Dovremo ringraziare mafia e camorra: le uniche imprese italiane che resisteranno allo shopping cinese le avranno “salvate” loro. E’ un paradosso. Impressionante. Eppure lo scenario che si delinea per il dopo-guerra Covid 19 in Italia è già sotto gli occhi di molti, ma nessuno ha il coraggio di dirlo fino in fondo.
Gli allarmi lanciati qualche giorno fa dai magistrati antimafia Nicola Gratteri e Federico Cafiero de Raho, dettati da semplice buon senso («attenzione, le mafie stanno soccorrendo la gente in difficoltà, dove lo Stato non arriva…») non sono però, finora, arrivati a centrare la logica conclusione. In un contesto internazionale di globalizzazione feroce, con Paesi come la Germania che già prima della pandemia avevano acquistato gli aeroporti della Grecia e metteranno le mani su intere fette del territorio più nobile del mondo come quello ellenico, non ci vuole davvero molto per guardare con lucidità ad un bottino di guerra che è già cominciato, sulla pelle degli italiani.
Flagellati dai record negativi sulla mortalità da coronavirus, devastati nella mente e nell’anima dalla tragica conta dei morti ammassati nei forni crematori, rischiamo oggi che anche nelle più produttive e floride terre dello stivale, in quelle locomotive dove in questi anni era stato tenuto orgogliosamente il passo, superando perfino le altezzose economie nord europee, qualcuno stia già passando a raccogliere le macerie.
Prim’ancora che ci provino le mafie nostrane, a fare un sol boccone dei gioielli della produttività lombarda, veneta ed emiliana, sono già pronti gli investitori cinesi dai loro avamposti delle chinatown, da decenni stanziali da anni nelle nostre città del Nord con percentuali da record. I dati ufficiali mostrano al 2018 una comunità composta da oltre 390.000 presenze in Italia, contro i 109.000 che vivono in Germania e i 130.000 circa in Spagna.
Peraltro, l’assalto dagli occhi a mandorla all’argenteria italiana era già cominciato da tempo.
Un articolo di Forbes a fine 2019 ci aiuta a fare il punto. «Il numero di società italiane acquistate da entità cinesi è cresciuto di oltre 20 volte negli ultimi 10 anni. L’Italia ha rappresentato la quinta destinazione globale per numero di investimenti dalla Cina escludendo Hong Kong e Singapore, tipicamente Paesi di transito. Tra i Paesi europei, l’Italia è terza dopo Germania e Regno Unito davanti alla Francia». Cosa comprano gli investitori cinesi? «Le operazioni più importanti furono l’acquisizione di una partecipazione di controllo in Pirelli per 7,2 miliardi di Euro e la cessione di quote di minoranza in Ansaldo Energia e Cdp Reti a partner cinesi». «La seconda ondata ha visto emergere il settore dei beni di consumo, prima di tutto moda e lusso, come testimoniano le acquisizioni di Caruso e dell’85% di Buccellati». Ad essere presi di mira sono stati, più recentemente, prodotti industriali hi-tech e intrattenimento, compresi FC Inter e AC Milan. Attenzione: «Negli ultimi due anni – conclude Forbes – sembra che gli investitori stiano guardando alla pura tecnologia sviluppata da aziende di più piccole dimensioni per finalità legate alla strategia più che al profitto». Esattamente il ritratto delle piccole e medie imprese che innervano il tessuto produttivo della bergamasca e del bresciano, già molto attive nell’interscambio con la Cina ed oggi, anche per questo, tanto più appetibili.
Saranno le mafie, non meno stanziali su quei territori, a “salvare” quel che resta del Made in Italy dalle grinfie di Cina, Germania ed altri famelici investitori in attesa lungo il fiume del Coronavirus? Iperattive, fra Bergamo e Brescia, sono le Locali della ‘Ndrangheta reggina facenti capo ai Di Stefano, specializzate nelle tradizionali attività del “recupero crediti”, mercati ortofrutticoli, trasporti: giusto un anno fa, a marzo 2019, un’ operazione del Ros aveva portato in manette 14 persone, compresi gli immancabili “colletti bianchi”.
Negli stessi giorni il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho tuonava in conferenza stampa: «A Bergamo la mafia c’è, spesso sono gli stessi bergamaschi a cercare le prestazioni malavitose dei calabresi al fine di rientrare da posizioni creditorie verso terzi».
Di questo scenario futuro, così terribilmente realistico, farebbero bene ad occuparsi esponenti dell’esecutivo come il ministro Di Maio, invece di farsi fotografare, commosso, mentre ringrazia il governo cinese per “gli aiuti” inviati all’Italia.
E farebbero meglio ancora a restare zitti i tanti “mafiologi”, con specifico riferimento a certi “camorrologi”, buoni solo a sfilare in passerella per ricevere medaglie, privi come sono di quella profetica lungimiranza che oggi più che mai ci fa sentire profondamente la mancanza di personalità come Amato Lamberti.
Basta con altolà del tipo “Se lo Stato non è affidabile la mafia gode”. Più che di lezioncine, avremmo bisogno di uomini e donne capaci di guardare in faccia i mostri in agguato sui nostri territori ed affrontarli con coraggio e determinazione. Se qualcuno c’è, batta un colpo.
(Rosita Praga – La Voce delle Voci, 1 aprile 2020)
Posso dire una semi- eresia? Vorrei che mi si spiegassero i motivi per i quali lo stato od i Governi di questo non possano varare disposizioni in campo economico di natura protettiva di questi settori che sembrano-e lo sono senz’altro- appetibili da Mafie, Camorre, Ndrangheta e da paesi come Cina e non solo da quest’ultima.Un complesso di condizioni, disposizioni di prelazione da parte dello stato che possa mettere al sicuro queste aziende che si ritengono gioielli piccoli o grandi.Siamo perfettamente d’accordo che nel ”Mercato” esistono condizioni quali la libertà di circolazione dei capitali,la libera iniziativa economica, la libertà di investimento, ma credo che come schermo protettivo soprattutto di se stesso,uno stato possa imporre alle aziende di non alienare sia tecnologia,know how, sia reti produttive e commerciali in favore di terzi. Il significato di ”prelazione” in tal caso vorrebbe significare che lo stato possa agire nei confronti delle proprietà per disincentivarne la vendita, per obbligare la proprietà a rimanere con la produzione nel territorio italiano e soprattutto in caso di possibilità di cessione,avere un diritto di prelazione a causa della presenza di un interesse ”chiamato interesse nazionale”.Vedo che per esempio le appetibilità delle nostre aziende hanno fatto gola a nazioni come la Francia e non solo, e siccome qui si parla in pratica di certi rischi che l’azienda italia possa correre, la domanda rivolta al governo da una parte politica anche modestamente lungimirante, può essere nomalmente la richiesta di intervenire per non alienare i gioielli di famiglia.Questo contrasterebbe con la libertà dei capitali, con la circolazione anche delle merci in un mercato globalizzato per un primo momento o per i primi anni, ma intanto si metterebbero al sicuro strutture produttive dalla rapacità del capitale.60 anni fà, fu nazionalizzata l’energia elettrica allo scopo che non si dovesse dipendere da altri e che l’energia potesse costare di meno, per quale recondito motivo non debba valere lo stesso principio sui mezzi di produzione che oggi hanno assunto una valenza trasnazionale e che domani dovrebbero essere posseduti da altri e comperati al loro livello più basso usando il nodo scorsoio dell’economia io questo dovrei capirlo.E’ il libero mercato che funzioina così?Ma non si vede che dietro questa facciata esiste un fatto ” delinquenziale concettuale” grande come una casa rispettato purtroppo dalle persone fino al loro ultimo gradino sociale, ammalati di quella patologia che si chiama con una sola parola: Aziendalismo! Il mio non è un discorso di natura nazionalista o di natura autarchica ma in una depressione che andrà a dispiegarsi da adesso in poi, credo che ci sia necessità di dover tener duro sia da parte delle aziende sia da parte soprattutto di uno stato che persegua l’interesse pubblico. Ed alienare gioielli di know how e di interesse pubblico vorrebbe dire entrare nella depressione economica più assoluta.Prevederla e far si che non sopravvenga è soprattutto una funzione alla quale lo stesso Stato non può assolutamente abdicare. Le leggi che regolano la finanza le hanno create, che creino anche quelle per la protezione dei cittadini e non lascino le proprietà libere di alienare dei beni che sono anche stati realizzati e costruiti dal lavoro degli operai e dei cittadini.A chi volesse trovare ostacoli di qualsiasi genere per tali provvedimenti si dovrebbe rispondere che dovrebbe pensare alla storia delle nazioni ed al concetto della proprietà pubblica dei mezzi di produzione, che possono in un breve lasso di tempo mettere al riparo tutti per l’interesse di tutti.Osserviamo che quando le contraddizioni aumentano ed aumentano anche i rischi, è chiaro che uno stato deve mettersi al riparo ed agire per il bene pubblico anche nei confronti delle proprietà private, limitando il loro spazio di azione e di fare ciò che convenga loro.L’interdipendenza degli stati l’uno dall’altro, nel qual caso esistendo l’Europa, dovrebbe essere presa in seria considerazione e varare misure tali da non permettere innazitutto la mobilità dei capitali perchè una ricchezza prodotta in un paese deve rimanere nel paese e fornire ragione ulteriore di investimento al proprio interno.Troppo comodo spostare le produzioni in paesi da un giorno all’altro e lasciare sul lastrico famiglie e popolazioni e paesi interi che magari per anni hanno costruito la loro economia e la loro stessa vita attorno a certe aziende e che adesso queste non vogliano rispettare i vincoli poichè a detta loro troppo onerosi.Da qui possiamo vedere che il fine che persegue una qualsiasi azienda è il profitto fregandosene completamente delle conseguenze.Non tutte le aziende sono così e fanno questo beninteso, e certe anche grandi investono i profitti nei nuovi cicli produtivi qui in Italia ben consapevoli che la fidelizzazione è stata conquistata da parte di un complesso di regole e di comportamenti per i quali sono gli stessi produttori a poterne fruire.Ci sono aziende che fanno fruire le maestranze di una parte cospiqua dei loro profitti(poche per la verità) ma ce ne sono anche altre,anche nei nostri territori circonvicini, che preferiscono produttori che non facciano parte di alcun sindacato e che magari li pagano cospiquamente più della loro stessa categoria,riconoscendo premi od altro proprio per tener lontana l’osservanza di certi vincoli e l’ostruzionismo sociale che si manifesta quando si vuole avere la mano libera di compiere ciò che si creda più utile poter compiere.Anche lì ci vorrebbe la mano dello stato per impedire che non si producano differenze fra produttori e/o fra lo stesso genere di maestranze anche perchè bisognerebbe spiegare a certe maestranze che non esiste uno sviluppo infinito e che l’andamento dei profitti non sempre possa consentire la ripartizione degli utili attuata dall’azienda verso le maestranze a seguito di periodi di crisi, di variabilità e di instabilità produttiva.Se mancasse quella,i datori di lavoro come le grandi e medie corporations se ne strafottono della vita degli operai perchè questi sono numeri e non persone e non esitano un momento a non riconoscere più quanto riconoscevano prima in tempi di vacche grasse.Allora guarda caso ci si appella al soccorso pubblico dei soldi di tutti.Ma il senso sociale degli italiani purtroppo davanti a tali cose produce nebbia.Anzi spesso siamo portati a rincorrere le ragioni del padrone anche in stati di nostra individuale depressione economica.Un popolo spesso a confronto di altri, molto più addomesticato.