LA POLITICA E L’ECONOMIA. QUELLA LEZIONE DI RICCARDO LOMBARDI NEL ’63…

sabato 28th, novembre 2020 / 16:52
LA POLITICA E L’ECONOMIA. QUELLA LEZIONE DI RICCARDO LOMBARDI NEL ’63…
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Si parla molto, anche adesso, in relazione per esempio al Recovery Fund, di economia da rilanciare, di programmazione e progettualità, di economie di area… C’è stato un tempo in cui anche in Italia la politica si interrogava sulle “Politiche di piano”. Erano gli anni del primo centro sinistra, i primi anni ’60,  gli anni del boom, dopo la ricostruzione post bellica, gli anni in cui l’Italia divenne da paese agricolo in ginocchio una delle maggiori potenze industriali d’Europa e del mondo. La sinistra alle’poca era divisa. Una parte entrava nel governo e una parte, la più consistente restava all’opposizione. Ma nella parte che entrava al governo c’era una componente non ubriacata dal centrismo e allo stesso tempo poco incline al massimalismo integralista del Pci che proponeva riflessioni autonome che oggi appaiono come “oro colato” per una sinistra dispersa, orfana di padri, madri e zii… Esponente di spicco di quella componente fu senza dubbio il socialista Riccardo Lombardi, leader della sinistra Psi, proveniente però dal Partito d’Azione e dalla cultura “azionista”. Un socialista mai tenero coi comunisti, ma mai anticomunista. Partigiano combattente, mente lucida e anche “economista” di rilievo.  Nel 1963, in una Tribuna Politica, Riccardo Lombardi parlava così della “politica di piano”. Mi piace riproporre questa sua esposizione del tema. Mi sembra pertinente e illuminante anche in funzione dei tempi che viviamo. Ecco ciò che disse quella sera a tribuna Politica Ricardo Lombardi

“Vogliamo chiarire questa sera ciò che intendiamo per Politica di piano. Un vecchio termine per una cosa abbastanza semplice. Oggi è il Parlamento che decide le leggi ma decisioni altrettanto importanti che le leggi, sono prese da gruppi privati, dai grandi gruppi di potere economico e finanziario i quali hanno interesse a fare quelle cose dalle quali si promettono dei profitti, non a fare quelle come le scuole, i servizi pubblici essenziali, gli ospedali e le case popolari, dalle quali i profitti non possono essere perseguiti. In realtà da quando questi grandi gruppi economici decidono, le loro decisione si riflettono su tutto l´insieme dei cittadini, da esse dipende se e come sarà amministrato il credito, se a questo potranno accedere anche i piccoli, che cosa rimarrà disponibile per l´agricoltura, quali regioni saranno avvantaggiate e quali no, quali settori produttivi promossi e quali depressi. Ebbene la politica di piano, significa in sostanza il trasferimento di poteri di decisione sulle soluzioni economiche più importanti, alla collettività democraticamente consultata attraverso il Parlamento, inquadrando le iniziative che rimarranno ai privati, in un quadro generale di sviluppo equilibrato dell´economia italiana. Ci si domanda perché questa nuova politica, una volta che la vecchia ha garantito un certo progresso economico. Si risponde prima di tutto che le cose vanno bene per alcuni ma non vanno altrettanto bene per la generalità dei cittadini. Da qui le giuste lagnanze per i salari insufficienti, per le pensioni scarse, per gli alloggi cari, per il costo della vita, per l´insufficienza delle scuole, per la ridicola arretratezza dell´assistenza sanitaria. C´è chi dice che tutto va bene. C’è chi dice che tutto va male, e hanno torto gli uni e gli altri. In realtà, ed è la seconda risposta che diamo a quella domanda, anche il miracolo economico rischia di non prolungarsi se affidato alle forze cosiddette spontanee, difatti le molle che hanno determinato questo sviluppo vanno esaurendosi. Queste sono, come è noto, la riserva dei disoccupati da immettere nell’apparato produttivo, i salari bassi che hanno consentito esportazioni, l´ammodernamento delle industrie che ha recuperato arretramento durante l’autarchia fascista. Questi momenti vanno esaurendosi, a mano a mano che i salari crescono a livelli europei, le industrie si perfezionano tecnicamente, i disoccupati diminuiscono. Bisogna sostituire a queste molle che finiscono, altre molle, altri incentivi, che siano di carattere permanente e che offrano alla produzione italiana obiettivi praticamente non saturabili. Questi soltanto il potere il pubblico può farlo e nello stesso tempo può con la politica di piano, garantire a questa produzione degli sbocchi necessari determinati appunto dall’aumento costante dei redditi dei lavoratori”.

Forse i nostri governanti attuali, alcuni dei quali espressione del partito erede della tradizione socialcomunista insieme a quella del cattolicesimo sociale, democratico e progressista dovrebbero riflettere sulle posizioni di Lombardi del ’63. E dovrebbero farlo anche gli amministratori locali. Almeno quelli eletti nelle liste di centro sinistra. La storia e la politica del passato possono insegnare molte cose a chi avesse voglia di riflettere e ragionarci su…

Marco Bertozzi

 

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