SEI ISTERICA. HAI IL CICLO?

Accade ancora oggi che:
Se durante una discussione un uomo si agita, è assertivo. Se durante una discussione una donna si agita, è aggressiva.
Se un uomo si irrita (e alza la voce) è esasperato. Se una donna si irrita (e alza la voce) è aggressiva.
Se un uomo perde la pazienza è implicito che qualcuno (quasi certamente qualcunA) gliel’ha fatta perdere. Se una donna perde la pazienza, è aggressiva.
Se un uomo riesce ad imporre il suo pensiero, è uno tosto. Se una donna riesce ad imporre il suo pensiero, che ve lo dico a fare, è aggressiva.
Insomma. Per la mutevolezza dell’animo e della mente maschili esiste un’ampia gamma di aggettivi, per quella femminile ne basta uno. Fa eccezione (come ogni regola confermata) la “cazzuta” (o quellaconlepalle), tipa che, grazie ad una temporanea dotazione di attributi, si tramuta in supereroina e riesce in imprese particolarmente difficili, come far valere il proprio pensiero ( che nell’universo femminile è classificata come impresa difficile).
Va da sè che nel mondo delle donne non esistono rabbia, insofferenza, sofferenza, fatica, frustrazione, disagio, ma solo diversi gradi di isteria (formato dal greco ystèra, cioè utero), che determinano diversi gradi di aggressività.
Il riferimento all’utero come causa di tutti i mali lo dobbiamo alla storia. Con sottile abilità gli artigiani della misoginia hanno intessuto una tela così fitta (Penelope togliti di mezzo) da restare intatta nei secoli dei secoli.
In principio era Ippocrate, poi ne vennero tanti (troppi) altri tra religiosi, filosofi, scienziati e psicanalisti di cui, però, non canterò le gesta, chè lo spazio è quello che è. Ma in qualità di capostipite della scuola del più antico pregiudizio, l’illustre medico della Grecia antica merita una nomination. Ippocrate riteneva che l’utero fosse un organo mobile, soggetto, in condizioni patologiche, a migrare per il corpo della donna, fissandosi ora ad un organo, ora ad un altro. Tipo tenia. Non pago dell’illustre scoperta, si premurò anche di investigare sullo strano caso del ciclo mestruale:
Non è facile trovare qualcosa di più prodigioso del flusso mestruale delle donne. All’arrivo di una donna mestruata il mosto inacidisce, toccate da lei le messi isteriliscono, muoiono gli innesti, bruciano le piante dei giardini; dove lei si siede i frutti cadono dagli alberi, al solo suo sguardo si appanna la lucentezza degli specchi, si ottunde il ferro, si oscura la luce dell’avorio, muoiono le api degli alveari, arrugginiscono istantaneamente il bronzo e il ferro e il bronzo emana un odore terribile; bevendo il liquido mestruale, i cani vengono presi dalla rabbia e il loro morso è affetto da un veleno insanabile.
Una versione più o meno simile, mai e poi mai scientificamente provata, la ritroviamo nell‘Antico Testamento: quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. Vox Bibbia vox populi, la credenza si è diffusa e ripetuta nei secoli fino ad oggi. E amen.
In sintesi, chi dice donna dice danno. Strofa iniziale di una terzina del ‘600 che qualche bontempone scrisse sulla statua parlante di Pasquino a Roma per far sapere a Papa Innocenzo X che sua cognata, Olimpia Maidalchina, per gli amici La Papessa, non era gradita al popolo. La terzina integrale diceva così: chi dice donna, dice danno / chi dice femmina, dice malanno / chi dice Olimpia Maidalchina, dice danno malanno e rovina. La Papessa, appunto. Non tutto il genere femminile. Eppure, quella strofa troppo bene si sposava con l’antico pregiudizio. Come potevamo non trasformarla in proverbio?
Divagazioni poetiche a parte, a queste figlie di Satana, impure e infette una volta le chiamavano streghe e le bruciavano. Oggi ci si ingegna con soppressioni più fantasiose, e qualche sprazzo incendiario per rispetto delle tradizioni. A ventiquattro secoli di distanza dalle rudimentali rivelazioni di Ippocrate, il mito resiste (e insiste) nel dipingere le donne come esseri inaffidabili, difettosi, incapaci di gestire emozioni e raziocinio, ammesso che ne abbiano uno. Non si arrabbiano per rabbia ( o insofferenza, sofferenza, fatica, frustrazione, disagio) ma per colpa del ciclo che le rende isteriche e insoddisfatte o, più tardi nella vita, della menopausa che le rende acide e insoddisfatte.
Ancora oggi fratelli/compagni/mariti/coinquilini/amanti, insomma l’altro sesso, vittime di attacchi selvaggi senza precedenti (nel senso che non conservano memoria di passate avvisaglie), annaspano in quell’ira che attribuiscono (sempre e solo) al prodigioso flusso, tentando di placarla con frasi da manuale tipo Stai calma (lenitivo quanto un’ overdose di cocaina), o un più classico Non alzare la voce che ci sentono tutti, efficace quanto un cocktail di ginseng e guaranà.
Sei nervosa? Hai il ciclo. Hai la lacrima facile…hai il ciclo.
O forse no. Le tue emozioni ti rendono più forte. Che tu abbia il ciclo o no.
Il ritratto di donna più anti-stereotipo del terzo millennio è uno spot pubblicitario della Lines
ciclo, flusso mestruale, Ippocrate, stereotipi donne
Mah, se dovessi basarmi su codeste concezioni dell ‘ uomo che dipingi-se pur vere in tanto genere umano maschile ma anche femminile,direi proprio che personalmente non ne condivida nemmeno una. So bene alla matura età che ho che avvienga ciò che dici,ma espresso in quel modo mi sembra che le considerazioni che fai partano da un assunto che in chiave cultural-moderna possano rappresentare una estremizzazione, anche scontato ciò che realmente nel rapporto uomo-donna quelle cose e considerazioni che hai fatto succedono eccome, soprattutto dalla parte degli uomini verso le donne.E tali idee rendono la vita vissuta fra i due sessi in maniera competitiva, quasi sempre prevalente dell’un sesso sull ‘altro ,dando spesso origine ad insoddisfazioni ed anche ad una vita stravolta da parte di entrambi.Cosa ne esce da tutto questo in un giudizio che abbia l’obiettivita’ in un binario guida? Credo si tratti della prevalenza della ragione di entrambi i sessi se l’aspetto valoriale del rapporto sia parallelo e condiviso profondamente ed anche accompagnato ad un senso di umiltà che in un certo qual modo tutto maschile oggi manca ma manca anche al modo femminile di raffrontarsi.In tutto questo credo che ci si possa basare anche su cosa abbiano dato o non dato le rispettive famiglie all’uomo ed alla donna nel loro divenire e nella loro educazione fornita.Da tale punto di vista i tempi che viviamo sulla ricerca della tendenziale parita’ fra uomo e donna,molte volte mi appaiono artificiosi anche oggi,se pur considerando l’escursus verso l’alto della condizione femminile nel tempo,che personalmente concepisco doveroso ed irrinunciabile ma che credo debba essere scevro da impostazioni di prevalenza dell’un sesso sull’altro e mi rendo perfettamente conto che la storia da dove provengono le cose e le condizioni pesa non poco nella lotta e nella fatica a liberarsi dalle zavorre che da secoli le donne si portano dietro.Tanti aspetti soprattutto legati alla politica soprattutto sordamente e velatamente le vorrebbero rigettare all’indietro ma spero e credo che nella razionale lotta per la loro emancipazione in un mondo segnato e deciso dagli uomini possano risultare alla fine vincitrici delle aspettative che non sono solo le loro ma anche degli uomini.Marx scrisse: “l’uomo sarà libero quando la donna sarà libera”.Credo che possa essere un concetto giusto.Quindi per finire il mio prolisso commento alla tua visione,credo di poter dire ed osservare che da parte delle donne vengano spesso evocate le cose che hai detto da addossare agli uomini ma spesso il modo è anche sostanza e la ricerca nell ‘aspetto valoriale che hai evocato fra le righe pur dicendo cose e condizioni vere anche negli aspetti epistemologici,mi appaiono recanti una avversione naturale nutrita verso gli uomini,che per quanto mi riguarda-come del resto succede per le donne- come valore assoluto li ritengo non degni di sottolineatura.Almeno agli occhi di un lettore che si possa ritenere razionalmente ed emotivamente paritario.Se poi andassimo a scandagliare le società del terzo mondo, non solo quelle mussulmane e buddiste ma anche quelle Cristiano-cattoliche allora forse vedremmo che le disparità e che le concezioni del rapporto uomo donna non siano sottoposte alle teorie del liberalismo e della laicità occidentali,ma ci sarebbe da riflettere però anche sul relativismo all ‘interno di quelle societa’ vedremmo che il metro di misura che riusciamo ad applicare sia solo quello che tenga presente la cultura occidentale che si erige a giudizio della vita e delle concezioni di un resto del mondo senz’altro più popoloso del nostro e spesso anche più evoluto sotto l’aspetto delle concezioni umanitarie,spesso imbarbarite dalla nostra presenza.
Elda sei fortissima, alla faccia dei maschilisti!
Viva Bruno!
Poverina, una che scrive e vive con questi schemi di pensiero, chissà quante ne ha passate in vita sua, senza essere riuscita a fare un serio percorso di auto analisi ed elaborazione. In ogni asserzione dell’autrice si nota purtroppo una autostima bassissima. Consiglio vivamente un serio professionista che la segua, per evitare che tali problemi mentali sfociano in comportamenti lesionistici ed auto-lesionistici.
Tanti cari auguri.