POST EMERGENZA COVID 19: SARA’ GUERRA TRA CINESI E MAFIE PER METTERE LE MANI SUL MADE IN ITALY?

giovedì 02nd, aprile 2020 / 10:35
POST EMERGENZA COVID 19: SARA’ GUERRA TRA CINESI E MAFIE PER METTERE LE MANI SUL MADE IN ITALY?
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Ieri su La Voce delle Voci è uscito un articolo a firma Rosita Praga che delinea uno scenario inquietante per il dopo-emergenza Covid 19. In particolare per il post emergenza in campo economico e produttivo. Lo scenario è quello di una “guerra ” per mettere le mani sul Made in Italy tra i cinesi da una parte e… le mafie dall’altra. Non si tratta di supposizioni di una giornalista, ma di un allarme lanciato anche da magistrati come Nicola Gratteri e e Federico Cafiero De Raho…
Un articolo da leggere, che riproponiamo per intero, compresi i link ad altre pubblicazioni, salutando con affetto e stima i nostri amici della Voce delle Voci.
Marco Lorenzoni

Dovremo ringraziare mafia e camorra: le uniche imprese italiane che resisteranno allo shopping cinese le avranno “salvate” loro. E’ un paradosso. Impressionante. Eppure lo scenario che si delinea per il dopo-guerra Covid 19 in Italia è già sotto gli occhi di molti, ma nessuno ha il coraggio di dirlo fino in fondo.

Gli allarmi lanciati qualche giorno fa dai magistrati antimafia Nicola Gratteri e Federico Cafiero de Raho, dettati da semplice buon senso («attenzione, le mafie stanno soccorrendo la gente in difficoltà, dove lo Stato non arriva…») non sono però, finora, arrivati a centrare la logica conclusione. In un contesto internazionale di globalizzazione feroce, con Paesi come la Germania che già prima della pandemia avevano acquistato gli aeroporti della Grecia e metteranno le mani su intere fette del territorio più nobile del mondo come quello ellenico, non ci vuole davvero molto per guardare con lucidità ad un bottino di guerra che è già cominciato, sulla pelle degli italiani.

Flagellati dai record negativi sulla mortalità da coronavirus, devastati nella mente e nell’anima dalla tragica conta dei morti ammassati nei forni crematori, rischiamo oggi che anche nelle più produttive e floride terre dello stivale, in quelle locomotive dove in questi anni era stato tenuto orgogliosamente il passo, superando perfino le altezzose economie nord europee, qualcuno stia già passando a raccogliere le macerie.

Prim’ancora che ci provino le mafie nostrane, a fare un sol boccone dei gioielli della produttività lombarda, veneta ed emiliana, sono già pronti gli investitori cinesi dai loro avamposti delle chinatown, da decenni stanziali da anni nelle nostre città del Nord con percentuali da record. I dati ufficiali mostrano al 2018 una comunità composta da oltre 390.000 presenze in Italia, contro i 109.000 che vivono in Germania e i 130.000 circa in Spagna.

Peraltro, l’assalto dagli occhi a mandorla all’argenteria italiana era già cominciato da tempo.

Un articolo di Forbes a fine 2019 ci aiuta a fare il punto. «Il numero di società italiane acquistate da entità cinesi è cresciuto di oltre 20 volte negli ultimi 10 anni. L’Italia ha rappresentato la quinta destinazione globale per numero di investimenti dalla Cina escludendo Hong Kong e Singapore, tipicamente Paesi di transito. Tra i Paesi europei, l’Italia è terza dopo Germania e Regno Unito davanti alla Francia». Cosa comprano gli investitori cinesi? «Le operazioni più importanti furono l’acquisizione di una partecipazione di controllo in  Pirelli per 7,2 miliardi di Euro e la cessione di quote di minoranza in Ansaldo Energia e Cdp Reti a partner cinesi». «La seconda ondata ha visto emergere il settore dei beni di consumo, prima di tutto moda e lusso, come testimoniano le acquisizioni di Caruso e dell’85% di Buccellati». Ad essere presi di mira sono stati, più recentemente, prodotti industriali hi-tech e intrattenimento, compresi FC Inter e AC Milan. Attenzione: «Negli ultimi due anni – conclude Forbes – sembra che gli investitori stiano guardando alla pura tecnologia sviluppata da aziende di più piccole dimensioni per finalità legate alla strategia più che al profitto». Esattamente il ritratto delle piccole e medie imprese che innervano il tessuto produttivo della bergamasca e del bresciano, già molto attive nell’interscambio con la Cina ed oggi, anche per questo, tanto più appetibili.

 

Saranno le mafie, non meno stanziali su quei territori, a “salvare” quel che resta del Made in Italy dalle grinfie di Cina, Germania ed altri famelici investitori in attesa lungo il fiume del Coronavirus? Iperattive, fra Bergamo e Brescia, sono le Locali della ‘Ndrangheta reggina facenti capo ai Di Stefano, specializzate nelle tradizionali attività del “recupero crediti”, mercati ortofrutticoli, trasporti: giusto un anno fa, a marzo 2019, un’ operazione del Ros aveva portato in manette 14 persone, compresi gli immancabili “colletti bianchi”.

Negli stessi giorni il procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho tuonava in conferenza stampa: «A Bergamo la mafia c’è, spesso sono gli stessi bergamaschi a cercare le prestazioni malavitose dei calabresi al fine di rientrare da posizioni creditorie verso terzi».

Di questo scenario futuro, così terribilmente realistico, farebbero bene ad occuparsi esponenti dell’esecutivo come il ministro Di Maio, invece di farsi fotografare, commosso, mentre ringrazia il governo cinese per “gli aiuti” inviati all’Italia.

E farebbero meglio ancora a restare zitti i tanti “mafiologi”, con specifico riferimento a certi “camorrologi”, buoni solo a sfilare in passerella per ricevere medaglie, privi come sono di quella profetica lungimiranza che oggi più che mai ci fa sentire profondamente la mancanza di personalità come Amato Lamberti.

Basta con altolà del tipo “Se lo Stato non è affidabile la mafia gode”. Più che di lezioncine, avremmo bisogno di uomini e donne capaci di guardare in faccia i mostri in agguato sui nostri territori ed affrontarli con coraggio e determinazione. Se qualcuno c’è, batta un colpo.

(Rosita Praga – La Voce delle Voci, 1 aprile 2020)

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