa o un antagonista cui ribattere colpo su colpo o uno spettatore cui mostrare il meglio della nostra vita. O forse lo facciamo per esibire quello che ognuno pensa sia il suo lato migliore o più originale o più definitivo (i capelli appena messi in piega, il loft figo sullo sfondo, il piatto da gourmet appena preparato, il panorama mozzafiato nel weekend o in vacanza, l’esultanza da ultras per la vittoria della squadra, l’affermazione politica, truce e apodittica, o pedante e capziosa a seconda dei caratteri, ecc..).
Forse c’ è questa ricerca di un’approvazione o anche il tentativo di suscitare plauso o perfino invidia, perché quasi nessuno nonostante il crollo della privacy si posta in ospedale o al gabinetto. Fatto sta che ormai tutti noi che stiamo sui social abbiamo una identità social che ci rappresenta, ma non coincide con la nostra reale. Basta pensare a quanto corrispondano le persone che conosciamo a quello che scrivono o mostrano. D’altronde l’occasione che il mezzo offre per restaurare se stessi è troppo ghiotta e pochi resistono. Da qui il lucro miliardario dei giganti del web.
Ma è interessante lo stesso, la gente quando mente nostra il suo lato più vero. Io cerco la verità degli altri nelle loro bugie così come nei loro atteggiamenti, più che nelle parole. Penso anche che la socialità digitale abbia radicalizzato e accelerato un processo che era già in atto da tempo, quello dell’individualismo estremo della vita, della sua polverizzazione e isolamento nell’oceano della rete dove tutto è possibile e niente si realizza.
Uscire dai social, ignorarli allora? Si può anche fare, ma sarebbe come fare a meno della luce elettrica, resteremo al buio definitivo. Perché là fuori, il bar, gli amici, il calore di un abbraccio, di una pacca sulla spalla o di una risata tutti insieme, da un pezzo non ci sono più. C’è rimasto questo. Ed è pur sempre la traccia reale del nostro atavico bisogno non solo di essere riconosciuti, al di là del narcisismo, ma anche di riconoscere l’altro, di udire una voce umana nel frastuono del caos in cui ogni giorno ci immergiamo.
Vincenzo Bologna
C’è un esempio di applicazione web di primaria importanza che non vende i nostri dati e si autofinanzia con le donazioni. È wikipedia. Mi chiedo se non sia possibile creare un social senza scopo di lucro che non venda i nostri dati o si finanzi con la pubblicità. Ci vorrebbe un vasto movimento in tal seno.
Condivido la sintesi che lei fa nella frase finale, ma proprio quella frase sottintende un bisogno, un bisogno naturale, senza il quale saremmo automi in preda a quella legge economica che recita che il progresso tecnico e tecnologico siano due entità diaboliche che applicate alla tipologia dello sviluppo ci costringonoa non farne più a meno.Quindi da quanto sottinteso nelle sue ultime righe si rileva un bisogno tutto umano e non artificiale della tendenza a respingere l’isolamento ed a vivere in socialità per il semplice fatto che se manca questa l’individuo quasi non esiste, o esista solo per far verificare gli scopi del sistema entro il quale sia immerso il progresso tecnico.La tendenza,comunque la si guardi è la tendenza alla disumanizzazione ed i risultati si vedono intorno a noi di certo,anche nelle iniziative più efferate come quelle prese in tempo di pace di distruggere la vita umana tramite i droni( mi viene spontaneamente questo piccolo esempio alla mente adesso…).Oggi basta far atterrare un drone in un davanzale della finestra in Iran od in Siria ed individuare le mosse di chi si voglia distruggere,pigiare un bottone al di là dell’oceano o da una nave in acque internazionali, e annullare con un missile una vita umana di chi reputiamo ci dia noia.Allora, la soluzione sarebbe anche semplice e sarebbe quella di capire che il progresso tecnologico è una cosa strabiliante ma fino a quando serve per rafforzare i punti da dove scaturisca la violenza tale progresso è deleterio per il semplice fatto che chi ne segna indelebilmente la positività o la negatività, è l’uso che il sistema dove siamo immersi tutti ne fà.Si scopre l’acqua calda che sia così, ma purtroppo questo non si è ancora compreso su scala mondiale e nessuno si ribella a questo principio, tantomeno le organizzazioni internazionali che non muovno foglia e non muovendo foglia non fanno che condividere tale principio, e le vediamo sempre pronte a reclamare la pace e a condannare la guerra, quella guerra che scaturisce sempre perchè l’invadenza dei popoli viene spalleggiata da chi se ne serve, o per il mercato di vendita delle armi oppure anche perchè la presenza fra quel popolo di altri che di quel popolo non sono e non hanno nulla a che spartire con esso nè culturalmente, nè di principio economicamente, si arrogano il diritto di essere presenti e di determinare la direzione degli eventi.Un esempio lampante ? L’abbiamo visto con la Syria e con la sua guerra civile, come del resto l’abbiamo visto con la Libia, Irak, Afghanistan.E allora cosa ne dovrebbe derivare da tutto questo se esaminiamo che la globalizzazione ha aumentato le dipendenze di aree direttamente ed indirettamente con altre aree del mondo che fino a ieri nella politica globale non avevano nessuna voce in capitolo e nessuna importanza? Il bastone-se sia lecito definirlo tale- è quello mediatico,usato alle bisogna per giustificare un certo tipo di politica oppure il suo contrario.Nella diatriba appena trascorda Biden-Trump, la convinzione fatta entrare nella testa dei più nel mondo è stata quella più presente che Biden abbia per esempio posto fine all’era delle prepotenze dell’establishment repubblicano e molta gente, la maggior parte crede e pensa che tutto ciò possa essere vero e reale, ma se andassimo a guardare da quale parte vada la politica statunitense e delle alleanze vedremo che stia riprendendo il giuoco-del resto mai smesso- dell’intervento delle multinazionali nelle economie dei vari paesi dove sono insediate, con tutto quanto ne possa derivare.Perchè allora la gente questo non lo vede e non lo legge e non lo sente? La risposta a questa domanda non è forse anch’ essa contenuta dentro l’utilità del sistema a perseguire i propri scopi non curandosi degli aspetti di ciò che possa procurare una tale politica che passa per più umana”, più libera, più di supporto alle popolazioni di tutto il mondo e quindi più democratica? Eppure ampi settori dei partiti europei progressisti hanno alzato grida di giubile all’elezione di Biden e non si è sentito nessuno che si fosse chiesto il significato politico del fato di rimanere con le truppe in Afghanistan ed in Irak? Ecco allora,sarebbe meglio notare al riguardo del complesso mediatico nella quasi stragrande maggioranza dei casi, che esso coadiuva sempre il sistema produttivo ed i suoi scopi ed agisce sempre in diretta connessione e giustificazione delle politiche del sistema in cui è immerso. Acqua calda questa di certo, ma oggi purtroppo anche se fosse acqua bollente, la gente è inebetita a tal punto che nemmeno se precipitasse un asteroide sulla terra del tipo quello della Tunguska del 1908 si sveglierebbe dal torpore nel quale i media l’hanno addormentata…..la famosa teoria della rana bollita.E allora nei riguardi di tale rana, è libera di tuffarsi nell’acqua e nuotare quanto voglia ma quando l’acqua diventa sempre più calda ed infine da calda a bollente, la rana cade in un torpore e diventa lessa…che fra l’altro è anche cattiva, quindi non serviremmo d’esempio ad altri nemmeno dopo morti perchè credo che abbiano previsto anche quest’ultima condizione. I morti inducono alla rivolta ed inducono a pensare, ma quando uno non pensa perchè non è previsto che lo possa fare, allora come suol dirsi si è ” cornuti e mazziati”.