CALCIO E CICLISMO, OGGI E 50 ANNI FA: TUTTA UNA QUESTIONE DI NOMI…

lunedì 07th, settembre 2020 / 16:31
in Sport
CALCIO E CICLISMO, OGGI E 50 ANNI FA: TUTTA UNA QUESTIONE DI NOMI…
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CHIUSI – Ormai è raro trovare anche solo un amico per fare quattro chiacchiere al bar. Tra mascherine e distanziamenti, la maggior parte della gente il bar lo evita. E’ domenica, per la precisione il 6 settembre, che a Chiusi scalo sarebbe stata la domenica dei Ruzzi della Conca, con il corteo in costume e la sfida del Bracciale, c’è poca gente in giro. Aria triste e qualcosa che manca anche a chi non è esattamente un fan sfegatato della festa paesana. Un amico al bar lo trovo. Eureka! direbbe Archimede Pitagorico… Non potendo parlare della festa e stendendo un velo pietoso sulla situazione politica locale, il discorso scivola facilmente e inevitabilmente sul pallone. Calciomercato, stadi vuoti, bizze dei giocatori, musi lunghi a 10 milioni di euro l’anno… E’ dura digerire certe cose, per chi fa fatica ad arrivare a fine mese e a far quadrare i bilanci tanto più adesso in tempi di pandemia e di ristrettezze generali… Parlando si fanno confronti tra l’oggi e ieri e pure l’altro ieri. Dal pallone si passa al ciclismo, al Tour che è in corso… ma le considerazioni sono più o meno le stesse… si ragiona di come sia cambiato lo sport negli ultimi 40-50 anni, come se stessimo parlando dell’economia di mercato, del Pil degli stati o delle filosofia che sta alla base del pensiero di sinistra… Ma il ragionamento ci porta presto ad una considerazione elementare. Che è una specie di uovo di Colombo: per capire come e quanto sia cambiato il mondo del calcio e il gioco del calcio, ma anche il ciclismo – per rimanere ai due sport più popolari – basta confrontare i nomi dei protagonisti di ieri e quelli di oggi. Sì, i nomi di battesimo. Anche le facce, che un tempo sembravano facce di vecchi o di uomini maturi anche se avevano solo 20 anni, ma i nomi di più. Sono più emblematici di come sia cambiata anche l’Italia. Di come un paese contadino è diventato un’altra cosa…

Esempio: beh, pensateci: come si chiamano i giovani campioni italiani di oggi? Federico (Bernardeschi e Chiesa), Niccolò (Zaniolo e Barella), Alessandro (Bastoni e Florenzi), Lorenzo (Insigne e Pellegrini), Gianluca (Mancini), magari Patrik (Cutrone)…  e quelli di qualche anno fa? Francesco (Totti), Alessandro (Del Piero), Roberto (Baggio e Mancini), Gianluca (Vialli), Daniele (De Rossi)…

Pensate ai nomi dei calciatori anni 50-60:  il trio difensivo della grande Inter di Herrera schierava Tarcisio, Giacinto e Aristide…  il portiere dell’Inter di qualche anno dopo, Vieri si chiamava Lido; il terzino destro della Fiorentina campione d’Italia nel 1955-56, Magnini di nome faceva Ardico, il terzino sinistro del secondo scudetto, 1968-69, Mancin invece si chiamava Eraldo. Il libero della Juve anni ’60 Castano si chiama Ernesto, l’ala sinistra di quella squadra Stacchini, Gino, come Bartali. Già come Bartali. Anche i ciclisti un po’ prima di Felice Gimondi e Gianni Motta si chiamavano Fiorenzo (Magni), Imerio (Massignan), Idrio (Bui), Primo (Volpi) e poi Vito (Taccone), Marino (Basso)…

Nomi che raccontano un’Italia diversa. Più povera. Più ruspante.Un’Italia contadina.  Sia quelli dei calciatori che quelli dei corridori sono nomi che si adattano  facce con le rughe, a facce sporche di fango, più  che alle copertine patinate o ai selfie con i capelli tagliati all’ultimo grido e i tatuaggi in bella vista. La differenza è abissale. C’è in questa differenza un salto epocale di cultura materiale. C’è il passaggio da un’epoca ad un’altra. Chiaro che sia cambiato anche il modo di giocare, o di correre in bici, la velocità, la cura del corpo, l’atteggiamento fuori dal campo dei giocatori o dei ciclisti. Perché è cambiato il mondo. Quei nomi, Imerio, Idrio, Primo, Aristide, Eraldo,  Tarcisio sapevano di campagna, di fieno, al massimo trasmettevano l’odore di una fornace di mattoni, o di olio lubrificante da officina; raccontavano di allenamenti a cui si andava con l’autobus. Di biciclette riparate e preparate nel garage di casa, di borracce piene di zabaione e caffè…

Oggi c’è un ritorno alla riscoperta di certi nomi come Ida, Ada, Elda, Livia, Delia per le bambine, o Giulio, Pietro, Amedeo per i bambini, ma chi si sognerebbe di chiamare un figlio Gino, Aristide, Imerio o Ardico? Già Felice o Ernesto, Marino o Eraldo sono assai rari. Praticamente cancellati dal vocabolario. Sembrano nomi da vecchi anche se li hanno portati eroi di gioventù come Facchetti, Burgnich, Bartali o Gimondi…

La storia e i cambiamenti passano anche attraverso i nomi delle persone. Il calcio e il ciclismo son diversi da quelli che erano 50 ani fa, perché adesso nessuno si chiama Giacinto anche se corre sulla fascia o Primo se è bravo a fare le volate… Ma è sempre stato così, i nomi segnano il passo del cambiamento, come l’orologio segna il passare del tempo.

I brigatisti rossi erano terroristi, ma nessuno tra quelli noti rispondeva al nome di Carlo Camillo, come quel Di Rudio, garibaldino bellunese che era pure lui un terrorista e nel 1859 partecipò all’attentato a Napoleone III davanti all’Operà di Parigi che poi riuscì pure a scappare dalle prigioni della Cajenna…

m.l.

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