38 ANNI FA L’OMICIDIO DI PIPPO FAVA. UN MODELLO DI GIORNALISMO, ANCHE PER NOI…

mercoledì 05th, gennaio 2022 / 15:55
38 ANNI FA L’OMICIDIO DI PIPPO FAVA. UN MODELLO DI GIORNALISMO, ANCHE PER NOI…
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CHIUSI – Nella redazione di primapagina, attaccato al muro, c’è un poster che era la locandina di una iniziativa del giornale del 2010. Una mostra fotografico-documentaria allestita in occasione de forum nazionale “Cronache Italiane” a Città della Pieve. Titolo: “Penne spezzate”. Quella mostra, come recitava il “sottotitolo” era un “tributo ai giornalisti, fotoreporter e operatori Tv caduti sul lavoro”.
E quando si parla di morti sul lavoro, parlando di giornalisti, è raro che si tratti di incidenti. Di tragiche fatalità. Il più delle volte si tratta di omicidi. In quella locandina-poster campeggiano 25 fotografie, di altrettanti “colleghi” morti ammazzati nell’esercizio delle loro funzioni. La seconda in alto, è la fotografia di Pippo Fava, ucciso dalla mafia in Sicilia il 5 gennaio 1984. Oggi sono 38 anni esatti. Giuseppe Fava, detto Pippo, era un giornalista vero. Quattro anni prima, nel 1980,  era diventato direttore de “Il Giornale del Sud” di Catania. Il suo unico obiettivo dichiarato era creare un giornale che difendesse i deboli dai soprusi dei più forti, nello specifico della mafia e di tutti coloro che si dimostravano concilianti – se non completamente allineati – nei confronti della criminalità organizzata. Nel 1980 a Chiusi nasceva L’Agorà, un mensile, nato all’interno di una sezione del Pci, ma non “allineato e coperto”, anzi piuttosto critico con l’establishment del partito e con la stessa amministrazione comunale. E l’esperienza di Pippo Fava in Sicilia era considerata un esempio da seguire… Solo che le cose per lui si misero ben presto diversamente.
Messi alle strette dalle inchieste e dagli articoli di Fava e dei suoi redattori, un gruppo di imprenditori vicini ad elementi delle cosche catanesi comprarono il suo giornale e lo licenziarono. A nulla valsero le proteste dei suoi colleghi. Pippo Fava non si diede per vinto e fondò un suo quotidiano, ‘I Siciliani’, dal quale proseguì la sua crociata contro tutti coloro che godevano e lucravano sulla presenza della Mafia come nessuno aveva mai fatto prima. E “i Siciliani” diventò ancor più un esempio da seguire, se non altro come metodo, come approccio. Per fortuna qui da noi, tra Toscana e Umbria, le cose, pur cominciando già allora a prendere una brutta piega, non erano paragonabili al clima della Sicilia…
Il 5 gennaio 1984, però a Catania, Pippo Fava venne freddato – come si dice in gergo –  da 5 colpi di pistola sparati da distanza ravvicinata, alla nuca.  Una esecuzione vera e propria. Nei giorni successivi all’omicidio di Fava l’ipotesi mafiosa non venne considerata come il principale movente dell’omicidio del giornalista. Si legò la sua morte ai problemi economici del suo giornale o persino a motivi passionali. Solo nel 2003 si concluderà l’iter processuale per questo assassinio efferato che porterà alla condanna, tra gli altri, del boss catanese Nitto Santapaola. A sparare al giornalista fu la mafia. Ma non solo la mafia. A tirare il grilletto fu un commando di Cosa Nostra, ma ad armare quel commando furono anche  imprenditori, affaristi, politici. Gente che non gradiva intrusioni nei propri affari, che non amava i ficcanaso, né tantomeno una stampa libera, indipendente, senza padroni…
Per noi di primapagina, che nel 1990 raccogliemmo i cocci e il testimone de l’Agorà e di altre testate successive che ebbero poca fortuna, l’esempio di Pippo Fava è sempre stato e resta una pietra miliare. Nel 2010 volemmo dedicare a lui e a tanti altri colleghi giornalisti ammazzati o fatti ammazzare dalla mafia, dalle Br, dai signori della guerra e talvolta anche dai servizi segreti e da governi senza scrupoli, una mostra e una edizione di Cronache Italiane. Oggi, 5 gennaio 2022, nell’anniversario dell’omicidio, vogliamo ricordare Pippo Fava come uno di noi. Più bravo, più determinato, più tignoso e più sfortunato di noi… Vogliamo ricordarlo come esempio di un giornalismo libero, senza peli sulla lingua e al servizio della comunità.
Noi, nel nostro piccolo, dal 1990 siamo ancora qui, a raccontare ciò che avviene o non avviene in questa strana terra di mezzo. Non abbiamo dovuto fare i conti, per fortuna, con il piombo della mafia. Ma con l’ostracismo di certi poteri e con querele “temerarie” e intimidatorie sì. Decine di volte. Tante volte siamo stati trascinati in tribunale da personaggi che ritenevano di esser stati non tanto diffamati o offesi, ma “lesi nella loro maestà”. Tante volte abbiamo dovuto far fronte a ingenti spese legali per difenderci dalle accuse di chi sapeva in partenza che avrebbe perso in giudizio, ma che non aveva problemi a pagare fior di avvocati. Il tentativo, sempre lo stesso: mettere a tacere una voce scomoda, far vedere a tutti chi comanda e stabilire le distanze tra chi può e chi non può (cioè tra chi può spendere e spandere e chi al contrario può essere costretto a chiudere un giornale autogestito, perché i soldi li ha dovuti spendere per la propria difesa…). E il tribunale non ti garantisce mai il risarcimento, neanche in caso di vittoria. In sostanza il coltelli dalla parte del manico ce l’hanno sempre gli stessi, quelli che possono spendere e divertirsi a querelare i giornalisti. Anche per sfizio. Ma di questo “gioco” parleremo un’altra volta. Oggi vogliamo solo ricordare Giuseppe Fava, detto Pippo, e tutti quelli che come lui hanno fatto una brutta fine per fare bene il loro lavoro.
m.l.
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