CITTA’ DELLA PIEVE: IL POST EMERGENZA? PASSAGGIO IN TOSCANA E FUSIONE CON CHIUSI E CETONA. QUALCUNO GIA’ PARLA DI REFERENDUM

CITTA’ DELLA PIEVE: IL POST EMERGENZA? PASSAGGIO IN TOSCANA E FUSIONE CON CHIUSI E CETONA. QUALCUNO GIA’ PARLA DI REFERENDUM
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CITTA’ DELLA PIEVE –  Nonostante l’epidemia di Covid 19 sta monopolizzando l’informazione (tutta: quella nazionale, internazionale e locale) e stia tenendo i cittadini-lettori incollati alle statistiche del contagio e alle notizie sulla ricerca del vaccino e di possibili cure, ogni tanto qua e là sui social emerge qualche digressione su temi dimenticati o che sono stati al momento congelati o messi in un cassetto in attesa di tempi migliori. Anzi,a  dire il vero è proprio la pandemia e le risposte che ad essa vengono date a scatenare la reazione a la ripresa di determinati argomenti.
Succede, ad esempio che a Chiusi qualcuno definisca il sindaco “inadeguato” o “paternalista” per i termini che usa nelle sue dirette facebook aprendo di fatto la campagna elettorale per le comunali del 2021 e succede che al contrario, a Città della Pieve paese portato ad esempio per aver avuto la capacità di “cambiare regime” e bandiera, qualcun altro, proprio prendendo le mosse da come l’emergenza viene gestita in Toscana e a Chiusi, rispetto alla città del Perugino, torna a parlare di un referendum “per spostare Città della Pieve in Toscana” e per fare addirittura un comune unico con Chiusi. E magari anche Cetona.
La questione non è nuova. Ha radici storiche. Ma non è antica. Una proposta in tal senso fu avanzata dall’IRPET il centro studi della Regione Toscana nel 2014. Prevedeva appunto Città della Pieve in Toscana e la fusione dei comuni di Chiusi, Città della Pieve e Cetona sotto un unico gonfalone. E sotto il nome di Chiusi. Nel 2015 una proposta pressoché analoga l’hanno fata due parlamentari del Pd (Ricci e Morassut)
Negli primi anni 2000 era stata la Fondazione Agnelli ad avanzare una ipotesi simile.  Ma via via anche negli ultimi anni si è tornati più volte sull’argomento, anche in occasione di dibattiti politici, sia di qua che di là dal fosso.
Adesso, proprio dopo aver valutato la modalità diversa nella distribuzione delle mascherine protettive anti covid, a Chiusi e Città della Pieve, alcuni pievesi, persone peraltro attive sui social e anche nella comunità locale, hanno preso la palla al balzo per rilanciare la discussione sul tema.
Ha cominciato Maria Cristina Bittarello parlando appunto delle mascherine… poi, a seguire, sono intervenuti Patrik Manganello e Giorgio Sgarzi, ricordando le proposte cui facevamo riferimento poc’anzi e anche il fatto che “Città della Pieve ha più cose in comune con Chiusi e Cetona che con Castiglione del Lago”, per dire… Ma il carico da 11 lo ha giocato Marco Bertozzi, figura riconosciuta della sinistra pievese, ex amministratore, operatore sanitario e presidente della associazione pro loco, il quale, senza indugi sposta già l’obiettivo al dopo emergenza, ma in senso concreto. Riferendosi ai commenti citati scrive:  un bel dibattito da riaprire allora… passata l’emergenza si può chiedere un referendum in questo senso”.
Certo, siamo ancora al pour parler, a quattro commenti sui social. E a qualche chiacchierata telefonica. Commenti dai  quali emerge però chiaramente una visione che non solo non esclude l’abbandono dell’Umbria e la fusione con Chiusi e Cetona, ma addirittura prefigura la richiesta di referendum, non appena passata la bufera dell’emergenza sanitaria.
E questo potrebbe essere un tema di discussione anche in relazione alla agognata “fase 2” e soprattutto alla “fase 3”, cioè alla riapertura delle attività  e della riscostruzione del tessuto economico e sociale, dopo questi mesi di “clausura” forzata. Chi ha seguito l’evolversi dell’emergenza coronavirus anche dalle notizie di primapagina, avrà visto come nei primi giorni della chiusura dei confini uno dei temi roventi sui sociale era proprio il rapporto dei chiusini con l’area commerciale di Po’ Bandino, con gente che tentava addirittura il guado della Chianetta di nascosto, come fosse il Rio Bravo, cercando di aggirare i controlli e i divieti…
Quello che sembrava un argomento per fare battute sarcastiche sul narcotraffico di banane era invece la fotografia di un rapporto fortemente interconnesso tra Chiusi e Città della Pieve, tra chiusini e pievesi. E l’emergenza lo ha reso più evidente.
Certamente l’Umbria leghista non ha e non avrà alcun interesse a perdere Città della Pieve che tra l’altro alcuni esponenti di spicco del partito di  Salvini come il senatore Briziarelli considerano una propria roccaforte e dunque la Regione farà resistenza. E i pasdaran del sindaco Risini, pronti ad impallinare come una contraerea sempre in funzione chiunque provi anche sommessamente a porre qualche interrogativo (cosa questa che tra l’altro non trova riscontro nell’atteggiamento personale del sindaco, improntato a toni bassi e profilo istituzionale: ci sono sempre quelli più realisti del re…) alzeranno barricate a difesa della pievesitudine… E anche a Chiusi e Cetona non tutti gradirebbero il matrimonio (o menage a trois) con la città del Perugino, che fino al 1600 stava sotto la stessa diocesi, ma poi è diventata il simbolo del potere papalino e oscurantista, rispetto al più liberale Granducato.
In tempi più recenti c’è stata la liberazione a pochi giorni di distanza nel ’44, la comune matrice “rossa” o rossastra dal dopoguerra al… 2019. Ma certe incrostazioni storiche sono dure a morire. Anche da scalfire.
Negli anni ’90-primi 2000  la questione rimbalzò anche in certe posizioni della lista Pieve Nostra capeggiata da Gianni Fanfano e in alcune “ricostruzioni storiche” di Valerio Bittarello. Sul versante chiusino primapagina ne ha parlato ripetutamente, anche quando si parlava di zone artigianali a confine, di stagioni teatrali, di ospedali o di fusioni tra banche e non solo tra comuni.
Adesso c’è da combattere il coronavirus. C’è da uscire dalla fase acuta dell’emergenza che non  ancora finita. Poi ci sarà da rimettere in piedi e in moto fabbriche, uffici, officine, negozi e laboratori. E i bar, i ristoranti, i cinema, i teatri, le feste di piazza… Non sarà semplice, né si potrà fare in tempi brevi e tutti insieme. Servirà pazienza, oculatezza, serviranno idee nuove e nuovi modelli. Ma servirà anche molta capacità di ragionare e di ascoltarsi gli uni con gli altri. Cercando anche di volare un po’ più in alto della propria testa e un po’ oltre i propri orticelli. Ecco, in questo senso la proposta di Bertozzi “passata l’emergenza si può chiedere un referendum in questo senso”, può anche rappresentare, da oggi, un paletto da cui partire, per provare a disegnare il futuro prossimo venturo. Sperando che non sia un… medioevo.
m.l.
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