MAYDAY, IL PRIMO SINGOLO DI GIACOMO “ROST” ROSSETTI ORA ANCHE CANTANTE E NON SOLO OTTIMO BASSISTA

mercoledì 02nd, dicembre 2020 / 16:27
MAYDAY, IL PRIMO SINGOLO DI GIACOMO “ROST” ROSSETTI ORA ANCHE CANTANTE E NON SOLO OTTIMO BASSISTA
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Da qualche giorno è disponibile su tutte le piattaforme digitali Mayday, il primo singolo di Giacomo “ROST” Rossetti, polistrumentista pievese e da sei anni bassista dei Negrita.

Il disco (un tempo si chiamavano così) mette insieme rock, atmosfere un po’ dark e il linguaggio parlato tipico del rap. Anche se Giacomo Rossetti detto Rost non è e non si sente un rapper… “Però – dice in una intervista ad una rivista musicale  –  nasce tutto dall’esigenza di trovare un modo di comunicare più contemporaneo e nel 2020 non si può non tenere in considerazione tutto quello che è il fenomeno rap e hip hop e il relativo stile. Inoltre nella musica con cui sono cresciuto spesso ci si ritrova a confrontarsi col linguaggio del rap, perchè anche se i primi dischi che ho ascoltato erano quelli del rock anni ’70 di mio padre, quindi Led Zeppelin, Pink Floyd, Deep Purple, poi nella mia adolescenza ho scoperto gruppi come i Red Hot Chili Peppers e i Rage Against The Machine, dove il parlato è molto presente. Evidentemente questa cosa dentro di me è rimasta, quindi l’anno scorso quando sono nate queste canzoni mi sono sentito a mio agio ad usare questo linguaggio e questo tipo di comunicazione”.

A Rost piacciono le contaminazioni e la musica “contaminata”, quella che mette insieme stili espressivi e sound diversi. Diversi linguaggi che spaziano dal rock classico al blues fino appunto all’Hip Hop e al Rap che sono da anni l’espressione della musica giovanile e metropolitana per antonomasia. Il  singolo Mayday che è un grido di aiuto, Giacomo Rossetti lo ha prodotto in proprio, insieme ad un amico di sempre: Enrico Giovagnola. I due si sono spalleggiati e sostenuti sia negli arrangiamenti che nel mixaggio e il risultato è di tutto rispetto.

Certo, per chi conosce Giacomo Rossetti come eccellente strumentista, non a caso è il bassista di una band importante come i Negrita, trovarselo di fronte come cantante è stato sicuramente una sorpresa. Più che cantare parla, Rost, ma non dice cose banali e con il suo strano rap torna anche alle origini del genere, ad un testo che affronta temi molto intimi e privati, ma in un contesto sociale che ti frega appena giri le spalle…

Mayday è un singolo dicevamo, ma è anche il primo tassello di un progetto più ampio, fatto di altri brani, sempre elaborati insieme a Enrico Giovagnola che usciranno più avanti.

“Il mio obiettivo – dice ancora Rost nell’intervista citata – è di comunicare qualcosa che sia vero, che non sia patinato come quei prodotti che purtroppo il mondo della musica oggi presenta troppo spesso. Tutto il progetto si basa sull’essere veri, e sono tutte piccole parti di me, anche molto intime, che ho riversato in musica, e dai primi commenti positivi che sto ricevendo questa per me è già una vittoria”. E poi continua: “Oggi forse inseguiamo dei modelli e degli stereotipi che ci vogliono sempre perfetti, infallibili, e questa cosa è pericolosissima: pensare di essere perfetti e di non essere fallibili è forse uno dei problemi più seri che la mia generazione e quella successiva alla mia stanno affrontando in questo momento, perché ci si ritrova sempre a confrontarsi con questi esempi di perfezione finta e questa cosa mina profondamente le proprie sicurezze, le proprie aspettative di vita. Mayday è proprio un pezzo che parla di questo, in cui dico che sono arrivato a questo punto della mia vita dove ho scoperto che perdersi fa bene, che sbagliare fa veramente bene, che gridare “mayday” fa bene, perché per me ha voluto dire trovare la forza e il coraggio di tirare fuori la parte più intima di me stesso che aveva l’esigenza e il bisogno di uscire ma che non trovava il suo spazio. (…) In quel Mayday c’è un grido che è anche un bisogno di riprenderci la parte “umana” di noi stessi, quella che sbaglia, e valorizzarla per quello che è veramente, perché è quella parte di noi che muove le cose, che ci smuove come persone e forse è anche la parte migliore dell’essere umano ma che ultimamente abbiamo un po’ sepolto in nome di un’apparente perfezione da mettere in mostra sui social.
Io non condanno assolutamente la tecnologia, anzi, però secondo me dobbiamo un attimo rivedere l’utilizzo che ne facciamo. Senza stare a fare i boomer, però ci vorrebbe un po’ più di umanità”…

L’emergenza Covid ha fermato la musica dal vivo, i concerti, le serate. Anche le prove dei musicisti. E’ un periodaccio. E proprio l’inattività forzata in qualche caso aguzza l’ingegno, la voglia di fare comunque qualcosa, di uscire – anche solo virtualmente – dal tunnel. Giacomo

Rost Rossetti racconta così questa voglia: “paradossalmente anche l’essere costretto a casa ha permesso che qualcosa succedesse, perché probabilmente se avessi continuato coi tour e con la vita di prima non avrei neanche avuto il tempo di fare quello che sto facendo.
Poi ovvio, la vita di tour, il palco, vedere la gente, nutrirsi di quell’energia lì mi manca come manca a tutti quelli che fanno il mio lavoro, però non possiamo farci niente, se non aspettare tempi migliori”. Con un pizzico di fiducia: “Lo scotto di questa situazione l’hanno già pagato e continueranno a pagarlo le grandi produzioni. Magari se per motivi di forza maggiore sarà possibile fare musica solamente in situazioni più piccole alcuni artisti, soprattutto emergenti, potrebbero anche trovare un loro spazio e un nuovo mondo, quindi per chi ha progetti nuovi e nuove cose da dire questo momento può anche rivelarsi positivo”.

m.l.

 

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