EMERGENZA NUMERO UNO: FERMARE LO SPOPOLAMENTO. RIPOPOLARE I NOSTRI PAESI

mercoledì 27th, ottobre 2021 / 11:17
EMERGENZA NUMERO UNO: FERMARE LO SPOPOLAMENTO. RIPOPOLARE I NOSTRI PAESI
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I paesi italiani, quelli lontani dalle grandi città, quelli che stanno sulle colline e sulle montagne, hanno cominciato a perdere abitanti dall’inizio degli anni Sessanta. Da quei paesi la gente emigrava anche prima, ma gli abitanti non diminuivano più di tanto perché comunque c’erano molte nascite.

L’emigrazione portava via persone, ma da un altro lato portava reddito. Molte delle case che vediamo adesso nei paesi sono stati costruite coi soldi dell’emigrazione. Adesso non è più così. Chi emigra non lo fa con l’idea di farsi la casa più grande in paese o di mandare i soldi alla sua famiglia. E si emigra e si fa casa e altrove. Chi resta nei paesi più che abitarli li svuota. Sono gli scoraggiatori, i militanti, i luminari dell’accidia, quelli che lavorano nell’unico cantiere aperto nei paesi, il cantiere della sfiducia. Una situazione molto grave e di fatto ignorata dalle politiche nazionali e regionali.

Più che di politica potremmo parlare di esercizi di stile. Non si combatte lo spopolamento, si dà solo l’idea che si vorrebbe farlo. Le varie strategie messe in campo sono delle sceneggiature fatte e rifatte in attesa di un film che non comincia mai. E gli attori principali, i giovani, continuano ad andare via. Nessun governo si è mai occupato seriamente dell’anoressia demografica dei paesi italiani. E anche adesso che ci sono tante risorse economiche disponibili, anche adesso si capisce benissimo che la transizione ecologica non sarà una transizione verso i paesi.

Questo articolo, apre il numero de L’Espresso in edicola dal 24 ottobre.  L’autore è Franco Arminio, uno dei maggiori poeti italiani. Qualcuno lo ha definito il poeta dell’Italia dimenticata, l’Italia dei paesi, quella minore sempre fuori dalla luce dei riflettori. Lui si definisce paesologo.

Il titolo dell’articolo è “Spopolamento”. E non vi è dubbio che lo spopolamento sia una delle emergenze principali, forse la prima e più drammatica dell’Italia che vive lontana dalle grandi città.

Lo spopolamento attuale è dovuto non solo all’emigrazioe dei cervelli e dei giovani in genere, ma anche e soprattutto all’invecchiamento della popolazione e al calo delle nascite, oltre che al riflusso dell’immigrazione, che rispetto a 10-15 anni fa si è fermata o è molto diminuita, con molti immigrati se ne tornano a casa loro.

Tutto questo è successo e succede anche nel territorio a cavallo tra Umbria e Toscana, nella nostra “terra di mezzo”. E nessun paese è escluso, nemmeno quelli che vivono una sorta di Rinascimento dal punto di vista turistico. Perché il turismo ha fatto nascere e ha moltiplicato le attività (per lo più ristoranti, enoteche, cantinette…), ma ha fatto anche lievitare i prezzi delle abitazioni e non ha dunque portato nuovi residenti. E, nel caso, i nuovi fanno pari (quando va bene) con quelli che se ne vanno.

Laddove il turismo contribuisce di meno al Pil o è solo una chimera, le case costano un po’ meno, ma la popolazione manca lo stesso. Dove il turismo un tempo c’era e adesso non c’è più gli appartamenti sfitti te li tirano dietro, vedi Chianciano, dove si può acquistare casa anche a 600 euro al mq,  ma senza esiti visibili sul piano demografico.

In Provincia di Siena e di Perugia, per parlare della realtà che riguarda il nostro territorio, per esempio, negli ultimi 20 anni, sono cresciuti solo i paesi più vicini alla città, perché hanno fatto da valvola di sfogo per le città stesse. Hanno beneficiato dello spostamento dal centro alla periferia di famiglie che hanno cercato una sistemazione magari più comoda e meno costosa, rispetto al centro storico o alle fasce immediatamente contigue.  In termini di popolazione sono cresciute Monteriggioni, Sovicille, Monteroni d’Arbia, Castelnuovo Berardenga, per quanto riguarda Siena. Corciano, Magione per quanto riguarda Perugia…

Chiusi per qualche anno ha beneficiato della tendenza di abitanti di Roma a cercare casa fuori città, magari in luoghi serviti dal treno, da cui era possibile raggiungere il lavoro in meno tempo rispetto all’attraversamento della città in auto. Poi  Trenitalia ha cominciato a tagliare corse e fermate e ora per andare o venire da Roma ci vuole più che nel 1968… E anche quella tendenza si è affievolita.

Come dappertutto, anche nella zona, a subire di più lo spopolamento sono stati i centri storici, quelli più grandi che si sono svuotati per far posto a bed & breakfast e case vacanze e quelli più piccoli che hanno perso via via tutti i servizi: negozi di vicinato, scuole, asilo, banca, poste, talvolta anche l’ambulatorio medico…

Già vivere in un centro storico, senza garage, con  poca luce solare, pochi spazi aperti, spesso in case disposte su più piani e senza ascensore, è più difficile e complicato, se poi non hai più nemmeno dove fare la spesa o dove pagare una bolletta… chiaro che alla fine la tentazione di andarsene prende il sopravvento. Ci sono centri storici, anche capoluogo di comune, non frazioni, che ormai gli abitanti li contano a decine… non a centinaia o migliaia. E che non hanno più nemmeno un’edicola.

Senza gente (residenti e turisti) le attività chiudono; senza attività e servizi, la gente non ci viene o se ne va… E’ il classico serpente che si morde la coda.

Non è facile, dopo decenni di spopolamento dovuto anche allo spostamento dei servizi fuori dall’abitato, magari vicino a snodi stradali, invertire la tendenza e ipotizzare forme di ripopolamento, come si fa con gli animali selvatici…

In alcune realtà molto marginali, magari di montagna, qualche comune ha provato ad attrarre nuovi abitanti per esempio mettendo in vendita case a un euro o  prezzi pressoché simbolici, a regalare la connessione internet per poter lavorare in smart working. Sono però soluzioni estemporanee,  più di marketing, che reali…

In paesi demograficamente in declino, ma non del tutto marginali (come possono essere anche molti paesi di questa zona) non esistono case da vendere a 1 euro…  e più che qualche specchietto per le allodole, servirebbe una programmazione seria di medio periodo: politiche che salvaguardino i servizi, quelli essenziali e quelli utili (le scuole superiori ad esempio);  ridisegnino e potenzino il tessuto commerciale/artigianale e lo riportino nei centri abitati; politiche che guardino alle esigenze della popolazione sempre più anziana e nello stesso tempo favoriscano le giovani coppie (e non solo le coppie) offrendo soluzioni abitative a costi accessibili, anche sperimentando il co-housing e soluzioni per servizi collettivi o comunitari; politiche che favoriscano la mobilità, anche quella pendolare, sia stradale che coi i mezzi pubblici (strade più sicure e veloci, treni e pullman più frequenti e più comodi); iniziative che favoriscano la mobilità dolce per gli spostamenti limitati. E infine politiche che rilancino fortemente l’attività culturale, sportiva, gli eventi,  in modo da rendere anche realtà medio-piccole attrattive e vivibili con piacere e non con noia…

Questi nostri paesi piccoli, ma non troppo, possono ritrovare vitalità, non solo con il turismo. E possono aspirare ad essere (o tornare ad essere) qualcosa di diverso da semplici dormitori,  o città vuote come quella della canzone di Mina…  Possono (ri)diventare luoghi di vita, di cultura. Piccole macchine pulsanti. Ma servono condizioni economiche e posti di lavoro, serve che chi abita nei paesi si senta cittadino e non estraneo. Non per una questione di campanilismo, ma per senso di comunità. E di piacere di vivere in realtà come queste. Cercando cioè di trasformare in valore e in attrattori il clima, l’ambiente ancora non compromesso, le bellezze dei centri storici e la campagna, la tranquillità, ma anche la possibilità di lavorare e magari vedere spettacoli di qualità, bei concerti, belle partite e nello stesso tempo avere la possibilità di fare sport, fare teatro e musica, partecipare a incontri letterari esattamente come in città più grandi.

Non stiamo parlando della luna. Di cose impossibili. Molte delle soluzioni qui indicate sono temi di cui si è parlato e scritto molto, anche su queste stesse colonne. Ma non solo.

Ovvio che tutto ciò non attiene solo all’attività e alle scelte o non scelte delle pubbliche amministrazioni. Quelle hanno un peso, certo, perché determinano le condizioni per… Così come hanno un peso le politiche regionali e nazionali, troppo spesso disattente verso i piccoli centri e le periferie, se non addirittura vessatorie o penalizzanti.

Per provare a invertire la tendenza e rovesciare il quadro, oggi deprimente, serve uno sforzo concentrico e collettivo di tutte le componenti attive: le istituzioni, le imprese, le associazioni, i comitati, i partiti, i sindacati… Le risorse del PNRR possono dare una mano, anzi possono essere un’occasione irripetibile, ma serviranno progetti fattibili e all’altezza. Si possono ipotizzare politiche comunali e politiche di area per cercare di offrire opportunità maggiori e soluzioni ancora più appetibili… Ci vuole meno tempo  a fare 20 km in Valdichiana o nel Trasimeno che a farne 6 in mezzo a una città. Fare rete è fondamentale. E si può, indipendentemente dai confini regionali e provinciali. Nei paesi “di confine” come Chiusi o Città della Pieve, Castiglione del Lago o Montepulciano, o Cortona il rapporto con chi sta immediatamente di là del fosso è decisivo. Lo è sempre stato.

Solo che i comuni, i partiti, le imprese, gli altri soggetti hanno voglia di misurarsi con queste cose? Finora ci hanno provato a fasi alterne e in ordine sparso. Per lo più ognuno ha preferito coltivare il proprio orticello, a qualcuno è andata meglio, ad altri peggio, ma in genere i risultati non sono stati esaltanti.

In passato ogni tanto la politica provava a riflettere su temi del genere, allora si ragionava su come “governare lo sviluppo” che sembrava dietro l’angolo. Oggi c’è da governare la recessione, la decrescita non molto felice, c’è da arrestare l’emorragia e provare a ripartire su basi diverse. Anche chi non sa più dove mettere i turisti, deve comunque fare i conti con l’assenza di residenti e con servizi sempre più scarsi: non si vive di solo pecorino e vino buono.

Marco Lorenzoni

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