MONTEPULCIANO: “IL CANTIERE E’ VIVO MA NON STA TANTO BENE. E IO NEMMENO”. UNA RIFLESSIONE DEL REGISTA CARLO PASQUINI SU PROBLEMI E DIFFICOLTA’ DEGLI ARTISTI LOCALI

giovedì 28th, luglio 2022 / 12:51
MONTEPULCIANO: “IL CANTIERE E’ VIVO MA NON STA TANTO BENE. E IO NEMMENO”. UNA RIFLESSIONE DEL REGISTA CARLO PASQUINI SU PROBLEMI E DIFFICOLTA’ DEGLI ARTISTI LOCALI
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Oggi, nella Sala Consiliare del Comune di Montepulciano, si celebrano i dieci anni dalla scomparsa del Maestro e amico Hans Werner Henze.
Ho portato i ragazzi con i quali durante tutto il mese di luglio stiamo realizzando un Campus di teatro nel cortile di Palazzo Ricci.
Se ne avessi avuto la possibilità avrei anch’io voluto dire due parole su un uomo e un’istituzione che hanno cambiato in meglio la mia vita. Lo faccio qui cercando di non farmi condizionare dall’emozione:
Per me il Cantiere è stato lo scrigno dove ho imparato il mestiere, conosciuto artisti, persone indimenticate e assistito a concerti e spettacoli meravigliosi. Tra gli addetti ai lavori il Cantiere è stato anche il primo No-festival dove gli artisti, in nome del comunismo utopico molto romantico del fondatore, non ricevevano e non ricevono alcun cachet ma solo il rimborso del vitto e dell’alloggio.
Nei primi anni condividevo questa impostazione ritenendola davvero egualitaria, anche se all’incontrario. Infatti tutti gli altri (tecnici, amministrativi, autisti, addetti vari, direttori e segretari artistici) ricevevano una parcella seppur commisurata alle ristrettezze del festival.
Nella mensa dove artisti e operai siedono uno accanto all’altro come in un’iconografia sovietica, cominciai dopo un po’ di anni a percepire un certo disagio. Il disagio di chi, pur contribuendo con il proprio lavoro artistico, non si vede riconosciuta la propria contribuzione. Sedere accanto a un tecnico che in un mese guadagnava mentre io non percepivo alcunché cominciò a sembrarmi una bizzarria bella e buona che sopportavo a malincuore.
Naturalmente nessuno mi obbligava ad aderire a quella regola ma questo avrebbe significato la mia esclusione hic et nunc.
Passarono gli anni, Henze lasciò il Cantiere con l’amaro in bocca ed io proseguii la mia strada altrove.
La primitiva Associazione gestionale cedette il posto ad una Fondazione certamente più funzionale ma che assorbiva per le sue spese di gestione quasi la metà di un budget alquanto risicato dove il Comune aveva la parte preponderante.
A memoria non si svolsero bandi anche se vennero assunte persone di sicura capacità. Anche la parte dirigente (che sceglieva via via i vari Direttori artistici che si succedevano) era cooptata dai partiti così come usa nell’italica patria. Vennero comunque fatti sforzi pregevoli per il rafforzamento dell’Istituto di Musica, per l’adeguamento tecnico del teatro poliziano e per coinvolgere il più possibile le realtà del circondario così da creare un polo aggregativo culturale della massima importanza, conosciuto in tutto il mondo musicale europeo.
Poi vennero svariate crisi che investirono il mondo culturale italiano vuoi per la scriteriata conduzione di certi governi di destra e vuoi per il pensiero televisivo dominante che lasciava poco spazio alla grande cultura letteraria, teatrale e musicale italiana. Gli artisti, che un tempo erano spesso benestanti per nascita, cominciarono a ricevere uno sfruttamento sistematico anche perché, attraverso una scriteriata opera di scolarizzazione che induceva masse sempre più numerose a gettarsi in università, scuole e laboratori dal sigillo artistico/spettacolare, divennero ben presto (con rare eccezioni) poveri in canna. Vaganti speranzosi da un rimborso spese all’altro; senza contributi pensionistici, senza futuro, ma caparbiamente fiduciosi nel turbine della giovinezza che li avrebbe condotti chissà dove.
La pratica utopica henziana venne via via applicata a tutti i Festival, nei teatri, nelle istituzioni musicali e via depauperando.
Poi venne il Covid e il castello crollò e ci fu persino chi non poté avere i famosi ristori perché nessuno gli aveva versato i contributi necessari (una settimana).
Oggi gli artisti, perché nella speranza o nell’anima lo sono, assomigliano a dei paria che non avranno mai una pensione e che prima o poi dovranno ripiegare su un lavoro qualsiasi, ammesso che lo trovino.
Non ho alcuna speranza che questo stato delle cose possa cambiare e questo mi induce ad una amara tristezza.
Personalmente non ho più fiducia.
Avrei almeno desiderato che là dove fosse stato possibile si potesse avere una specie di compensazione ma se vado a proporre, faccio per dire, al Teatro Poliziano di Montepulciano, uno spettacolo di prosa da inserire nel Cartellone invernale mi sento rispondere che non è possibile, che non ci sono soldi, che la politica culturale che si applica d’estate viene completamente rovesciata d’inverno.
Fior di direttori artistici negli anni hanno avuto fiducia nell’affidarmi spettacoli, opere in prima assoluta, drammaturgie nuove, ma il teatro della mia città non è disponibile, non lo prevede, ciccia. Così che il lavoro ventennale coi giovani va a farsi benedire, la prosa non viene affatto considerata e alla crescita culturale dei nostri giovani si preferisce spesso il nome che attrae costringendo noialtri a chiudere le associazioni, rivedere i progetti, pestarsi i piedi l’un con l’altro.
Ecco che cosa avrei detto oggi in memoria del mio amato Hans, del mio amato Cantiere, della mia amata Montepulciano.
Carlo Pasquini
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