11 LUGLIO ’82, QUELLA “VITTORIA MUTILATA”

sabato 11th, luglio 2020 / 18:07
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11 LUGLIO ’82, QUELLA “VITTORIA MUTILATA”
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  1. L’11 luglio del 1982 ero in vacanza, in campeggio a Roccaraso, Abruzzo con alcuni amici. Tutti appena sposati. O comunque sposati da poco. Tenda canadese a due posti (scarsi) per coppia. Una roba che oggi potrebbe sembrare una tortura. Eravamo 6 della zona, ma subito facemmo comunella con dei ragazzi di Chieti e un “trio” (due uomini e una donna) piuttosto anomalo di dialetto veneto, che poi scoprimmo da confidenze notturne davanti al fuoco e a una birra, avere qualche scheletrino nell’armadio. Del resto erano anni bui. Nell’80, due estati prima c’erano state le stragi di Ustica e poi alla Stazione di Bologna. Dalle nostre parti nel febbraio dell’82 avevano scoperto una cellula brigatista con tanto di arsenale nascosto a Caioncola, nei pressi d Moiano… L’autonomia operaia, gli “indiani metroplitani” e una miriade di gruppuscoli, di radio alternative, di collettivi diventarono una specie di zona grigia sospesa tra la politica antagonista e le bande armate del terrorismo rosso. Dall’altra parte c’era poi il terrorismo nero, feroce, stragista, connesso con apparati deviati dello Stato conniventi…

Nell’estate del 1982 come automobile io avevo una Renault 4 blu, la prima automobile tutta mia, e la R4 in quel periodo era una macchina segnalata a vista, una macchina che la polizia e i carabinieri fermavano a prescindere, perché era la macchina in cui fu fatto trovare il corpo di Aldo Moro e anche perché era considerata una sorta di “status symbol” degli estremisti di sinistra, “el coche del pueblo”, la vettura popolare, che usavano i fruttivendoli, ma anche i ragazzi, perché era robusta, comoda, spartana, con le ruote alte, quindi adatta anche a percorsi accidentati, con il portellone dietro che la faceva diventare la station wagon dei poveri… A Chiusi, per dire, in quel periodo, tra i miei amici almeno 4 o 5 avevano ache loro la R4…  Qualcun altro la Dyane della Citroen, sempre fabbricazione francese, leggermente più debole come motore e come carrozzeria. Auto utilitarie, ma a differenza della 500 o della 126 Fiat decisamente più spaziose e versatili. Chissà perché ci piacevano le macchine francesi, forse perché i francesi, almeno loro, la ruvoluzione k’avevano fatta davvero

Ecco l’11 luglio dell’82 si giocò Italia-Germania, finale del Campionato del Mondo di calcio in Spagna. La vidi in campeggio quella partita. E come tutti festeggiai la vittoria degli azzurri, anche con un carosello di auto per le strade di Roccaraso e dintorni con la mia R4 blu. Esultai, come tutti, per i gol di Rossi, Tardelli e Altobellli. Per quel siparietto Tv nel quale il presidente Pertini in Tribuna si volta e dice a Re Juan Carlos di Spagna, “non ci prendono più”…

Ma la mia fu una gioia spezzata. Monca. Parziale. La sentii come una “vittoria mutilata”.

Non perché avrei voluto veder nvincere qualcun altro, magari l’Olanda di Crujiff e Neeskens seconda nei due mondiali precedenti… Ma perché in quella finale giocata al Bernabeu di Madrid  non era in campo il mio giocatore preferito.  La bandiera della mia Fiorentina, Giancarlo Antognoni, il giocatore forse più elegante che sia mai sceso su un campo di calcio, ma anche il più sfortunato in assoluto: due infortuni gravissimi in campionato e quella finale saltata per un pestone rimediato nella semifinale contro la Polonia appena dopo aver servito l’assist per il gol di Pablito Rossi. Senza “Antonio” la finale Italia-Germania  per me valeva la metà, anche meno. Con l’Argentina e con il Brasile Antognoni era stato tra i migliori e non a caso era uno dei pochissimi, con Graziani e Conti a non avere la maglia a strisce in campionato.

Quasi quasi, dentro di me, preferivo la finale persa nel ’70 contro il Brasile dopo l’epica Italia-Germania 4-3, perché allora almeno De Sisti, il 10 della Viola, rimase sempre in campo mentre i più blasonati Mazzola e Rivera dovevano fare la staffetta… “Antonio” poveraccio dovette rinunciare alla gloria, alla gioia di alzare quella coppa al cielo, per un  pestone. Non ci potevo credere…  E di quella squadra di fenomeni (Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni, Graziani)  il “bell’Antonio” che in campo giocava guardando le stelle e sembrava una figura presa a prestito da un dipinto del Botticelli era probabilmente il più tecnico, il  più elegante, ma non era una “signorina” tutto fumo e poco arrosto… Era un giocatore totale, capace di lanci da 40 metri che sembravano fatti con il goniometro e il contagiri, di accelerate improvvise e passaggi filtranti, ma anche di recuperi prodigiosi… con un tiro sia da fermo che in movimento niente male… Non ha mai vinto niente Giancarlo Antognoni, tranne quella coppa monca che non poté nemmeno baciare e alzare al cielo e che aveva contribuito a vincere. Ha giocato solo nella Viola (e in una squadretta svizzera a fine carriera), come Riva nel Cagliari. Di quell’11 luglio ’82, oggi io ricordo quella gioia strozzata, una gioa a metà, un po’ come quando qualche mese prima arrivò la notizia (buona) che avevano trovato un covo delle Br, ma del quale facevano parte alcuni amici, compagni e conoscenti. E questa non fu una buona notizia, ma un pugno nello stomaco. Una “svastica” graffiata sulla carrozzeria della R4, che ho tenuto come un oracolo per 20 anni, avrebbe fatto meno male…

m.l.

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