19 GIUGNO FESTA DOPPIA A CITTA’ DELLA PIEVE: PATRONI E LIBERAZIONE. QUELLA STRANA FUCILAZIONE DEL 27 MAGGIO ’44…

lunedì 19th, giugno 2023 / 10:37
19 GIUGNO FESTA DOPPIA A CITTA’ DELLA PIEVE: PATRONI E LIBERAZIONE. QUELLA STRANA FUCILAZIONE DEL 27 MAGGIO ’44…
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CITTA’ DELLA PIEVE – Oggi, 19 giugno, a Città della Pieve è festa. Due volte. Il 19 giugno infatti è la festa del patrono, due anche anche in questo caso: Gervasio e Protasio. E la città che ha trascorsi papalini è molto attenta a queste cose. Come del resto è giusto che sia. Ma il 19 giugno è anche la data della Liberazione della città dal nazifascismo nel 1944.

Una coincidenza questa che sa quasi di prodigio. Città della Pieve fu anche la prima cittadina della zona ad esser liberata dagli alleati e dai partigiani. Seguirono Cetona e San Casciano Bagni il 20, Sarteano il 24, Chiusi il 26, Chianciano, Montepulciano e Castiglione del Lago il 29…

Anche a Città della Pieve la liberazione non fu una passeggiata per le truppe alleate e per i distaccamenti partigiani che diedero loro una mano… Si combatté duramente per le strade del centro storico e nelle campagne circostanti e nelle ultime settimane, da metà aprile, tedeschi e fascisti operarono rastrellamenti feroci alla ricerca dei “ribelli” e dei renitenti alla leva che non avevano risposto alla chiamata allearmi della Repubblica di Salò delle classi 1924 e 25.

Non mancarono scontri a fuoco, fucilazioni, impiccagioni. Ce ne furono a Cetona, a San Casciano, a Chiusi, a  Chianciano, a Montepulciano, a Castiglione del Lago con decine di civili passati per le armi o trucidati barbaramente…

Proprio il 19 giugno, giorno della liberazione di Città della Pieve, a Cetona, località Vecciarella, 8 contadini furono rastrellati e poi falciati con raffiche di mitra alle spalle dopo esser stati invitati a fuggire dalle SS della divisione Herman Goering.  La stessa che fece fucilare a Chianciano i tre contadini chiusini della famiglia Perugini (padre e due figli) e il militare “sbandato” Giuseppe Marino catturato a Chiusi e impiccato ad un lampione a Montepulciano…

Un episodio simile si verificò anche a Città della Pieve il 27 maggio del’44. Tre settimane prima della liberazione. Ma in questo caso furono i fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana, non i tedeschi i protagonisti. Vittima un cittadino marchigiano, di Moldavio, alloggiato all’Albergo Garibaldi: Pacifico Maria Giorgi Pierfranceschi, di 32 anni.

La vicenda merita di essere raccontata. La mattina del 27 maggio ’44  giunge a Città della Pieve un reparto di camicie nere della GNR, circa quaranta uomini guidati dal sottotenente Filippo Faro, proveniente da Città di Castello. Dopo avere bloccato le vie d’accesso iniziano un rastrellamento alla ricerca di renitenti e disertori, annunciati in numero notevole anche nel centro storico. Il tutto avviene in accordo e con il pieno concorso delle autorità fasciste locali.

In una stanza dell’albergo “Garibaldi” viene arrestato il citato cittadino di Moldavio, che, giunto l’assenso dal comando provinciale della Gnr, seduta stante viene condannato alla fucilazione, anche perché trovato in possesso di una pistola, sebbene sprovvista di munizioni.

I fascisti locali chiedono e ottengono dal sottotenente Faro che l’esecuzione avvenga al cimitero e non sulla piazza principale, per non allarmare troppo la popolazione e non correre rischi. Pacifico Maria Giorgi Pierfranceschi viene accompagnato alla caserma dei Carabinieri, dove il comandante (il maresciallo maggiore Eugenio Galletta) viene diffidato dal fare qualsiasi cosa in favore del condannato. Dal rapporto di quest’ultimo, comandante anche dopo la Liberazione, datato 1 settembre 1944, risulta che nessuno dei  quaranta militi abbia accettato di eseguire la condanna e che lo abbia fatto di persona il sottotenente Faro, sulla facciata di un palazzo del centro, inscenando la tentata fuga del condannato  (in questo modo ha poi motivato l’accaduto ai Carabinieri). Compiuta l’esecuzione, Faro e i suoi militi si dileguano, mentre il gruppo di fascisti pievesi rimane sul posto fino al trasporto del cadavere alla sepoltura. Pacifico Maria Giorgi Pierfranceschi risulterà poi nipote del Dottor Giorgi Martegiani già podestà di Città della Pieve.

Se i militi della 102a Legione della GNR di Perugia che avevano fatto il rastrellamento, si rifiutarono di eseguire materialmente la fucilazione, i fascisti pievesi invece spinsero per l’esecuzione, comunque autorizzata dal Tenente Colonnello Antonio Loredan, comandante della Legione perugina. Fascisti locali tutti citati nel rapporto del Maresciallo Galletta dei Carabinieri. I loro nomi? Eccoli:  Tiberio Ottaviani, segretario politico del Fascio di Città della Pieve; Eugenio Rossi, segretario politico del Fascio della frazione Moiano (indicato dal maresciallo Galletta come il delatore che fece scatenare il rastrellamento); Giovanni Mommi, commissario prefettizio di Città della Pieve; Renato Porzioli, maresciallo della Gnr; Giuseppe Carlini, console della Gnr; Luigi Peccetti, maresciallo della Gnr; Liberto D’Ubaldo, capo ufficio annonario; Severino Rossi; rag. Adelmo Arena, impiegato esattoriale (indicato dal maresciallo Galletta come fervente collaboratore dei tedeschi); Umberto Barbino, guardia municipale, deceduto – sempre a Città della Pieve – il 17 giugno successivo a seguito di colpo di arma da fuoco, in circostanze non meglio chiarite, durante il passaggio del fronte (qualcuno forse gliela fece pagare); sottotenente Valentino, comandante di un reparto di Alpini stanziato in frazione San Litardo.

Qualcuno, nell’immediato dopoguerra ipotizzò che l’arresto e la fucilazione di Giorgi Pierfranceschi non avesse ragioni politiche, ma… diciamo così, di gelosia. Pare infatti che avesse una relazione con la figlia del titolare dell’Albergo Garibaldi, della quale si era invaghito anche il delatore e collaborazionista Adelmo Arena, che fece di tutto per toglierselo dai piedi…

Pacifico Maria Giorgi Pierfranceschi risulta sconosciuto all’Anagrafe di Città della Pieve, cui risulta soltanto la sua morte avvenuta il 27 maggio 1944. Nonostante il citato rapporto dei Carabinieri di Città della Pieve lo annoveri, anche, come partigiano, oltre che come renitente/disertore alla chiamata della RSI, il suo nominativo non compare
né fra i partigiani né fra i patrioti riconosciuti dalla Commissione regionale dell’Umbria. Il fatto che avesse in tasca una pistola spiega poco o niente. Ce l’avevano in tanti una pistola in tasca in quel periodo, anche se era molto rischioso.

Un altro episodio poco chiaro, come ce ne sono stati tanti anche in questo territorio, che conferma, se ce ne fosse bisogno, due cose: 1) che i fascisti italiani non furono dei semplici comprimari, ma veri e propri complici consapevoli dei nazisti; 2) che la guerra ha sempre lati oscuri e feroci e non di rado diventa alibi e copertura per vendette personali e ragioni di bottega.

m.l.

 

 

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