CHIUSI, LA MOSTRA DEL FOTOGRAFO SOLDATO DEL BATTAGLIONE AZOV. BENE ESPORRE LE IMMAGINI, MA SERVE UNA SPIEGAZIONE

CHIUSI, LA MOSTRA DEL FOTOGRAFO SOLDATO DEL BATTAGLIONE AZOV. BENE ESPORRE LE IMMAGINI, MA SERVE UNA SPIEGAZIONE
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CHIUSI –  Con il festival Orizzonti edizione del ventennale,  torna in scena anche il Festival Diaframmi Chiusi, manifestazione legata alla fotografia che si è svolta dal 2014 al 2016. Torna per ora con una una mostra diffusa, un’esposizione di immagini in grande formato esposte per vie del centro storico, aperta 24 ore su 24 e naturalmente gratuita (essendo le foto esposte per le strade sarebbe stato complicato prevedere un biglietto) dal 1 agosto al 2 ottobre.

La mostra in questione si intitola «QUESTO È TUTTO – 86 GIORNI NELL’ACCIAIERIA AZOVSTAL» Fotografie di Dmytro Kozatsk, nome di battaglia “Orest” e sarà presentata con una conferenza stampa domenica 31 luglio, ore 19,00 presso la Sala San Francesco è organizzata dal Cinefotoclub i Flashati in collaborazione con Comune della Città di Chiusi, Fondazione Orizzonti d’Arte e ProLoco di Chiusi. Alla presentazione interverranno Interverranno Giovanni Faleg – EUISS European Union Institute for Security Studies e Jean-Marc Caimi e Valentina Piccini, foto reporter di guerra e di temi contemporanei con un’attenzione particolare agli aspetti umani di ogni storia.

La Mostra a cielo aperto, con una decina di gigantografie poste in vari angoli del centro storico di Chiusi, come accennato è una rassegna di scatti del “fotografo combattente Dmytro Kozatsk, soprannominato “Orest”, membro del battaglione Azov, il quale ha combattuto nelle acciaierie Azovstal, prima di arrendersi e diventare prigioniero nelle mani dei russi il 20 maggio scorso”. Così si legge nella presentazione fornita dai Flashati che a proposito dell’autore scrivono: “Come ultimo gesto “Orest” ha donato il suo bene più prezioso, le foto scattate all’interno dei sotterranei, documentando gli 86 giorni di resistenza, e mostrando al mondo i volti stremati, i feriti, la vita sotto assedio. Alcune ore prima della resa ha caricato tutte le foto in una cartella di Google Drive e nei commenti ha scritto: «A proposito, mentre sono prigioniero, vi lascio le mie foto in alta qualità. Inviatele a tutti i premi giornalistici e concorsi fotografici. Sarà molto bello se vinco qualcosa, dopo l’uscita. Grazie a tutti per il vostro sostegno. Ci vediamo».

“Le immagini di Orest – scrivono ancora i Flashati nel comunicato stampa di presentazione dell’iniziativa – hanno fatto il giro del mondo in formato ridotto, veicolate da milioni di smartphone, per questo le proponiamo in versione analogica e in grande formato 150×100 cm, in un allestimento urbano. A passeggio nella nostra confort zone, in una calda estate chiusina, si gira l’angolo e ci si trova immersi per qualche istante in qualcosa di molto lontano da noi, ma incredibilmente accessibile in 20 ore di guida, percorrendo le comode autostrade europee senza trovare nessuna frontiera se non quella ucraina. Al di la di ogni giudizio politico sui componenti del battaglione Azov e in generale sulla guerra in corso, il focus dell’iniziativa tende a concentrarsi sulla componete umana. Le immagini proposte, nella loro istantanea crudezza, risultano piene e avvolgenti. Gli sguardi universali, i dettagli attuali e appartenenti al nostro quotidiano. Tutta la buona fotografia, e quella di Orest lo è, suscita nell’osservatore e fruitore un profondo moto interiore, talvolta inconsapevole, o coperto da meccanismi di autodifesa ma lascia col tempo il suo segno, contribuendo alla crescita dell’individuo. Questo progetto fotografico che presentiamo ha un duplice scopo: la valorizzazione del materiale messo a disposizione da Kozatsk (non è scontato che un fotografo ceda tutti i diritti di pubblicazione sulle sue immagini) e contribuire all’incremento turistico culturale nella nostra città”.

Come abbiamo scritto in un precedente articolo,  la mostra può prestarsi a polemiche, per la figura dell’autore delle foto (un combattente e non un reporter di guerra) e per le caratteristiche militari e politiche del Battaglione Azov, un reparto prima paramilitare poi integrato nella Guardia Nazionale Ucraina, che non ha mai fatto mistero delle proprie simpatie filonaziste, che si è fatto fotografare con le bandiere con la svastica e i cui soldati mostravano con orgoglio tatuaggi di taglio nazi o inneggianti a Stepan Bandera il collaborazionista ucraino che nella seconda guerra mondiale aiutò i nazisti a sterminare e deportare ebrei, comunisti, zingari, omosessuali…

Non solo, il battaglione Azov si è macchiato di crimini di guerra (anche stragi di civili) dal 2014 nel Donbass dove ha fatto il lavoro sporco contro la popolazione russofona e anche durante il conflitto iniziato il 24 febbraio di quest’anno è stato più volte nel mirino non solo dei russi, ma anche degli osservatori internazionali per l’uso di scudi umani, per aver sparato sui civili che tentavano di allontanarsi dai focolai di guerra…

Per questo motivo, oltre alla spiegazione fornita dal club i Flashati, crediamo sia assolutamente necessaria una spiegazione più precisa ancora da parte dei partners pubblici dell’iniziativa: Comune, Fondazione Orizzonti, Pro Loco.

Il cinefotoclub può anche fermarsi, dal suo punto di vista, all’aspetto meramente fotografico (il valore tecnico delle foto esposte e il valore documentale delle stesse), limitandosi a fornire una asettica informazione sull’autorecome ha fatto. Il Comune (crediamo anche Fondazione e Pro Loco) no, non possono fermarsi lì… Perché senza un chiarimento la mostra può ingenerare confusioni e semplificazioni circa la guerra in Ucraina. Una cosa è sostenere la resistenza ucraina come ha fatto il Governo italiano in questi mesi inviando armi e aiuti umanitari, altra cosa è dare l’impressione di sostenere o fare propaganda ad una parte specifica della resistenza ucraina (il battaglione Azov) che non è certo la migliore e che negli 8 anni precedenti ha sulla coscienza parecchie macerie e parecchi morti.

Per non dare questa impressione l’unica cosa da fare è spiegare. E siamo sicuri che il sindaco Sonnini o l’assessore alla cultura Bischeri lo faranno. Poi, sul fatto che la mostra abbia luogo, nulla da dire. Le immagini hanno una potenza immediata e dirompente anche come informazione, noi – lo ribadiamo – siamo favorevoli alla diffusione delle immagini anche quando queste sono crude, sconvenienti o controverse, come possono essere le foto di Orest. Però serve chiarezza. Perché le foto, soprattutto quelle di guerra, non sono mai asettiche. E non sono mai solo fotografie. Quelle di Orest meno che mai.

Anche perché la guerra continua. E’ di oggi la notizia (Ansa)  che “un bombardamento delle forze ucraine su una colonia penale nel Donetsk ha ucciso 40 prigionieri ucraini detenuti dai filorussi e ne ha feriti altri 75: lo ha affermato il ministero della Difesa russo, citato dall’agenzia Interfax, aggiungendo che il bombardamento è stato compiuto con missili Himars (del tipo di quelli forniti dagli Usa alle forze ucraine) su un centro di detenzione nella località di Elenovka, nella autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk.   Nel centro sono tenuti prigionieri di guerra ucraini, inclusi alcuni del battaglione Azov“.

Ecco ci auguriamo – per lui, e pur non avendo alcuna simpatia per il battaglione Azov – che il soldato Orest, prigioniero dei russi, non si trovasse in quella prigione e non sia tra le vittime del bombardamento dei suoi compatrioti.

Qualche reporter parla di un attacco per frustrazione, come risposta all’aumento negli ultimi giorni dei casi di ammutinamento e di resa spontanea tra i soldati ucraini (nel silenzio mediatico totale). A quanto pare i comandi ucraini non si fanno scrupolo di bombardare i propri soldati ucraini, con le armi inviate dall’occidente,  per scoraggiare e punire questi comportamenti. La guerra è una brutta bestia e non si può raccontare semplificando troppo…

m.l.

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