GLI ANNI DI PIOMBO IN UN RAP…

venerdì 27th, maggio 2022 / 18:19
GLI ANNI DI PIOMBO IN UN RAP…
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CHIUSI – Oggi un amico mi ha chiesto di presentare, anzi di partecipare alla presentazione di un libro sugli anni anni ’70 tra una ventina di giorni a Città della Pieve…  Me lo ha chiesto perché di quel periodo ho scritto parecchio, sia qui su primapagina, che in vari libelli o testi teatrali… Ho accettato volentieri, perché parlare di quegli anni cupi e violenti, ma anche “formidabili” (il termine è di Mario Capanna) sotto molti aspetti, esaltanti e creativi sia sul piano delle arti (musica, cinema, pittura, letteratura) sia su quello delle riforme vere, frutto di lotte sociali e civili (diritto di famiglia, statuto dei lavoratori, riforma sanitaria, abolizione dei manicomi, decreti delegati nella scuola…) è una cosa che mi piace e credo sia sempre utile. Ho subito cominciato a rimettere in fila i miei libelli, e quelli di qualcun altro, qualche articolo e qualche testo teatrale sul tema, per arrivare preparato all’appuntamento…

Poi mentre prendevo il caffè del dopo pranzo, al solito bar, la tv sintonizzata su un canale musicale mandava un rap ossessivo... Non amo il rap, semplicemente perché sono di un’altra generazione e sono – diciamo così – di campagna, di provincia. Non ho addosso la cultura metropolitana, che è il terriccio su cui il rap affonda le radici… Non che non conosca il disagio e la rabbia giovanile di certi quartieri, delle bidonville, delle periferie anonime, massacrate dal cemento e dalla spersonalizzazione, dall’assenza di prospettive e di futuro, svuotate di servizi e di opportunità… So che il rap e i suoi fratelli sono espressione di quella rabbia e di quel disagio, che i testi dei brani rap di quello parlano… So che i rave party in cui un certo tipo di musica ossessiva, che ti sballa senza fare troppo caso a ciò che dice, è l’unica che si ascolta sono anche quelli frustate ad un sistema che ancora marginalizza chi è fuori dal coro e dal mainstream della vita borghese… Ma, siccome non amo il rap come genere musicale, come sound,  raramente avevo fatto caso al testo… Mi ero soffermato ad ascoltare con attenzione. Oggi il canale Tv del bar mandava un brano di Moder, al secolo Lanfranco Vicari. Titolo: La musa insolente… Un brano certamente di qualche anno fa che parla quarda caso proprio degli anni ’70, degli anni di piombo, delle lotte operaie,  dell’alienazione dei lavoratori delle acciaierie e della deriva terroristica, brigatista, che come un vortice divorò una generazione… L’ho ascoltato con attenzione quel brano di Moder. Mi ci è cascato l’orecchio, come si suol dire…

E poi sono andato a cercarne in testo. E’ una fotografia di rara nitidezza di quel periodo.

E Moder è del 1983, non era neanche nato negli anni ’70, non ha ancora 40 anni. Ne ha 27 meno di me… Eppure il suo testo pur concedendo qualcosa al ritmo ossessivo del rap,  fa capire benissimo cosa furono quegli anni, gli anni della lotta dura, del terrorismo, dall’autuunno caldo del ’69 coi cortei di “studenti e operai uniti nella lotta”,  alla scelta di molti (troppi) di finire nella lotta armata, con un’unica strada davanti, quella de “il carcere a vita o la tomba”…

Penso che questo testo rap di Moder, mi tornerà utile a quella presentazione che faremo a Città della Pieve, se non altro come una lettura flash degli anni ’70, fatta a posteriori da un ragazzo che ne ha solo sentito parlare. Ma ha capito benissimo di cosa si è trattato… Eccolo il testo. Poetico in certi passaggi, duro e crudo in altri…

Quindi quando farai fuoco non lo guarderai mai
L’idea si è fusa alla mente
Solo un vuoto sullo sfondo e tu non sparerai, sai
Sarà la musa insolente 
Che farai mai, io non lo so (no)
Morire è un giorno dei più chiari
La dea lo sa, sai, ma un uomo no (no)
Per delle idee, ma sì, ma quali?

Luca arrivò col gelo fra i viali, col treno da Bari
Era un allievo pieno di zelo con zero ideali 
Partiva davvero da zero, lo Zeno di Svevo, i suoi mali
A Milano un cielo di vetro bagnava di nero i binari
Lui pronto al primo turno, il reparto Scintille Ed Acciai
Il forno fondeva il metallo dei gradi fahrenheit
La sua foto una scheda, un posto sulla fresa
La Breda era, l’autunno caldo degli studenti operai
Gli occhi stanchi dei compagni gli parlavano degli anni
spesi in mezzo alle barriere, alle colate dei metalli
In torni enormi ai loro corpi tonfi sordi in mezzo ai magli
Ciminiere, cieli neri sopra Sesto San Giovanni.
Tra i miti del ’68, le lotte dei senza capo
La crisi del Lingotto, le lotte del sindacato
Tra i figli di quelle lotte, le forze del padronato
Le botte, i patti di Stato, le lotte, il partito armato
Le idee vivono in bilico, hanno un peso specifico
Ogni scelta ha un’essenza diversa, un peso politico
Venivano al dunque le purghe, i processi nelle aule bunker
I sequestri, le punte, Luca guarda un uomo, vede un simbolo
Ma l’idea che fonda la lotta cresce, lo forgia
Ogni idea che può essere forza, può essere forca
Luca s’informa, la meta precede la folla
La sete segreta nell’ombra, la fede cieca nella colonna
A vent’anni l’idea è una trama distorta, una tana illusoria
Dopo l’impatto del Taylorismo sul terrorismo
L’idea è una dea che guarda la storia e non ricorda
Che l’unico posto a cui porta è il carcere a vita o la tomba…

La musica, qualunque essa sia, quando affronta certi temi è più efficace della politica. E’ anche più chiara, più immediata. D’altra parte le canzoni hanno spesso accompagnato la politica, le lotte sociali e e per i diritti civili, quelle pacifiste, hanno spostato e mobilitato le coscienze, milioni di persone. E poi a pensarci bene, certi brani come Working class hero o Imagine di John Lennon, quanto a radicalità di pensiero sono più robusti di Bandiera Rossa.

Marco Lorenzoni 

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