L’ARCHIVIO STORICO DI CITTÀ DELLA PIEVE. UNA STORIA LUNGA E TRAVAGLIATA

martedì 06th, ottobre 2020 / 14:39
L’ARCHIVIO STORICO DI CITTÀ DELLA PIEVE. UNA STORIA LUNGA E TRAVAGLIATA
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Città della Pieve custodisce un patrimonio inestimabile dislocato tra Palazzo Fargna, sede del Comune, e Palazzo Orca, collocazione quest’ultima, scelta e predisposta ad accogliere la preziosa documentazione dalla precedente Amministrazione Comunale nel 2016.

Si tratta dell’Archivio storico comunale che documenta la storia non solo di Città della Pieve ma di tutto il territorio circostante dal 1200 circa fino ai primi del 900, includendo una ricca tipologia documentaria tra cui l’archivio propriamente storico -che parte dal 1364-, il giudiziario -che va dal 1596 al 1861-, il notarile con circa 1.172 protocolli di cui molti sono atti di natura privata. Tale è il pregio che la Soprintendenza ai beni Archivistici dell’Umbria ha valutato l’Archivio Notarile-Mandamentale di Città della Pieve tra i primi quindici dell’Umbria.

Se ne è tornato a parlare in occasione delle giornate europee del patrimonio culturale, il 26 settembre scorso, al Museo Civico Diocesano di Città della Pieve con i seguenti relatori:

  • Giovanna Giubbini, soprintendente archivistica e bibliografica dell’Umbria e Marche, moderatrice
  • Luca Marchegiani, assessore alla cultura del Comune di Città della Pieve
  • Marilena Rossi, ex direttore dell’Archivio di Stato di Terni
  • Odir Dias, archivista, ex direttore dell’Archivio Centrale dell’Ordine dei Servi di Maria
  • Don Simone Sorbaioli, parroco di Città della Pieve

 

Attualmente, la raccolta più conosciuta è quella notarile. L’archivista Odir Dias, che ne ha consultato oltre 2.600 fogli (15 registri di 8 notai nel periodo che va dal 1300 al 1400) parla di uno schedario ricchissimo che permetterebbe di ricostruire la vita quotidiana nel 400 della piccola, allora quasi sconosciuta, Castel della Pieve.

Proprio tra il 1300 e il 1400 la Storia narra di un declino del ruolo politico e sociale dei notai il cui servizio ai privati diventa pertanto la principale occupazione. Al notaio, nell’antica dizione, notaro (dal latino notare, cioè “annotare”, “prendere nota”), si ricorreva per qualunque tipo di contratto e/o vicenda che richiedesse una testimonianza legale scritta: prestiti, testamenti, inventari di beni, e tanti contratti di matrimonio.

Ma anche altre tipologie contrattuali che, qualche secolo più tardi, avrebbero fatto rizzare i capelli alla Merlin dell’omonima legge. Per il solluchero invece di un Alfonso Signorini del terzo millennio, nel suo intervento del 26 settembre, Odir Dias racconta di un “contratto di concubinato” (actum in terra Castri Plebis in apoteca Angelo Dominici), risalente al 1456.

Alla presenza del notaio Cola di Iacopo, Il calzolaio Giovanni e suo figlio Tommaso, promettono che detto Tommaso prenderà con sè tale Caterina di Germania, come sua concubina ( in eius concubinam) dandole vitto e alloggio. Nel caso in cui Tommaso avrà da lei uno o più figli e la moglie di Tommaso verrà a morire, o i coniugi si separeranno, Tommaso sposerà Caterina e le darà in dote 40 fiorini (et eam dotare de florenis XL). Se invece detta Caterina non avrà figli o non vorrà più stare con Tommaso, oppure Tommaso non vorrà più tenerla, allora lui le dovrà dare 20 fiorini (ei dare florenos XX), a meno che Caterina non commetta adulterio con qualcun altro.

La storia dell’Archivio è, tuttavia, piuttosto lunga e travagliata.

Nel corso degli anni 70 la Soprintendenza effettua diversi sopralluoghi in cui rileva una situazione critica per stato di abbandono e disordine della preziosa documentazione. Nel 1988, a seguito di sollecitazioni della Soprintendenza stessa, l’allora assessore comunale si adopera per ottenere i finanziamenti volti al restauro e alla conservazione. Ma una vera e propria opera di ordinamento e inventariato inizia solo nel 1997, con un progetto affidato alla Cooperativa Archivum di Terni che ci lavora con strascichi fino al 2000.

Nel 2005, a seguito di un’ispezione, la funzionaria della soprintendenza archivistica per l’Umbria, Francesca Tomassini, redige un elenco che suddivide la documentazione in epoca preunitaria e postunitaria, descrivendo per ciascuna parte le serie, la consistenza e gli estremi cronologici. Nel corso dell’incontro tenutosi il 26 settembre, chiedo se esiste un inventario consultabile. I relatori rispondono che ne esiste uno parziale, non ancora terminato a causa anche della disponibilità dei finanziamenti.

Il responsabile comunale addetto all’archivio mi conferma che la riordinazione invece è terminata. Mancherebbe soltanto una piccola scatola. Mi spiega che Palazzo Orca ospita l’archivio mandamentale, notarile e storico mentre a Palazzo Fargna ci sono gli atti del Comune divisi nelle sezioni classiche di amministrazione, urbanistica, gestione servizi pubblici, eccetera. La riordinazione dell’archivio storico è per macroargomenti, divisi in faldoni, ma non esiste una catalogazione dei singoli documenti. L’archivio notarile è invece diviso per notai e anno di erogazione degli atti.

In teoria l’archivio è fruibile, aperto al pubblico, come assicurano gli addetti ai lavori. In pratica però i locali non sono accessibili. È fruibile nella misura in cui chiunque voglia, può richiedere al Comune copia dell’inventario prima e del documento cui è interessato poi, per consultarlo successivamente in sede comunale, alla presenza di un funzionario. Il responsabile del Comune mi dice anche che nel caso in cui il reperimento di un documento dovesse risultare più complesso del previsto, la consultazione del faldone di riferimento può essere fatta insieme al richiedente.

A detta degli studiosi, l’inventario finora redatto non è accurato. Nel corso della sua esposizione, Odir Dias ha rilevato che la consultazione non è affatto semplice in quanto non sempre la registrazione di atti e documenti corrisponde all’inventario.

Dias non è l’unico a notare la difficoltà. Alcuni studiosi, per lavoro o per passione, contattati sull’argomento, hanno espresso le stesse perplessità circa l’efficacia della procedura di richiesta, sottolineando che si potrebbe sapere cosa si cerca ma non in quale documento ( o anno, o argomento) cercare, e che l’accesso ai locali dell’archivio offrirebbe maggiori opportunità di orientamento e ricerca. I diversi interpellati suggeriscono peraltro l’imprescindibilità di un responsabile di archivio, una figura qualificata che abbia contribuito alla riordinazione della documentazione. In pratica, una guida per chi voglia, o debba, affrontare la complessità di una ricerca archivistica.

I più ambiziosi auspicano il trasferimento dell’intero patrimonio in un unico edificio adibito allo scopo. Un progetto pregevole, di notevole investimento economico, che, tuttavia, offrirebbe a Castel della Pieve il lustro e la sede di uno dei quindici archivi storici più importanti della regione.

Elda Cannarsa

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