CITTA’ DELLA PIEVE: MA I DUE LEONI DELLA FABBRIZZI AVEVANO DAVVERO LA CAMICIA NERA?
CITTA’ DELLA PIEVE – Ha suscitato qualche battuta sarcastica la scelta della lista di centro sinistra Città della Pieve in Comune capeggiata da Simona Fabbrizzi di utilizzare l’immagine dei due leoni della fontana della Rocca sul simbolo della lista stessa. Battute sarcastiche perché quella fontana fu voluta e posta in opera dalla prima giunta fascista, nel 1923, per suggellare la realizzazione dell’acquedotto pubblico. Evento peraltro ricordato in una lapide posta sulla facciata di Palazzo Orca, dove il termine “fascista” è stato accuratamente abraso, dopo la caduta del regime. Secondo alcuni, insomma, uno scivolone sulla storia. Un autogol di Simona Fabbrizi e della sinistra pievese di nuovo unita.
Però, a rileggere la storia pievese dei primi del ‘900 si scopre che il merito di aver realizzato l’acquedotto e di aver portato l’acqua ai pievesi non fu esattamente del Fascismo, quanto delle amministrazioni precedenti la presa del potere da parte delle camicie nere. Tutte le amministrazioni della città, sia quelle di stampo liberale che quelle socialiste se ne occuparono, incaricando più volte l’ing. Antonio Verri di trovare la soluzione tecnica più adatta. Il regime fascista che subentrò con elezioni non proprio democratiche e segnate da intimidazioni e violenze, al sindaco socialista Angelo Marroni, fece solo l’ultimo tratto di strada: ottenne l’ultimo finanziamento e inaugurò in pompa magna l’opera, assumendone la paternità, secondo la retorica tipica del regime.
L’acquedotto pubblico era considerato,da tutti, anche prima dell’avvento del Fascismo un’opera utile, anzi indispensabile, un bene comune da realizzare. E tutti ci misero mano. Non mancarono polemiche e scandali, ma sul “bene comune” erano tutti d’accordo. E forse proprio questo hanno voluto dire Simona Fabbrizzi e i suoi supporters mettendo i due leoni della fontana nel simbolo della lista. “Il mio primo obiettivo è l’interesse per il bene comune. Spero che nei prossimi giorni il dibattito possa tornare a concentrarsi sulle scelte concrete di cui il nostro Comune ha bisogno. Dobbiamo immaginare come sarà la Città della Pieve dei prossimi 20 anni e riscrivere il suo futuro. Insieme, In Comune», ha scritto la candidata del centro sinistra nella presentazione delle linee fondamentali del suo programma.
E questa vicenda (piccola piccola, diciamolo) dimostra come sia in atto un tentativo non solo di prendere n castagna il centro sinistra (il che è legittimo), quanto piuttosto di sdoganare di nuovo il fascismo e una certa cultura che sembrava battuta e bandita per sempre e adesso invece rialza la testa… Frasi tipo “il Fascismo ha fatto anche cose buone” (come ad esempio l’acquedotto a Città della Pieve, ha detto qualcuno), sono invece delle bufale, perché il fascismo di cose buone non ne ha fatte e su quelle che sembrano tali ci mise solo il cappello. Anzi il fez. E spesso pure il manganello.
M.L.
Mi trovi d’accordo su tale tema, ma vorrei sapere chi sia che si è pronunciato in quel modo.Probabilmente fascisti sotto mentite spoglie od altri ? In quanto alla simbologia forse è più probabile che chi si sia espresso cercando di legare il simbolo al regime non sappia volutamente od ignori di quali panni si vesti’ il fascismo sul territorio perché quello che dici è verità storica sia per quanto riguarda l’acquedotto sua per l’amministrazione delle opere che riguardano la viabilità come la strada che da Moiano porta a Piegaro ritracciata e delimitata e come moltissime strade e/o sentieri nella campagna intorno alle frazioni,al collegamento elettrico di moltissime località ed anche all’impiego della corrente elettrica in sostituzione di quella idraulica nella cosiddetta valle dei tre molini con terminale proprio a Moiano al Molino Lena.Tutte opere messe in cantiere dopo il 1914 quando le sinistre si insediarono nel Comune.Ma dopo qualche anno la reazione agraria soprattutto ebbe la meglio con l’impiego della forza e dopo le elezioni farsa del 1924.Oggi quindi tale memoria in buona parte credo che sua cancellata ed anche coloro che avrebbero dovuto tenerla a mente per raccontarla ai posteri l ‘hanno dimenticata, ma spesso in queste occasioni si assiste alla rievocazione per puro spirito propagandistico cercando di usare metri di misura che oggi è stata per prima la sinistra a guardare dalla parte opposta ed a non curarsi della propria storia.La casa del popolo di Moiano era rimasta una specie di baluardo a salvaguardia di quella nobile memoria,ma con il tempo anche quella ha chiuso le paratie stagne della sua storia perfino in occasione della festa della donna negli anni passati si è preferito percorrere il sentiero del mero profitto non interessandosi di ciò che sarebbe avvenuto con la gestione di quello spazio deciso da altri ,affidando ad altri la gestione della sala dove si sono avute delle manifestazioni di strip tesse maschile a suon di musica davanti a consessi di donne che applaudivano gli uomini che si calavano l pantaloni. E mi si permetta una riflessione che è quella che questi spazi valoriali difficilmente si recuperano affinché possano pesare sui meriti di una storia locale che ha visto fino a decadi fa -fino agli anni ‘70-centinaia di cittadini rimboccarsi le maniche ed essere giustamente fieri di quello che era stato prodotto in quel luogo.Sembra una bazzecola questa ma per la verità non lo e’ ed è anche indicativa di quello che alberga oggi dentro certe componenti che sono convenute tutte chi più chi meno alla svendita di certi valori che alla gente servivano e che li facevano sentire cittadini di un contesto civile e progressista.Oggi ci si incazza perché tutto questo non esiste più,ma sono gli stessi che hanno seguito linee politiche che avrebbero con sicurezza portato a tutto questo.Ed allora il bene comune se si intendesse veramente tale dovrebbe innanzitutto imporsi per aprire una riflessione su certi cedimenti e non confluire in assembramenti per cercare di resistere a quello che è stato permesso nel tempo che si affermasse,visto che le critiche più dirette e forti sono verso l’attuale partito di maggioranza relativa nazionale che non ha avuto altro di meglio come alla fine su una strada obbligata che’ convergere con una alleanza fra diversi che ha al suo centro un contratto di governo.Ed ora sembra che tutto il mondo voglia correre ai ripari e chiudere la stalla quando i buoi siano scappati e tutti gridano allo sfascio..E siccome come si dice la fiducia è una cosa seria, imparino gli altri che di detta fiducia hanno fatto a meno sottovalutando il rischio di non riuscire più a determinare l’egemonia ed a capire che non si può chiamandosi sinistra, veicolare le negatività e poi tormentati dalle paure di perdere gli scranni chiamare la gente a concerto per costruire la diga quando l’acqua ormai si è fatta strada fra il cemento ed i mattoni della diga.Occorre un vero cambio,ma a veder bene gli artefici di quei canali che portano l’acqua che corrode il cemento sono sempre gli stessi,magari con facce nuove di presentazione ma il seme culturale è quello che è venuto dopo gli anni ‘70, perche’ lo spartiacque temporale che porta con se quello etico è quello , e la gente che l’ha vissuto anche sulla propria pelle lo sa’ bene.
A proposito di leggende metropolitane del tipo: “Il Fascismo ha fatto anche cose buone”, mi sono trovato costretto giorni fa dal barbiere, a contestare questa bacata idea ad un giovane. Portava a sostegno della sua stravagante affermazione l’esempio dell’Inps. Ho provato a spiegargli che con il movimento operaio di fine ottocento, nascevano le prime forme solidaristiche attraverso la creazione delle Società Operaie di Mutuo Soccorso. Quelle società che proprio il Fascismo soppresse. Con il fascismo al potere, per le organizzazioni operaie, comprese le società di mutuo soccorso, si preparavano tempi duri. Il 1925, il regime fascista sciolse la Federazione italiana delle Società di mutuo soccorso, per la sua “attività apertamente in contrasto coi fini nazionali”. Le mutue, specialmente quelle di fabbrica, rappresentavano una forma di auto-organizzazione che il fascismo non poteva tollerare nel suo tentativo di ricondurre tutte le associazioni e tutta l’assistenza sociale sotto il controllo dello Stato. Il fascismo ovviamente aveva bisogno del consenso, mise in atto vari provvedimenti tendenti ad affermare l’obbligatorietà delle prestazioni mutualistiche ancora largamente fondate sul principio volontario. Nel tentativo di estendere a tutte le categorie sociali tali tutele, furono istituite numerose casse mutue aziendali, interaziendali e professionali, i cui amministratori venivano nominati dall’alto anziché essere eletti dai soci. Era il 1898 quando la previdenza sociale muove i primi passi con la fondazione della Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e per la vecchiaia degli operai. Insomma le leggende sono una cosa, la storia per capire come sono andate davvero le cose, i fatti, bisognerebbe studiarla.