29 LUGLIO: 122 ANNI FA IL “REGICIDIO” AD OPERA DI GAETANO BRESCI, IL GIOVANE ANARCHICO VENUTO DALL’AMERICA
Oggi è il 29 luglio. E il 29 luglio di 122 anni fa, anno domini 1900, successe un fatto rilevante. Era domenica quel 29 luglio del 1900. A Monza il Re d’Italia Umberto I stava rientrando in carrozza nella sua residenza dopo aver assistito ad un saggio ginnico e relativa premiazione presso la Società sportiva Forti e Liberi, quando un un giovane sulla trentina gli sparò contro 3 colpi di pistola, forse 4, uccidendolo. Quel giovane si chiamava Gaetano Bresci, era un anarchico tornato apposta dall’America (era emigrato a Peterson, nel New Jersey, qualche anno prima), per uccidere il Re, per vendicare la strage avvenuta a Milano nel 1898, quando l’esercito regio guidato dal generale Bava Beccaris sparò su una folla di manifestanti che protestava per il pane (il totale dei morti non è mai stato accertato, ma superò sicuramente il centinaio). Dopo aver sparato a Umberto I, Bresci forse rivolse l’arma verso sé stesso, ma il colpo non partì, così dicono alcune testimonianze, fatto sta che il giovane anarchico si lasciò catturare dal carabiniere Andrea Braggio senza opporre resistenza e fu lo stesso carabiniere a salvarlo, proteggendolo dal linciaggio a cui stava per essere sottoposto dalla folla inferocita.
Nel processo per regicidio Bresci, difeso dall’avvocato Francesco Saverio Merlino, dopo il rifiuto di Filippo Turati, fu condannato a morte, con pena poi commutata in lavori forzati a vita da re Vittorio Emanuele III (e questo fu l’ultimo caso che si ricordi in cui un re d’Italia commutò una pena). Per poterlo controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per tre, priva di suppellettili, nel penitenziario di Santo Stefano, a Ventotene, una delle Isole Ponziane, diventata famosa più tardi perché il regime fascista vi mandava gli oppositori al confino…
Di carcere duro e lavori forzati però Gaetano Bresci ne fece poco, perché il 22 maggio 1901, fu trovato morto, impiccato, secondo il racconto delle guardie carcerarie, con un lenzuolo o, più probabilmente, con un asciugamani. Tuttavia le circostanze della sua morte hanno sempre destato perplessità. Sia il lenzuolo, sia l’asciugamani sembrarono un mezzo improbabile per darsi la morte data anche la sorveglianza vista cui era sottoposto. Potrebbe essere stato “suicidato”, insomma.
Vi è incertezza anche sul luogo della sua sepoltura: secondo alcune fonti, fu seppellito assieme ai suoi effetti personali nel cimitero di S. Stefano; secondo altre, il suo corpo venne gettato in mare. Le sole cose rimaste di lui sono il suo cappello da ergastolano (andato distrutto durante una rivolta di carcerati nel dopoguerra) e la rivoltella con cui compì il regicidio acquisita agli atti, dopo l’arresto a Monza. Tutti i documenti sul suo “status” di ergastolano sono scomparsi e non è mai stato ritrovato nemmeno il dossier che Giovanni Giolitti, all’epoca ministro dell’interno scrisse sulla vicenda Bresci.
Sono invece certe e accertate le responsabilità del Re Umberto I nella strage perpetrata dal “feroce e monarchico Bava” nel ’98 a Milano. Fu il re a ordinare l’uso della forza contro la folla inerme e non a caso aveva insignito Bava Beccaris di un riconoscimento per il servizio svolto… quello appunto di sparare sui poveri cristi che protestavano per il pane.
Gaetano Bresci, il giovane anarchico venuto dall’America resta invece un ero romantico, che attraversa l’oceano per tornare nel suo paese e rendere giustizia ai morti di Milano, uccidendo il massimo responsabile, il mandante, di quella strage. Ma nel gesto di Bresci c’era anche l’anelito anti-monarchico degli anarchici… “Ho ucciso un re, ho ucciso un principio” disse dopo l’arresto. Bresci come Pietro Rigosi, il macchinista, anarchico anche lui, che tentò di colpire “un treno pieno di signori” con la sua “locomotiva lanciata a bomba contro l’ingiustizia”.
Del resto in quegli anni “contro i re e i tiranni scoppiava nella via la bomba proletaria e illuminava l’aria la fiaccola dell’anarchia”… Che era una fiaccola di giustizia sociale, di uguaglianza perché i re, i generali, i padroni, la guerra ai poveri la facevano tutti i giorni.
m.l.
….Con la sola differenza odierna che oggi i poveri ci sono pur sempre, mentre spesso sono proprio loro ad osannare chi li comanda.Questa è stata la grande svolta mediatica con la quale spesso i potenti,i loro governi e le multinazionali hanno introdotto la ”democrazia”,non certo quella dei poveri ma quella loro. Questa visione non incontra di certo certo il favore nè dei potenti e nemmeno dei poveri,anche se spesso una parte di democrazia questi ultimi se la sono guadagnata dalla lotta contro l’establishment dei ricchi la cui finalità è il mantenimento del loro status non davvero la tendenza all’eliminazione del bisogno.Con tutte le sfumature possibili ma la situazione questa è ! Ed il consumo di massa dei beni che dà da pensare ai poveri che siano ”fette di democrazia” svanisce subito quando avvengono le crisi di quel sistema che li comanda e che si rimangia tutto o quasi tutto, stando ben attento che non si provochino crisi sociali che possano mettere in pericolo ” la democrazia”.Quella loro però. Per ricostituire gli equilibri infranti talvolta servono anche le guerre che quasi mai provoca il popolo ma è la ”ragione di stato” quella impostata da loro che le mette in atto e ”la democrazia” diventa una pompa aspirante-premente che si usa contro la gente.Ci fu qualcuno che in un recente passato disse: ”Se perdessero le elezioni-specchio della democrazia- non ce le farebbero fare”….