IL TEATRO, LA MEMORIA E LA PAROLA: QUEL “COSO” CHE VALE PER IERI, MA ANCHE PER L’OGGI E PER IL DOMANI

lunedì 28th, gennaio 2019 / 12:28
IL TEATRO, LA MEMORIA E LA PAROLA: QUEL “COSO” CHE VALE PER IERI, MA ANCHE PER L’OGGI E PER IL DOMANI
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Il 27 gennaio fu il giorno in cui le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nell’offensiva contro la Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. Dall’anno 2005 in questa data, in Italia,  viene celebrato il giorno della memoria per ricordare le vittime dell’olocausto. La storia si è macchiata e continua a macchiarsi, attraverso le mani dell’uomo, di crimini atroci dovuti principalmente ad una non tolleranza dell’altro quando viene inteso come diverso. E la vicenda dell’Olocausto del 1939-1945 deve ancora essere raccontata. Perché non venga dimenticata e non abbia a ripetersi. Quei fatti, come molti altri che accadono quotidianamente ancora oggi e che ci arrivano attraverso l’occhio dei MEDIA, passano attraverso le immagini e la forza delle parole che li raccontano. Ma cosa accadrebbe se le parole venissero usate in senso inverso? Se la loro forza venisse utilizzata per negare piuttosto che per affermare e declamare? E’ su questa dicotomia tra affermazione/negazione che si basa la piece teatrale di Manfredi Rutelli, con le musiche di Paolo Scatena: “Dove è finito lo Zio Coso”, tratta da un romanzo di Alessandro Schwed, che è andata in scena sabato 26 al Mascagni di Chiusi e la sera prima al teatro Caos di Chianciano.  Protagonisti due attori bravissimi e poliedrici: Gianni Poliziani e Alessandro Waldergan.

Melik (Waldergan) viaggiatore alla ricerca di suo zio e  delle proprie origini, apprende dalle affermazioni sfacciatamente sicure e ridondanti di un veterinario Oscar (Poliziani) che la seconda guerra mondiale con i suoi crimini, abusi e soprusi non ha mai avuto luogo, non è esistita, è stata un bluff, il tutto organizzato per mettere in cattiva luce la potente e gloriosa Germania. Che il bombardamento di Londra, ad esempio fu solo una festa, con fuochi d’artificio cui parteciparono anche la Germania e l’Italia, ma solo per dare una mano…

Attraverso la verve di Poliziani l’orrore del conflitto viene desublimato, ridotto a grado zero; con lui la parola invece di affermare nega, prende forza durante il percorso di annientamento dell’altro. Melik dotato di un sentire emotivo profondamente umano ed onesto, viene sminuito, depotenziato nelle sue idee e nelle sue affermazioni dal suo antagonista Oscar.

“Ci sono i libri che dimostrano tutti quei morti, i bombardamenti !!!”dichiara; ma subito Oscar “Sì, i libri !! ah ah ah!!”.

Ogni battuta si regge sulla tensione che esiste tra l’affermazione e il suo contrario e purtroppo con il procedere del viaggio ci si accorge che il gioco non  è più una querelle ma diventa una vera e propria disfatta per il sensibile Melik, il quale soccombe alla prosopopea di Oscar che lo convince che la sua stessa vita non  stata altro che una sorta di ‘Truman Show’ dove tutti, compresi genitori, zii, amici erano attori pagati, comparse di una commedia…

La piece oltre ad essere un invito a ricordare quanto successe negli anni 1939-1945, è anche un’esplicita testimonianza  di quanto forte e potente possa essere la parola e l’utilizzo che se ne fa. Abusarne usandole in senso contrario e diffamatorio o usarle per annullare un evento può avere un effetto catastrofico.

Il povero Melik sul finale è completamente stordito, sembra essere caduto nel precipizio della dimenticanza;  non trova più le parole, non le ricorda,  alcune le ha sul margine della poca memoria rimasta ma non riesce a pronunciarle. Questo stato di azzeramento si protrae fino a casa sua, quando seduto in poltrona cerca di ricordare la storia del mondo e la sua ma non può, tanto che anche il nome dello zio è diventato “COSO” a causa dell’oblio.

Rivivere, ripercorrere i fatti accaduti attraverso un racconto onesto e veritiero è doveroso. Lo è per noi, affinché si possa capire il presente, per le generazioni future perché sappiano chi eravamo noi e  lo è soprattutto per chi  ha percorso quello spicchio di tempo che noi oggi chiamiamo STORIA.

La parola ha la forza dei fatti poiché li racconta ed è importante farne buon uso, per non dimenticare, per non finire anche noi nella probabile indifferenza del domani e perché i nostri ricordi, le nostre idee e le nostre fedi plurime possano avere forza e riconosciuta dignità. Questo ci insegna “Dove è finito lo zio Coso” che non è uno spettacolo per il Giorno della Memoria, ma una piece teatrale che propone un ragionamento e una riflessione “a futura memoria”. L’intento della Compagnia che lo ha allestito e del regista Rutelli è infatti quello di farlo girare anche in estate e in autunno, fuori dalla stretta ricorrenza. Perché vale per l’oggi e anche per il domani.

Paola Margheriti

 

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