RISCHIO NUOVO LOCKDOWN: MUSICA LIVE E TEATRO I SETTORI PIU’ PENALIZZATI. ANCHE NELLA ZONA SI PROFILA UN AUTUNNO SENZA EVENTI
Il giornalista e noto blogger Gabo (Gabriele Ferraris) sul Corriere della Sera di ieri, sabato 3 ottobre scrive: “E’ tornata l’epidemia vera, e con l’epidemia torna purtroppo anche il mood emergenziale che ci porterà, presto o tardi, a qualcosa di molto simile al lockdown: parziale, immagino, mirato e magari non lo chiameranno neppure lockdown, che sa di sciagura. Ma arriverà, potete scommetterci. I primi a farne le spese sono – e ancor più saranno – i settori “sacrificabili” come lo spettacolo dal vivo, per il quale già adesso il “no” alla deroga sulla capienza delle sale equivale a una condanna a morte. Nella modalità attuale molti teatri, molti cinema, non passeranno l’inverno. Forse sopravviveranno, a stento, le fondazioni pubbliche o semipubbliche, che già abitualmente campano in larga misura di contributi. Ma per gli imprenditori privati non ci sarà scampo”.
E’ un grido d’allarme. Anzi un grido di dolore. Una sorta di campanella per farci sapere che tra un po’ sarà il deprofundis per quello che alla fine dei conti è “il sale o lo zucchero della vita”. Certo si campa anche senza, ma anche il sapore dell’esistenza, senza , è più sciapo, inutile nasconderlo. E£ poi ci sono quelli che il “sale e lo zucchero” in questione lo producono e che rischiano di perdere il posto di lavoro, lo stipendio, oppure – se autonomi e professionisti – i contratti, le scritture da parte di teatri, organizzatori di eventi ecc.
“Eppure – scrive ancora Ferraris – l’esperienza dello scorso inverno dovrebbe averci insegnato qualcosa; convivere con il virus non significa condannarci alla morte civile, o al fallimento economico. Adesso abbiamo l’esperienza e le tecniche per gestire la situazione, per quanto grave sia; senza ricorrere, alla mannaia spannometrica del chiudiamo tutto così ci mettiamo l’anima in pace e il culo al riparo”.
Poi fa notare che “la cultura e lo spettacolo non sono settori omogenei, ma comprendono realtà fra loro molto diverse, che meriterebbero di essere regolamentate con provvedimenti specifici e mirati, tali da consentire a ciascuno, secondo le proprie possibilità, di tentare almeno la lotta per la sopravvivenza. Ciò non accade, e l’eguaglianza assoluta fra diversi produce, come sempre, la peggiore delle diseguaglianze”. La conclusione del blogger torinese è amarissima: “Sia chiaro: comprendo le preoccupazioni, e sono il primo – anche per motivi anagrafici e sanitari – a non sottovalutare il rischio. Ma sempre, nelle grandi tragedie pubbliche e private, il fattore di rischio peggiore ce lo portiamo dentro. Si chiama Panico. Ed è fedelmente accompagnato dal suo gemello scemo, lo Scaricabarile”.
Se nelle grandi città la situazione volge al peggio su questo versante, nei piccoli centri e nelle periferie, nella provincia profonda, come è ad esempio il nostro territorio, la situazione non è certo migliore. I teatri che hanno appena annunciato la ripresa dei laboratori e corsi per adulti e ragazzi e anche qualche spettacolo (il 10 ottobre al Teatro Caos di Chianciano c’è Sebastiano Somma), dovranno fare attenzione. E non è escluso che alcune cose debbano rinviarle a tempi migliori.
Di stagioni teatrali invernali, per ora nessuno parla. Alcune strutture (compresi teatri importanti) fanno sapere che non hanno o non hanno provveduto alla sanificazione e all’adeguamento per rispettare i protocolli di sicurezza anti covid, ma anche che con il distanziamento e la riduzione dei posti, sarà difficilissimo proporre eventi, perché non la platea ridotta, i costi non si coprono… E se sarà difficile andare avanti per le compagnie professionistiche, figuriamoci per quelle semiprofessionistiche o amatoriali… Per gli artisti locali, singoli o associati, le band musicali, le orchestre giovanili ecc, si prospetta una autunno-inverno uguale alla primavera scorsa, quando tutto fu cancellato, chiuso, sospeso sine die…
E’ un dramma per chi ci lavora e ci… campa. Ma è un impoverimento generale. Perché si ferma o rischia di fermarsi anche la produzione di spettacoli e concerti, la creatività, la voglia di esprimere dire qualcosa attraverso la musica o il teatro… Le performance, più o meno improvvisate o più o meno organizzate, su youtube e sui social, possono tenere viva la fiammella, ma non sostituiscono lo spettacolo dal vivo, neanche lontanamente.
Le istituzioni culturali (come la Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano o la Fondazione Orizzonti di Chiusi), i Comuni, le associazioni e i sodalizi musicali o teatrali dovrebbero forse ragionare sulla faccenda e individuare, laddove possibile, soluzioni praticabili, e magari farlo prima che arrivi l’ennesimo DPCM che ci chiude tutti in casa un’altra volta.
M.L.
Grazie per aver messo in evidenza questo problema che depaupera le menti e i cuori di tutti noi. Eppure si poteva non arrivare a questo. Io so di persone che se ne fregano della mascherina, che fanno cene al coperto con molte più persone del dovuto, che organizzano feste, concerti, adunanze private dove non esiste alcuna precauzione. Che continuano a comportarsi come se il virus fosse scomparso. Che hanno rimosso il problema. E tutti con una leggerezza e stupidità che ritrovi in qualsiasi ambiente politico, culturale, qualunquista o impegnato. Per non parlare di quello sparuto ma potente gruppo di no-mask, imbevuti da teorie malsane e rovinose. Ce ne sono anche qui tra noi anche se non si azzardano a fare propaganda per strada limitandosi ai social. Ecco Marco, a tutta questa gente io farei un processo perché loro malgrado sono untori. Sono i NUOVI UNTORI DEL XXI SECOLO.
E’ opinione diffusa che il covid sia solo l’assaggio di quanto verrà nel prossimo futuro se non si attiveranno politiche verdi – di cui al momento non si vede neanche l’intenzione, a nessun livello -. In un quadro così sconfortante, è evidente che occorre ripensare modi e forme di socialità per la fruizione e la produzione della cultura che, seppur abbiano funzionato finora, probabilmente non torneranno più come prima. Il come fare richiede uno sforzo d’immaginazione che può essere solo collettivo.