CHIUDE MICROMEGA? LA VOCE COLTA DELLA SINISTRA LAICA, LIBERTARIA E ILLUMINISTA NON CE LA FA PIU’
Nell’era digitale, dei social media, i giornali fanno una gran fatica a farsi leggere. I giornali normali, le testate di informazione, come è anche Primapagina. Figuriamoci le riviste “impegnate”. Quelle concettuali. Come Micromega, per esempio. Chi ha attraversato con curiosità, con passione e impegno la palude e le sabbie mobili della sinistra degli ultimi 40 anni sa di cosa parliamo.
MicroMega muore. Lo ha annunciato il fondatore e direttore Paolo Flores D’Arcais il 22 settembre scorso:
“Muore una testata di sinistra illuminista, da quasi trentotto anni impegnata culturalmente, civilmente, politicamente, sul versante egualitario, libertario, laico (e anche ateo), per una giustizia eguale per tutti.
Che ha espresso sempre in modo radicale il proprio punto di vista, ma ha sempre accettato e anzi promosso il confronto con posizioni anche lontane. Oggi spesso rifiutato da altri, nella sinistra e nella Chiesa”. Così scrive Flores d’Arcais.
Muore, cioè chiude. A meno che… “A meno di un miracolo, di cui nessun Dio, ma solo voi, potete essere gli autori”. Il miracolo è la sottoscrizione, entro la mezzanotte di domenica 8 ottobre di almeno 5.000 impegni ad abbonarsi. Ognuno sarà poi ricontattato per discutere insieme del futuro della rivista. Forse il tempo di certe testate è finito. Non c’è più l’abitudine al confronto, meno che mai ad un livello un po’ più alto del piccolo cabotaggio quotidiano. Non c’è più nemmeno la sinistra che abbiamo conosciuto nel passato. I venti-trentenni di oggi non hanno la stessa “tensione ideale e politica” che avevano i 60-70enni di oggi quando avevano la loro età. E’ cambiato il mondo, sono cambiate le coordinate, i riferimenti. Oggi non solo non si discute di filosofia o di economia politica, ma non ci si incazza neanche per la benzina a due euro al litro. Cosa che ci sta chiudendo in casa come il lock down… Non ci si incazza più, al massimo si mugugna, per una informazione drogata e sciatta anche su questioni cruciali come la guerra. La tv pubblica e quella commerciale fanno schifo? Ci si abbona a Netflix, facendo ugualmente il gioco del padrone…
In questo quadro desolante e devastante, almeno per chi ha conosciuto altre stagioni, che una rivista come MicroMega chiuda i battenti non può stupire. E’ semplicemente un fatto conseguente. Personalmente non ho condiviso sempre le posizioni di Flores D’Arcais e di altre penne di Micromega, negli ultimi anni non mi sono neanche più abbonato. Ma ritengo la morte di MicroMega l’ennesimo pessimo segnale e una perdita non da poco per il “pensiero critico” in questo Paese. Se al posto di riviste forse un po’ datate come nell’impostazione, come MicroMega nascessero altre esperienze più moderne, più smart, più vicine alle sensibilità di oggi, la perdita verrebbe mitigata. Ma questo non avviene. E’ sempre più buio.
m.l.
E’ un ulteriore segnale della profonda modifica del modo di circolazione delle idee. Non è che non ci siano più idee, ma dovrebbero essere veicolate in maniera diversa. Giustamente, dici che le rughe non si possono nascondere; però è anche improponibile la strada dei media elettronici: sono già orientati (il medium è il messaggio è sempre un’analisi attuale) e distorcerebbero il messaggio che, almeno nel caso di D’Arcais & Co., rimane legato alla carta e ad un certo tipo di espressività. Mi sono chiesto a lungo come rispondere a questa situazione e ritengo che, almeno per ora, l’unica strada percorribile sia quella artistica (in senso lato). E’ forse l’unica via per parlare al cuore (e poi al cervello). Ma non sempre la si sa percorrere.
Sulla “strada artistica” concordo. E l’ho anche scritto, pure di recente, a proposito di uno spettacolo teatrale. Credo anch’io che attraverso l’arte si possano dire delle cose che altrimenti è difficile dire, mancando gli strumenti e le occasioni per farlo. Nel nostro piccolo, come Primapagina abbiamo scelto la via del teatro per parlare di guerra e pace, di mercenari e massacri, in un un momento in cu la guerra c’è (anzi ce ne sono parecchie) e pochi ne parlano. Difficile trovare le stesse platee in altro modo…
Per Enzo Sorbera. Mi trovi abbastanza d’accordo che ” parlare al cuore poi al cervello” possa essere una delle soluzioni ma credo senz’altro non l’unica.Dico così perchè fra cuore e cervello,per la formazione delle idee conseguenti, esiste un percorso temporale che oggi non è contemplato dalla produzione di quest’ultime, poichè viviamo quasi con la velocità di un film sul quale schermo di proiezione passano le idee veloci, distruttibili e spesso nella divagazione mediatica non si ha nemmeno la forza ma ancorpiù la volontà di afferrarle e farle nostre. E tutto questo è la condizione alla quale ci sottopone il cielo sopra a noi,un cielo che non ci risparmia,un cielo impietoso che continua a far piovere dentro casa nostra perchè quasi sempre ci parla e ci dice che il tetto non serve più a fermare l’acqua, e l’acqua è prodotta dalla sintesi artificiale di quella formula detta H2O da noi assunta sempre proveniente dai fiumi, dai laghi, dalle cascate,ma oggi non più. Il degrado capitalistico impera sovrano e distrugge il vecchio ma non crea il nuovo, anzi lo crea a sua misura e lo fà rispondere alle domande per le quali diventa uno scalino per andare sempre più avanti nella strada della dissoluzione del genere umano(perchè di questo si parla e non di altro se si confrontano le cifre degli 8 miliardi di persone con il miliardo e mezzo dei paesi autodefinitesi sviluppati incontestabili e quindi non ci dovrebbero essere grandi spiegazioni ” alla Veltroni” del ”si,ma…” su tale tema). Negli anni ’60-70 quindi mezzo secolo fa ero abbonato all’edizione italiana della Monthly Review edita dalla Casa Editrice Dedalo di Bari che s’incaricò di ristampare quella che fu la rivista della sinistra americana diretta da Paul Sweezy ed Hanry Magdoff-due giganti della cultura marxista occidentale-che poi divenne la guida di milioni di persone in Europa e nel resto dell’occidente.Le ho tutte completamente rilegate e talvolta quando vado a ricercare fatti storici ed economici non posso fare a meno di consultare tali volumi,soprattutto per quanto riguarda la poliutica internazionale.Se volessi fare un confronto di come sia cambiato il mondo e più che altro gli Stati Uniti d’America quale nazione guida dell’Occidente nella loro accezione a sinistra,oggi sarei ricoperto letteralmente dalla pelle d’oca su certe tematiche mentre su certe altre che riguardano la doppia faccia del capitalismo nella sue relazione con l’esterno e quindi con l’economia e la politica internazionali sull’allternativa repubblicano-democratica, di variazioni ne osservo poche, anzi quasi nessuna, poichè quelle odierne riguardano solo un peggiorativo-socialmente parlando- delle condizioni sociali globali.E non è che la Monthly Review fosse ì ”topolino di Walt Disney” ma era un faro critico del quale ogni sistema politico-economico doveva tener conto.Oggi c’è una situazione nuova prodotta dopo l’avvento di Reagan al convegno di Montreal dove Brezinsky parlando per ultimo ed ascoltati tutti i presenti prese la parola e disse letteralmente che se il sistema avesse voluto ” tirare avanti” ed evitare il crollo e applicarlo agli altri stati che per gli USA erano ugualmente allora ”stati canaglia” dove esisteva un pericolo di messa in forse del capitalismo,si doveva puntare sulle componenti mediatiche come la televisione e mettendo un momento da parte la carta stampata relegata a considerazioni socio-politiche più all’altezza delle classi medio-alte.Così è stato e così è anche oggi con tuitte le varianti in positivo ma anche in negativo.Quindi, la carta stampata riservata alla lettura ed all’assunzione di concetti ”diciamo piu corposi” abbandona la propria prerogativa e la propria funzione poichè il sistema così creato del ”mercato” l’ha posta fuori possibilità di essere raggiunta ed è riservata sempre più spesso ad una elite semprepiù ristretta.La stessa cosa è avvenuta per i comportamenti umani nei confronti della scrittura e della lettura per la quale la gente non ha più nè il tempo nè la pazienza di leggere e non sopporta più il tempo impiegato per l’assimilazione dei concetti.Nella disinformazione di massa basta poco affinchè il pubblico fruitore appartenente alla stragrande maggioranza delle classi sociali si rifiuti psicologicamente di assimilare i concetti e di leggere, passando disinvoltamente e celermente ad un tipo di informazione che usa simbolismi di apprezzamento del tipo le faccette che ridono e/o che piangono o le dita alzate a mo’ di approvazione dei concetti. Non c’è più una discussione ed un confronto critico e quindi il tutto si riversa nella miseria di massa dell’informazione portata vanti da un mondo globalizzato dove i comportamenti scavalcano le peculiarità etniche relegandle all’interno di un meccanismo frantumatore senza scampo.Prendiamo per esempio quella che potremmo chiamare la ”diatriba-chiamiamola così- fra me e Marco Lorenzoni sul tema esclusivo del Lars Rock festivala a Chiusi.Una piccolezza inesistente nel panorama sia regionale chè nazionale se si guardi all’ordine di grandezza del problema specifico, ma anche l’atteggiamento e la propensione alla considerazione dell’aspetto culturale che viene detto che se si potesse si finanzierebbe ancora di più è un indice di visioni diverse ma anche di sentimenti diversi e di aspettative diverse sia mie chè sue.Il lavoro che viene prodotto nelle menti di coloro che sono schierati a favore di tale spettacolo per esempio e che dall’altro lato guarda caso corrisponde quasi sempre a coloro che fruiscono il loro normale sostentamento economico dal lavoro all’interno della della macchina amministrativa è molto sottile e nessuno sfugge a questo,con anche delle varianti contrarie, ma poche e che quasi mai si pronunciano su tale tematica ormai da anni, l’aggravante-se si può usare tale aggettivazione ma è solo un mio parere questo- è che esiste un fronte di assenso indipendentemente dalle ragioni profonde di qualsiasi discorso.Una bella frase di Upton Sinclair a tal proposito è stata quella da me riportata in diverse occasioni sulla pagina di questo giornale che suonava che fosse difficile far intendere qualcosa ad una persona il cui stipendio dipende dalla capacità di non capirla.E così siamo arrivati al crollo delle ultime mura che difendevano la cittadella della sinistra che attualmente si poggiavano solo sulla carta stampata perchè quell’altra carta elettronica ormai è dentro di noi, dirige l’economia ma più che altro il modo di pensare.alla fine si non mi sembrerebbe che possa essere sacrilego dire che toccato il fondo, il sinusoide dell’intellighenzia umana possa avere la ” spinta fisica” e razionale a risalire verso la superfice.Ma prima il rischio da affrontare è quello della guerra ritengo che sia quello della guerra poichè questo sistema dove siamo immersi prima di perdere la sua capacità direzionale-anzi la sua incapacità direzionale- tenterà di tutto per non dividere con altri-e quindi con tutto il resto del genere umano- il proprio potere di continuare ad arricchirsi ed accumulare fondato sulla pelle degli altri.C’è un lavoro da compiere, un lavoro molto rischioso che è sempre quello che ha animato la visione di un socialismo globale per il quale l’idea di ” socialismo in un paese solo” era errata e difatti vediamo come sia finita.C’è da dire che da qualche parte si debba pure cominciare anche non consentendo al sistema di esprimere le sue nefandezze e le sue direzioni verso la guerra glabale, ma mantenendo un equilibrio affinchè giorno dopo giorno il sistema economico irrazionale perda terreno e sia obbligato esso stesso ad accettare gradualmente la spartizione senza ritorni all’indietro che come vediamo anche oggi in ogni momento vengono tentati,con guerre, con provocazioni, con colpi di stato guidati dall’interesse economico e geopolitico.Questa è la mia”visione” per una globalità sociale ma nel contempo ritengo che dovrebbero essere chiari tutti quegli elementi che sono serviti e che continuano ancor oggi a servire da zavorra ed a non permettere la spinta verso l’alto. L’asserragliarsi in un fortino usando gli strumenti di sempre ormai è nettamente un idea insufficiente e non produttiva per uno sviluppo globale. In tal senso, in parte lo stesso Paul Sweezy direttore di quella Monthly Review di cui parlavo prima ha sempre parlato di meccanismi che possono variare con i tempi ma che debbono allo stesso modo produrre idee e visioni all’interno degli stati per le quali sia scongiurato un ritorno all’indietro e che il movimento possa essere produttivo di nuove progressività. il capitalismo è un vecchio arnese che cozza contro lo sviluppo globale e relega centinaia di milioni di persone nella miseria cronica, soprattutto quando esistono forze che animano e che spingono al miglioramento come le migrazioni. Non esistono nemmeno gli enti e gli organismi atti a regolare tutto questo e quindi tante cose dovrebbero essere cambiate ma l’occidente non sembra avviarsi su tale strada anche se il percorso è necessariamente lungo.
Capisco le tue obiezioni, ma non le condivido: un Baran o un Marcuse oggi non avrebbero “pubblico”. Non perché la gente non ci arriva o è stata disinformata, ma perché è cambiata la modalità di circolazione del discorso: l’intellettuale quando agisce come mediatore ed interprete spaccia moneta fuori corso. Non è che non avremmo bisogno di mediazioni e interpretazioni, ma l’attuale orizzontalità del circuito informativo (leggi equivalenza generale di ogni enunciato – sia quello prodotto dal luminare che quello prodotto da un qualsiasi Carletto59 -) svuota, riducendola a discorso tra gli altri, l’analisi dell’esperto. Ancora meglio. L’analisi dell’esperto ha valore e pregnanza solo se ne condividiamo premesse ed esiti; altrimenti, viene sottoposta al sospetto di connivenza col nemico: se non sono d’accordo con Crisanti, dirò che sicuramente ha interessi e accordi con chissà quali poteri occulti della farmaceutica. Il dubbio che io possa sostenere idee sbagliate non mi sfiora nemmeno, proprio in forza dell’equipotenza dei discorsi. Questo non implica che bisogna tacere. Si tratta di trovare rimedi e alternative. A questa situazione si può rispondere perseverando nel proprio ostinato procedere, oppure provando a utilizzare i media disponibili e cercando di scartare di lato. E’ chiaro che occorre avere la consapevolezza, se si sceglie la seconda strada, che si utilizzano strumenti pericolosi, capaci di deformare la nostra azione. Per chiarire: tutti ci siamo trovati ad avere ben formulato un discorso in testa che, quando lo dobbiamo trasferire su carta, finisce per essere diverso da quanto era stato pensato. Ogni strumento (dalla penna al tablet) ha caratteristiche proprie che obbligano in una certa direzione, ma che possono essere portate alle estreme conseguenze o al cortocircuito. Troppo spesso ci siamo abbandonati all’entusiasmo del nuovo medium, finendoci intrappolati dentro. Rompere questa logica è possibile solo mediante l’arte. Ma qui il discorso si farebbe chilometrico 🙂
x Enzo Sorbera. Vediamo di procedere con ordine rispetto ai punti toccati nella tua risposta:
A)La modalità di circolazione del discorsoa cui ti riferisci ha prodotto SELETTIVITA’ mirata a determinare nella mente degli uomini delle insufficenze valutative sui problemi che affliggono il mondo. La Modalità di Circolazione del discorso è anche pur metodo e permette un certo grado di assimilizzazione e assuefazione da parte del pubblico,grado questo che ritengo qualitativamente quasi sempre più basso come qualità di analisi rispetto a quello per esempio presente negli anni ’70.
B) Che ”l’intellettuale mediatore spacci moneta fuori corso” la trovo solo una percezione,sebbene sia condivisa e spartita sempre sotto una data di temporalità e comunque tale valutazione dipende sempre dal film che si vede all’intorno riguardante i successi o gli insuccessi delle politiche.
C) La possibilità che un concetto qualsiasi possa inficiare il discorso dell’intellettuale esiste ma questo dipende soprattutto dalla conoscenza di chi si informa e dal suo spirito critico.
D) Il giudizio di partenza sottoposto al sospett del nemico che in effett si svolge come tu dici è scientificamente pregiudiziale poichè basato ed influenzato da una metodologia di analisi aprioristica e spesso quasi sempre antiscientifica dove prevalgono non giudizi di ragione ma di sensazione.Difatti tutto questo trasportato nella politica odierna fa osservare che i consensi alla politica soprattutto delle grandi masse subalterne dipendano da sensazioni, stati d’animo, rabbia ed altro e non da una conoscenza razionale degli avvenimenti storici.E) Non si sà quanto possa essere produttiva la seconda strada oppure la prima del rimanere fermi nei propri assunti, ma l’osservazione storica ci dice che spesso i grandi cambiamenti non sono stati nè regolati in principio nè rimasti all’interno dei nuovi medium,ma hanno espresso la loro forza spesso dipendendo dalla momentaneità,dove e quando non era possibile tracciare una qualsiasi conclusione che poi è arrivata sorprendendo tutti ( Ricordi per esempio la caricatura di Lenin che con la scopa spazzava via dal globo zar, regnanti,mandarini e padroni col cilindro in testa ?) La storia fino a quel momento non lo aveva previsto così come tutti i regnanti d’Europa e d’America. Sono daccordo con te che l’arte può essere una leva per annullare e far diminuire le difese dei sistemi dominanti in ogni occasione e sotto ogni latitudine ma ritengo che se pur importante possa essere questa, sia sempre un mezzo ed una modalità parziale che serve a cambiare le coscenze e di punti di vista, ma credo che la molla del cambiamento resti sempre la spinta per la soddisfazione dei bisogni materiali finchè l’umanità resti divisa come lo è oggi e quindi la veicolazione- come dici al’inizio tu- tentata attraverso altri circuiti e con” modalità diverse” non è detto che nel tempo possa essere vincente rispetto ai sentimenti.Anche perchè il bisogno nell’uomo è lo stimolo del sentimento ed è per fortuna una condizione naturale ed incancellabile.
Ho citato in precedenza il caso della scelta di primapagina di produrre degli spettacoli teatrali per “dire delle cose che altrimenti è difficile dire” (l’ultimo, sulla notte prima dell’assedio, ma anche altri), ma forse non è un CASO che anche giornalisti di grido, molto più del sottoscritto, come Gad Lerner, Travaglio, Scanzi, Silvia Truzzi vadano sempre più spesso sul palcoscenico a raccontare delle cose in maniera teatrale e con i canoni dello spettacolo teatrale e non della conferenza colta… No?
X Marco Lorenzoni. Non mi sembrerebbe che su un tale argomento si possa estremizzare (Conferenza Colta contrapposta al ” cuore…”..) perchè ambedue semmai hanno una valenza, anche diversa, anche strategica, anche politica. Da una parte si potrebbe obiettare che vista la difficoltà di far passare l’informazione più corposamente politica e colta che riguarda gli argomenti appunto politici, si preferisca quasi rientrare dalla finestra per uscire dalla porta,ma anche viceversa. E tutto questo sovraintende una debolezza che è la difficoltà ad affermarsi e ad essere assimilata della politica usata per cambiare i fatti che si reputano che a sinistra per esempio non soddisfino,nutrire i cervelli in modo che assimilino la sensibilità di riconoscere delle fondamentalità valoriali. Può essere anche cosi certamente e fra l’altro un valore assimilato e digerito e fatto proprio ha più difficoltà ad essere estirpato di quello di una mera reazione materiale ad uno status economico.Ma vi renderete conto che stiamo parlando di nebbia e di aria fritta, perchè una commedia od una qualsiasi rappresentazione difficilmente può stimolare la reattività che porta ad un cambiamento e quindi credo che questa sia una opzione più perdente chè vincente a lungo andare. Anche perchè se fosse vincente nella storia si pensa davvero che il sistema ove siamo immersi la permetterebbe ? Sono questioni di lana caprina alle quali non affiderei molta fiducia perchè è vero in ogni caso ciò che Sorbera dice che si possa ipotizzare qualunque ”strategia colta”ma poi i fatti sono quasi sempre diversi da ciò che si è ipotizzato e questo vale sia per la ”strategia colta” chè per la rappresentazione teatrale ed ecco perchè mi sono sentito di rispondere a Sorbera punto per punto rispetto alla sua esposizione soprattutto per l’esempio che ha portato sulla possibilità di farsi da parte ed imboccare una via diversa che possa essere forse più produttiva.La prima cosa che mi viene in mente storicamente e politicamente parlando è la socialdemocrazia alla quale noi facciamo sempre riferimento, perchè è minimo un secolo e mezzo che ci siamo arrovellati su tale termine ma mai abbiamo scoperto che possa essere un dato od uno status definitivo.Anche perchè le forme della socialdemocrazia sono esempi inconsistenti perchè per combattere l’assolutismo economico (ed ancor di più il capitalismo monopolistico) e per cercare di mitigarlo alla fine gli strumenti vincenti li possiede il capitalismo e non la socialdemocrazia e gli esempi di questo li vediamo ognidove come per esempio nelle nazioni nordiche europee con pochi abitanti dove la socialdemocrazia ha impresso un suo marchio ma dove esiste ugualmente un capitalismo che si comporta pressochè ugualmente alle altre nazioni del Sud Europa e dove peraltro la stessa socialdemocrazia è quella più facilmente applicata proprio per il PIL suddiviso fra poca popolazione.”Belle forze direi…” Tutto il resto sono veri e propri discorsi che non hanno mai trovato concretizzazione e nemmeno hanno rallenato e mitigato la rapacità del capitale privato verso quello pubblico( Vedi Italia) che si esprime continuamente nelle forme delle privatizzazioni, delle ristrutturazioni, nella pressione vera e propria della forza lavoro quale fattore della produzione che la sola che possa essere compressa per fare proftto,diversamente si chiude o si trasmigra.E allora anche quando si parla di riformismo come un tentativo di produrre politiche che possano coniugare insieme lavoro e capitale, la parte sempre perdente in termini economici risulta essere quella del lavoro mentre invece quella del capitale si mette in moto solo se si prospetta un profitto e quando non lo si raggiunge o si chiude,o si delocalizza o si licenzia.La realtà materiale è questa e non un altra e difficilmente credo che la si possa cambiare con politiche culturali che attirino la gente e la facciano pensare a forza di sovrapporre commedie, spettacoli, letture o mostre.E’ un contributo troppo debole e facilmente erodibile dal tempo e penso di certo che che andrebbe applicato ma supportato anche da altro che chiamerei con una parola molto larga: ”conoscenza”..Il cambiamento avviene invece dalla reazione alla compressione del bisogno e solo in quel modo di manifesta e talvolta riesce anche a imporsi per vincere ma è obbligato a lottare non solo contro chi crea culturalmente falsi obiettivi ma anche contro chi nel mondo moderno cerca di salvarsi vendendosi e quest’ultima diventa la condizione più facile ad essere raggiunta supportata sempre dalla ricerca di ragioni che gustifichino i comportamenti in base alla regola che cambiare sia il frutto di una ricerca, questa sì viaggiante a senso unico ed acritico e cancellatrice delle diversità fra il ” colto ed il
Carletto 59” e questa non fa altro che essere una strategia vincente basata sulla limitatezza umana e l’ignoranza di saper leggere la storia passata.Ed il mondo è pieno di questi ultimi che chiamerei insopportabili allo stesso modo di coloro che non sopportano leggere qualsiasi testo scritto che avrebbe la differenza di tempo di soli 3 o 5 minuti in più di un testo normale ad essere letto.Noi adesso viviamo in un mondo così fatto, di faccine meste o sorridenti a seconda di quello si voglia comunicare, di ditini alzati e/o formanti cuoricini mentre i nostri cervelli spesso non si rendono conto che come dice la battuta è lo stomaco ad essere più intelligente del cervello perchè quando è vuoto ti avverte, il cervello no ! Non credo che oggi le possibilità che abbiamo di fronte possiamo ribaltare il senso di tale battuta.
ERRATA CORRIGE:. chiedo scusa ma nell’ultimo periodo del mio sopracitato intervento leggi: ”non credo che oggi con le possibilità che abbiamo di fronte si possa ribaltare il senso di tale battuta”