SEI ISTERICA. HAI IL CICLO?

giovedì 09th, luglio 2020 / 16:08
SEI ISTERICA. HAI IL CICLO?
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Accade ancora oggi che:

Se durante una discussione un uomo si agita, è assertivo. Se durante una discussione una donna si agita, è aggressiva.

Se un uomo si irrita (e alza la voce) è esasperato.  Se una donna si irrita (e alza la voce) è aggressiva.

Se un uomo perde la pazienza è implicito che qualcuno (quasi certamente qualcunA) gliel’ha fatta perdere. Se una donna perde la pazienza, è aggressiva.

Se un uomo riesce ad imporre il suo pensiero, è uno tosto. Se una donna riesce ad imporre il suo pensiero, che ve lo dico a fare,  è aggressiva.

Insomma. Per la mutevolezza dell’animo e della mente maschili esiste un’ampia gamma di aggettivi, per quella femminile ne basta uno. Fa eccezione (come ogni regola confermata) la “cazzuta” (o quellaconlepalle), tipa che, grazie ad una temporanea dotazione di attributi, si tramuta in supereroina e riesce in imprese particolarmente difficili, come far valere il proprio pensiero ( che nell’universo femminile è classificata come impresa difficile).

Va da sè che nel mondo delle donne non esistono rabbia, insofferenza, sofferenza, fatica, frustrazione, disagio, ma solo diversi gradi di isteria (formato dal greco ystèra, cioè utero), che determinano diversi gradi di aggressività.

Il riferimento all’utero come causa di tutti i mali lo dobbiamo alla storia. Con sottile abilità gli artigiani della misoginia hanno intessuto una tela così fitta (Penelope togliti di mezzo) da restare intatta nei secoli dei secoli.

In principio era Ippocrate, poi ne vennero tanti (troppi) altri tra religiosi, filosofi, scienziati e psicanalisti di cui, però, non canterò le gesta, chè lo spazio è quello che è. Ma in qualità di capostipite della scuola del più antico pregiudizio, l’illustre medico della Grecia antica merita una nomination. Ippocrate riteneva che  l’utero fosse un organo mobile, soggetto, in condizioni patologiche, a migrare per il corpo della donna, fissandosi ora ad un organo, ora ad un altro. Tipo tenia. Non pago dell’illustre scoperta, si premurò anche di investigare sullo strano caso del ciclo mestruale:

Non è facile trovare qualcosa di più prodigioso del flusso mestruale delle donne. All’arrivo di una donna mestruata il mosto inacidisce, toccate da lei le messi isteriliscono, muoiono gli innesti, bruciano le piante dei giardini; dove lei si siede i frutti cadono dagli alberi, al solo suo sguardo si appanna la lucentezza degli specchi, si ottunde il ferro, si oscura la luce dell’avorio, muoiono le api degli alveari, arrugginiscono istantaneamente il bronzo e il ferro e il bronzo emana un odore terribile; bevendo il liquido mestruale, i cani vengono presi dalla rabbia e il loro morso è affetto da un veleno insanabile.

Una versione più o meno simile, mai e poi mai scientificamente provata, la ritroviamo nell‘Antico Testamento: quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. Vox Bibbia vox populi, la credenza si è diffusa e ripetuta nei secoli fino ad oggi. E amen.

In sintesi, chi dice donna dice danno. Strofa iniziale di una terzina del ‘600 che qualche bontempone scrisse  sulla statua parlante di Pasquino a Roma per far sapere a Papa Innocenzo X che sua cognata, Olimpia Maidalchina, per gli amici La Papessa, non era gradita al popolo. La terzina integrale diceva così: chi dice donna, dice danno / chi dice femmina, dice malanno / chi dice Olimpia Maidalchina, dice danno malanno e rovina. La Papessa, appunto. Non tutto il genere femminile. Eppure, quella strofa troppo bene si sposava con l’antico pregiudizio. Come potevamo non trasformarla in proverbio?

Divagazioni poetiche a parte, a queste figlie di Satana, impure e infette una volta le chiamavano streghe e le bruciavano. Oggi ci si ingegna con soppressioni più fantasiose, e qualche sprazzo incendiario per rispetto delle tradizioni. A ventiquattro secoli di distanza dalle rudimentali rivelazioni di Ippocrate, il mito resiste (e insiste) nel dipingere le donne come esseri inaffidabili, difettosi, incapaci di gestire emozioni e raziocinio, ammesso che ne abbiano uno. Non si arrabbiano per rabbia ( o insofferenza, sofferenza, fatica, frustrazione, disagio) ma per colpa del ciclo che le rende isteriche e insoddisfatte o, più tardi nella vita, della menopausa che le rende acide e insoddisfatte.

Ancora oggi fratelli/compagni/mariti/coinquilini/amanti, insomma l’altro sesso, vittime di attacchi selvaggi senza precedenti (nel senso che non conservano memoria di passate avvisaglie), annaspano in quell’ira che attribuiscono (sempre e solo) al prodigioso flusso, tentando di  placarla con frasi da manuale tipo Stai calma (lenitivo quanto un’ overdose di cocaina), o un più classico Non alzare la voce che ci sentono tutti, efficace quanto un cocktail di ginseng e guaranà.

Sei nervosa? Hai il ciclo. Hai la lacrima facile…hai il ciclo.

O forse no. Le tue emozioni ti rendono più forte. Che tu abbia il ciclo o no.

Il ritratto di donna più anti-stereotipo del terzo millennio è uno spot pubblicitario della Lines

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