CARA MINISTRA AZZOLINA, NON MI FACCIA FARE LA MAESTRA DIGITALE A VITA. LA DIDATTICA E’ UN’ALTRA STORIA
E’ un periodo difficile quello attuale, una fase dove ognuno di noi cerca certezze e punti fissi per evitare di continuare a brancolare nel buio dell’ignoto nel quale si è inabissato.
Purtroppo però la parola certezza non può essere usata con facilità in questo momento e ci si aggrappa quindi a quel pizzico di conoscenze che abbiamo per convivere con la situazione tirando avanti, intravedendo spiragli di possibilità e alternative decodificando quelle voci autorevoli che ci hanno guidato fino a qua.
Una settimana fa la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina è intervenuta durante trasmissione “Che tempo che fa” di Fabio Fazio tenendo testa al virologo Burioni, il quale affermava che le decisioni politiche non possono essere prese dalla scienza poiché non le appartengono, ma devono essere prerogativa di chi gestisce la res publica .
Azzolina ha saggiamente ribadito che in questo momento la politica non può prendere decisioni autonome riguardo alla ripresa di qualsiasi tipo di attività senza che prima le autorità sanitarie non abbiano ben chiarito quale sarà il decorso del virus nei mesi a venire. La chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, avvenuta lo scorso marzo è stata una scelta obbligata, doverosa e saggia per il contenimento della pandemia; i luoghi deputati all’ istruzione potevano essere un bacino pericoloso per il proliferare del virus e quindi provocare un’impennata dei contagi. Le attività didattiche verranno riprese soltanto quando saranno messi in atto tutti i protocolli di sicurezza atti a garantire a docenti ed alunni sia il diritto alla tutela della salute che il diritto all’istruzione.
In una manciata di minuti la Ministra ha illustrato i possibili scenari che si potrebbero prospettare nei mesi a venire in relazione alle attività scolastiche e ha colto l’occasione per ringraziare ampiamente tutto il personale docente e scolastico che si è dimostrato resiliente e capace nell’affrontare questo momento di emergenza sanitaria, economica e sociale attivando in maniera esemplare tutte le varie strategie che la didattica a distanza (DAD) mette a disposizione per arrivare ai ragazzi nelle loro abitazioni.
Ha ribadito più di una volta che la DAD ha funzionato eccellentemente raggiungendo il 94% della popolazione scolastica italiana, creando nell’immaginario collettivo una nuova figura dell’insegnante, ovvero una sorta di docente virtuale, che grazie alla tecnologia è riuscito a non perdere il contatto con gli alunni e a mantenere una parvenza di continuità didattica dopo che lo tsunami Covid19 ha travolto e trascinato il mondo alla deriva .
Il lavoro svolto dai docenti è stato definito ottimo dalla Ministra Azzolina e tutta la categoria sicuramente la ringrazierà per il suo encomio, tirando anche una boccata di sollievo poiché questa novità futurista materializzatasi nel quotidiano di molte famiglie non è stata un boccone facile da mandare giù.
Per la maggior parte dei docenti questa alfabetizzazione informatica improvvisa, che ha poco a vedere con la didattica tout court, non è stata facile da masticare né da gestire, anche se, ad onor del vero, ci sono stati alcuni che hanno saputo tener testa al cambiamento repentino, muovendosi onorevolmente sin da subito nell’organizzare lezioni virtuali accompagnate talvolta anche da effetti super speciali. Wow!
Ahi noi però costoro sono stati la minor parte, mosche bianche insomma, i cosiddetti insegnanti premium, ovvero coloro che hanno competenze informatiche celestiali poiché ne hanno coltivato il linguaggio più per interesse personale che non per dovere legato alla professione.
Molti docenti invece appartengono ad un’altra categoria: quella classic e lo sforzo che sono stati chiamati a fare per arrivare ai ragazzi è stato enorme.
Saranno stati bravi? Questo Ministra Azzolina ancora non ci è dato saperlo, di certo si sono impegnati tanto e se impegno corrisponde a bravura allora sì, forse ha ragione lei, sono stati bravi ma non è prudente gridarlo a voce alta perché durante questo processo di cambiamento, di trasformazione, molto è andato perduto.
A farne le spese è stata la didattica vera, quella che può essere tale solo in presenza e nei luoghi deputati a farla, ovvero nelle scuole, non nel soggiorno di casa, o in camera, o dal divano, o seduti sul tappeto con l’ausilio obbligatorio di uno dei genitori. Infatti, i problemi di gestione dello “spettacolo” che va in onda sono tantissimi, dalla linea telefonica che manca, al collegamento che si interrompe, ai giga che finiscono, alla batteria del tablet che si scarica e se uno dei familiari non è lì pronto a coadiuvare l’applicazione degli utenti questi si perdono, soprattutto i più piccoli.
La formazione che funziona purtroppo è doverosamente in solitaria, è quella che passa in primis attraverso la fatica e l’autonomia operativa e va da sé che non si può essere totalmente autonomi e operativi se si ha a che fare con strumenti di cui si ignora gran parte delle funzioni; poi se al tutto si aggiunge che i ragazzi devono condividere spazi domestici e dispositivi elettronici con fratelli, sorelle, genitori e quando va male pure con il cane e il gatto è chiaro che l’impresa risulta essere più ardua e talvolta vana, che valorosa.
Il docente virtuale o digitale è costretto a spogliarsi del suo ruolo originario e deve trasformarsi in un tecnico, una voce dall’altro lato del cavo che prova a coordinare una parvenza di lezione, il più delle volte sterile quanto il canale che è costretto ad utilizzare. Cerca di orientarsi tra un “ Maestra non ti sento; non mi funziona il microfono; maestra non ti vedo, forse hai la telecamera spenta; maestra non ho capito dove siamo arrivati; maestra mi si è disconnesso il PC sono rimasto indietro. Maestra se non vedi Luca cliccaci sopra”.
Ecco, l’insegnate classic mai avrebbe immaginato di dover fare i conti con tutto questo: microfoni, telecamere, connessioni e giga. Una maestra non è un ingegnere informatico, ha piena consapevolezza del sistema metrico decimale, ma ignora totalmente a quanto corrisponda un giga, per cui quando dopo l’ennesimo tentativo di connessione non andato in porto, chiama la compagnia telefonica per avere un supporto tecnico che le risolva il problema e le dicono in tono saccente: “Scusi signora ma lei ha finito i giga per questo non si connette” e lei educatamente risponde :”Ma come ho finito i giga? Ho ricaricato una settimana fa? “
“Ma che c’entra, lei deve effettuare una nuova ricarica, sa quanti giga aveva nel pacchetto? Sa a quanto corrisponde un giga?”
Ecco la risposta è “no!”, l’insegnate classic non sa a quanto corrisponde un giga, perché fino a questa emergenza sanitaria, che ha stroncato insieme al paese anche la sua stabilità emotiva, non le serviva saperlo.
Alla luce di ciò si evince che è tutto un rifarsi da capo, un re-iniziare e mai terminare veramente; le nozioni, quando arrivano, sono sbiadite, senza toni né anima.
La fatica è immensa per arrivare ad un minimo risultato, sia per i docenti che per gli alunni ed anche per i genitori dei più piccoli, costretti ad affiancarli e sostenerli per tutta la durata del collegamento, perché è di questo che stiamo parlando, di collegamenti, la didattica è un’altra cosa.
La didattica vera, quella che può chiamarsi tale è quella scandita da orari fissi, nell’ambiente specifico, con la presenza continua del docente che fa da supporto per un periodo di tempo abbastanza lungo e che va oltre l’ora e mezzo di diretta, che promuove non soltanto l’apprendimento delle nozioni, ma soprattutto l’autonomia sociale e operativa dello studente .
Insomma per l’insegnante classic, quello che si è formato su Compagno di Scuola di Antonello Venditti, la DAD è stata un duro colpo.
A scuola, il suono della campanella delle 8:30 era inconfutabilmente l’inizio di un viaggio mentale e sociale che sarebbe durato almeno 5 ore.
La maestra al timone della sua nave, pronta a salpare per condurre l’equipaggio verso le tante spiagge della conoscenza.
Lei e loro soltanto, un sodalizio che dura nel tempo fatto di fiducia, stima, affetto, regole condivise, qualche sfuriata, ma anche tante risate, il tutto per arrivare al compimento del miracolo finale: una mente che diventa.
LA DAD è stata un’ancora di salvezza in questo periodo catastrofico, dalle prospettive incerte, è stato un tentativo di salvataggio andato a buon fine ma ci auguriamo che non venga mai preso in considerazione da nessun governo, dopo il prossimo tana liberi tutti, come un’alternativa possibile alla didattica in presenza.
Tra poco sarà giugno, il mese degli esami di Stato e quest’anno mancheranno dal calendario di molti giovani diversi appuntamenti importanti che precedono la data d’esame. Salterà la gita di fine anno, non ci saranno i 100 giorni all’esame, saranno proibite le fughe al mare nei week-end per studiare in pace a casa di “Luca” (che poi diciamocelo, ma chi ha mai studiato al mare? Nessuno).
La fase preparatoria alla maturità, che forse è la parte migliore della vita, dove si fa gruppo, ci si fa forza, si fanno gli schieramenti per i passaggi durante le prove scritte, quest’anno assumerà un carattere domestico e confuso.
Non si sentirà aleggiare tra i banchi quello spirito di appartenenza e solidarietà che è tipico di questo periodo, dove ognuno impara a toccare con mano l’insegnamento più importante della vita,ovvero che l’unione fa la forza e che i nostri poteri si amplificano quando si condividono; che la meta si raggiunge camminando insieme, fianco a fianco.
Vede Ministra Azzolina, la didattica vera sta tutta qua, nella presenza; nella forza, nel supporto, negli insegnamenti e nelle strategie che gli individui sono in grado di trasmettersi. Sta forse anche nelle preghiere e negli scongiuri prima di un’ interrogazione e in quello che si riesce a fare o a dire rielaborando ciò che si è imparato.
Tutto il resto è un surrogato di Microsoft o di Apple, crea connessioni virtuali che spesso grazie ad un buon intuito e una buona dose di giga vanno a buon fine. Nulla di più e visto il “costo” di tutto il pacchetto, verrebbe quasi quasi da dire: menomale, almeno questo.
Paola Margheriti
Dovrei stare zitto poichè non m’intendo per nulla di didattica e derivati ma due domande vorrei farle alla Sig.ra Margheriti: la prima è quella che se lei fosse stata nei panni della Ministra come si sarebbe comportata rispetto al problema che ha evocato e che senz’altro esiste, tenuto conto però delle circostanze in cui ci troviamo e che ci siano delle priorità da dover salvaguradare quali il non abbandono delle relazioni umane e il dovere dello studio che la didattica impone. La seconda è una domanda che guarda al confronto ed all’impegno del corpo docente nei confronti del mondo che ci circonda.Dico questo perchè nel mondo che ci circonda è invalsa una dinamica per la quale il peso della tecnologia e delle innovazioni siano crescenti.Allora capisco bene lo sforzo che possa compiere un corpo docente quando si confronta col ” remote working ” ma tutto questo mi chiedo non fa parte di quello che lei stessa dice che occorra essere ”lucidi” su quanto abbiamo intorno proprio per poter ottemperare in ogni senso al meglio, plasmando la materia che ognuno di noi possiede? Tutto questo non cancella davvero nè l’emozionalità e nemmeno il rapporto umano, ma dal momento che si ha coscenza che il cambiamento sia inevitabile,credo che necessiti lo sforzo di non essere concettualmente refrattari a tale processo di cambiamento.Non vedo altri modi di poter superare queste impasse che viviamo, ma forse è la mia non conoscenza dei problemi di questo settore che mi rende un osservatore esterno dalla visione limitata.Come in ogni lavoro le innovazioni ed anche i relativi errori e limitatezze ed incompiutezze si assumono e si imparano lavorando.Solo così i problemi avranno una speranza di essere risolti.Altre possibilità per adesso non le vedo.
Credo che la ministra conosca titre le criticita’ descritte,che hanno permesso di cimentarsi con le nuove tecnologie.
Carlo carlo, ma secondo te, una laurea presa per corrispondenza vale come una laurea presa alla Bocconi? La scuola, quella primaria in particolare, è un po’ come il teatro. Ha bisogno del rapporto umano, del contatto, della vicinanza, del confronto vis a vis… In queste settimane molti attori e musicisti hanno fatto dei video, anche per cantare Bella Ciao il 25 aprile. Alcuni sono fatti bene, sono d’effetto, ma non sono la stessa cosa di una esibizione dal vivo su un palco, in una piazza o in un pub… La scuola dal tinello di casa non ha, non può avere lo stesso valore della scuola fatta in classe… Al momento non si può fare di meglio e la DAD è già qualcosa. Ma è un’altra cosa, ha ragione la nostra Paola…
Felice che le conosca, confidiamo proprio in questo nella piena consapevolezza del ministro e che quindi la DAD venga proposta solo in casi di estrema necessità, ma mai contemplata come possibile alternativa alla didattica in presenza.
Gentilissimo Sacco risponderò brevemente alle sue domande. La prima: io avrei fatto esattamente la stessa cosa della ministra Azzolina, in questa situazione di emergenza saniraria non c’erano alternative, la DAD è stato un tentativo di salvataggio andato fortunatamente a buon fine. Per quanto riguarda la seconda le dico che il rapporto umano e l’ emozionalita’ non potranno mai essere veicolati o posti in essere da un PC. Questo consente di mantenere contatti consolidati nel tempo attraverso attività o relazioni avviate in presenza, di qualsiasi genere esse siano. La DAD non può essere minimamente paragonata sia per effetto ed incisività che per l’ aspetto umano e sociale ad una lezione svolta in classe. Inoltre, per quanto riguarda la risoluzione di eventuali problemi è chiaro che gli operatori devono farsene carico; i docenti infatti sono diventati efficienti anche in questo ( o almeno ci stanno provando )e magari chissà finito il locked down saranno tutti reclutati da MICROSOFT e al loro posto, in classe, metteranno un avatar.
Per Marco Lorenzoni. Non mi sembrava che nel mio intervento ci fosse il contenuto della PREVALENZA del remote working in contrapposizione a quello della presenza umana che tutti ma proprio tutti sappiamo essere ”un altra cosa”.Ho calcato tale argomentazione riferendomi al contingentee cioè a ciò che stiamo passando anche emotivamente, anche perchè senza paura di essere smentito credo che tutti capiscano che una lezione in un aula universitaria non può essere la stessa cosa espletata dallo schermo di un pc da casa.Però io certi paragoni li tralascerei perchè non sono quasi mai sovrapponibili le une con le altre tali modalità ed è chiaro che si lascino scoperte ampie zone di assimilazione del sapere, e questo in ogni contesto.L’esperienza lavorativa in ogni campo dello scibile umano ha dovuto fare i conti con la tecnologia ed anche quindi con la sua accettazione ed il mondo del lavoro ha dovuto cambiare faccia.Oggi quello che si pensava anche 10 anni fa nell’automazione si è realizzato in quasi tutte le catene lavorative del mondo portando uno sconvolgimento senza pari nelle relazioni umane soprattutto iniziando a pensare a quanto avveniva sin dai processi produttivi delle ere industriali dall’800 in poi.Ancora questo processo continua con l’espulsione di vite umane dalle catene lavorative trattando le persone come numeri ed Il progresso tecnologico ha scardinato le nostre relazioni umane e via via assurge con una velocità talvolvolta più veloce del nostro pensiero a conduttrice dei nostri comportamenti individuali e tutto questo si riflette anche nei comportamenti applicati nel sociale.Spesso isolandoci e non facendoci fruire di quella che è sentita e vissuta come socialità. Di questo ne dobbiamo essere consapevoli,ma credo che la critica a tutto questo dovrebbe essere finalizzata in altri ambiti,forse ambiti riflessivi che riguardino i cosiddetti ”massimi sistemi” ma lasciamo perdere.Volevo solo mettere l’accento per rispondere alla Signora Margheriti,sul fatto che purtroppo e ripeto purtroppo, la costruzione del sapere che viene fornito agli altri al di fuori delle relazioni umane ci fa a tutti quanti(anche lì dipende sempre dai livelli di reddito tanto per dirsene una legata molto al materialismo economico ) correre un grosso rischio-e qui sono d’accordo con lei e con il senso del suo discorso-ma occorre rendersi conto che in un sistema strutturato come è questo dove viviamo,la produttività è segnata solo ed esclusivamente da dati,da orari,da tempistiche comportamentali, e soprattuitto da precise modalità nell’uso degli strumenti di cui veniamo dotati quasi come tutto questo fosse un sistema dove un cervello al lavoro possa pienare in un tempo massimo più caselle lasciate in bianco,che concorreranno a formare il risultato. Quello che ci aspetta quindi è tendenzialmente un mondo di automi che obbediranno ai processi produttivi all’insegna della massima produttività non curandosi di altro.Questo purtroppo riguarda anche il mondo dell’insegnamento che forse sarà l’ultima diga a cadere in questo processo,ma ritornando al presente con consapevolezza di quelli che saranno gli sprazzi di futuro, faccio presente che è la NATURA del sistema che pretende dagli uomini questo che ho detto or ora.Vede, nella mia limitata esperienza lavorativa e quindi anche di vita, nell’ambiente di lavoro di cui facevo parte(oggi sono pensionato)è stata calata dall’alto l’innovazione tecnologica e tutti nessuno escluso l’abbiamo dovuta accettare bene o male perchè in quel settore dove lavoravo a comandare era il mercato e non la relazione umana che rivestiva invece un altro livello posto più in basso e che era quasi inesistente e che quando c’era in quella logica dove ci trovavamo tutti risentiva da quanto era pingue o meno un conto corrente,purtuttavia anche lì l’adeguamento c’è stato non fermando la ruota che girava ed istruendosi per attendere una seconda fase per poi farla riprendere a girare,bensì facendola continuare a girare e cambiando via via la nostra conoscenza.E’ quasi per assurdo come dire di dover cambiare le gomme di un auto non facendola fermare ma di cambiarle quando la macchina viaggia. Condivido con lei che ciò che si immette nella scuola non sia molto assimilabile come natura di cose e di imput forniti a quello di una complessa catena di montaggio di un istituto di credito o di qualsiasi altra azienda produttiva perchè il sapere ed il processo del sapere fruisce di imput di altra natura,ed è proprio qui che volevo mettere l’accento sul fatto che siamo sempre noi persone al centro dell’attenzione ed a noi viene demandato di adeguarci per far funzionare gli altri che assorbono il nostro sapere e prepararli a tale scopo.Anche a me non piace la natura di tale tendenza perchè soprattutto nella scuola dovrebbero essere forniti spazi umanizzanti e momenti nei quali non si perda l’umanizzazione della relazione sociale e che tali momenti non risentano della strumentalizzazione della catena di montaggio ma questo riguarda proprio ciò che prima ho scritto a lettere maiuscole e cioè LA NATURA di un sistema produttivo e quindi soprattutto anche il produrre educazione ancor prima delle merci.In definitiva non vorrei che un Governo sedicente progressista possa abdicare al compito di non salvaguardare tali spazi e tali prerogative ma che nello stesso tempo in relazione a quanto ci stà succedendo intorno l’unica politica da attuare credo che poteva essere solo quella del ”remote working”. Gli scongiuri che lei fa ai prossimi governi di non dover prendere in considerazione un DAD io li condivido ma purtroppo non ho tale certezza che possano essere istanze che vengano ascoltate.E questo alla fine per il semplice motivo che in un mondo dove semprepiù pochi comandano e semprepiù come numero sono le menti disumanizzate che obbediranno a quei pochi,spazi consentiti alle menti pensanti credo che potrebbero essere semprepiù ristretti,proprio perchè il sistema di produzione della ricchezza contestualmente alla limitatezza di risorse non consente che altri la possano pensare diversamente e costruire mondi diversi.Potrebbero apparire frasi farneticanti le mie ma i prodromi di tale divenire li vediamo oggi stesso quando guardiamo a ciò che viene messo in evidenza nel complesso mediatico.D’improvviso spariscono problemi che per mesi od anni ci hanno fatto vedere che c’erano certi mondi dei quali oggi nessuno ne parla(dove sono andati a finire i barconi, l’immigrazione,i campi profughi all’estero? Dico questo come prima cosa che mi viene in mente ma ce ne potrebbero essere anche altre a decine e decine).E’ la politica che non è politica fatta dalla gente e per la gente che sta producendo tutto questo, obbedendo a quella legge che dicevamo prima.Figurarsi se si pongano il problema di come relazionino gli esseri umani in un contesto collettivo chiamato scuola dove si insegni loro a vivere ed a capire la realtà che hanno intorno. Il massimo sarà forse il farli sentire liberi in una prigione.Non c’è da scherzarci molto ma questo avviene anche oggi con il collaudato metodo del consumo materiale delle merci e non col vero consumo della cultura.La scala dei bisogni è sempre lì ferma davanti a noi che ci dice che prima di essere degli esseri pensanti la maggior parte siamo degli animali e che lo stomaco pieno si cura di quello vuoto solo a parole.In queste condizioni è difficile cambiare od almeno pochi ce la fanno e costoro non fanno la legge.Ma mi accorgo che sono andato fuori tema da parecchio e la chiudo qui,anche se il tema educativo della scuola dovrebbe indurre gli insegnanti a far pensare ed a far riflettere sugli aspetti valoriali di cio che ho detto.