LA PANDEMIA STA CAMBIANDO IL COMMERCIO. TORNANO IN AUGE I NEGOZI DI VICINATO. MA SERVONO PIANI COMMERCIALI COMUNALI E DI TERRITORIO
La pandemia di Coronavirus ha avuto e continua ad avere effetti pesanti sul tessuto economico che si traducono anche in cambiamento delle abitudini di vita. Coprese le modalità di acquisto e consumo. Uno studio della Confcommercio (precisamente della Federazione italiana dettaglianti dell’alimentazione) ha rilevato per esempio che i cittadini hanno riscoperto i negozi di vicinato.
Il 47% delle imprese del settore ha segnalato infatti un aumento di nuovi clienti. La cautela negli spostamenti, il distanziamento sociale e le altre misure per arginare i contagi di covid 19, inducono i consumatori a comprare on line o vicino casa. Non solo, lo studio segnala anche un aumento forte della tendenza delle aziende a fare consegne a domicilio e ad attivare servizi di asporto. Ormai lo fanno quasi tutti, dai bar ai ristoranti, dalle pizzerie alle rosticcerie, ma anche pescherie, negozi di frutta e verdura e supermercati cittadini (o immediate vicinanze). Molti hanno mantenuto tale servizio anche dopo la fine del lockdown trovando giovamento nelle vendite.
Cresce, secondo lo studio Confcommercio, il numero delle imprese che hanno avviato servizi che prima non offrivano, come la prenotazione spesa tramite email (per il 13,1%), tramite social network (per il 9%) e la vendita per mezzo di piattaforme online (per il 4,7%).
Di fronte alla nuova situazione generale indotta dalla pandemia, ma anche a questo cambio di paradigma nelle abitudini dei cittadini, anche la grande distribuzione sembra muoversi nella direzione del “negozio di quartiere”, intensificando gli investimenti nei centri urbani, piuttosto che continuare a realizzare megastrutture di vendita nelle aree industriali, ai caselli autostradali. Lo studio Confcommercio cita gli esempi di Esselunga, che a giugno ha inaugurato il secondo store laEsse a Milano, una nuova proposta di negozio “di vicinato” per pasti rapidi e piccole spese e quuello di Eni che con gli “Eni Emporium”, prevede l’integrazione di nuovi servizi in alcuni dei 600 Eni Café già presenti nelle stazioni di servizio Eni di tutta un po’ in tutta Italia.
Stazioni di servizio dunque che diventano anche negozi di vicinato, supermercati che tornano nel cuore dei paesi e delle città con strutture più piccole,ma funzionali e “vicine” a dove le persone abitano.
Forse è presto per parlare di fine della sbornia dei grandi centri commerciali nelle periferie, di cambio di strada della grande distribuzione, ma qualcosa sta cambiando, la pandemia sta facendo tornare anche il commercio ad una dimensione “dal volto più umano”…
La crescita esponenziale dell’e-commerce e la riscoperta della spesa vicino casa (per comodità, qualità dell’offerta, e riduzione del rischio assembramenti) stanno imponendo anche ai grandi gruppi commerciali un aggiornamento delle proprie strategie. In America, che come è noto anticipa sempre le tendenze, il ritorno ai negozi di quartiere o di vicinato è cominciato prima della pandemia di coronavirus e anche in alcune capitali europee qualcosa aveva cominciato a muoversi in tale direzione già da da qualche anno.
Adesso l’emergenza covid sta accelerando il processo. Per adesso è soprattutto il settore degli alimentari e dei prodotti di largo consumo a registrare questa tendenza. Ma è indubbio che sia in atto un ripensamento generale del modo di acquistare e anche di vendere.
Solo che negli ultimi 10-15 anni (quindi be prima del coronavirus) i centri abitati grandi e piccoli si sono progressivamente svuotati. Laddove c’erano 50-100 negozi o botteghe artigiane adesso è grasso che cola se ne trovi 10-15… . In realtà tipo Chiusi o Sinalunga, per dire, fino agli anni ’80-90, trovavi 4-5 negozi di scarpe, 3-4 negozi di elettrodomestici, 10 negozi di abbigliamento, addirittura con negozi di nicchia monoprodotto: tipo solo cappelli, o cravatte o camicie; poi potevi trovare librerie e negozi di dischi… adesso se ne trovi uno due per tipologia sei fortunato… E alcuni prodotti fuori dai centri commerciali non li trovi proprio.
Anche trovare un alimentari che ti fa un panino con il salame è un’impresa…
Nel settore “mangereccio” sono numerosi i ristoranti di fascia medio-alta e pure le pizzerie, sono rarissime invece le “osterie” dove trovare, come un tempo, piatti della tradizione locale a prezzi ragionevole e consumabili in tempi rapidi, anche da parte di chi pranza fra un turno di lavoro e l’altro… Qualcosa del genere cominciano a proporlo rosticcerie, pescherie, negozi di alimentari un po’ più attrezzati… Ma siamo ancora ad una fase sperimentale.
I negozi di quartiere (nel campo alimentare) con “mescita” come si diceva una volta e con la possibilità di mangiare, oltre che acquistare cibi pronti da asporto, cominciano a rifiorire, ma il rischio è che siano percepiti come una sorta di buotiques, per chi si può permettere di pagare un etto di prosciutto o un etto di acciughe, il doppio che a al supermercato… La qualità dell’offerta è fondamentale, ovvio, ed è probabile che quella dei negozi di vicinato (una frittura in pescheria ad esempio) sia migliore rispetto alla grande distribuzione ed è ovvio che il prezzo, per una questione di economie di scala non può essere identico. Ma per funzionare, il prezzo deve essere comunque accessibile a tutti, standard e non fuori scala…
Qualcuno anche a livello locale fa notare che se sono più i tattoo center che i negozi di scarpe, forse qualche problema nella complessiva offerta commerciale c’è. Se non ci fossero gli empori dei cinesi, sarebbe complicato anche trovare una spina elettrica o una lampadina. O magari del filo per cucire…
Questo per dire che le nuove tendenze (indotte o meno che siano da fattori esterni, come la pandemia) dovrebbero essere analizzate, studiate, magari assecondate e favorite con piani commerciali aggiornati.
Forse i comuni dovrebbero tornare a stilare piani commerciali, così come fanno i piani regolatori. Piani che individuino le falle, le carenze, le necessità oppure il surplus per poi programmare e indirizzare gli insediamenti e le nuove attività verso i settori con maggiore mercato e nelle zone più idonee… Questo in ambito comunale e di area.
Non si tratta di introdurre sistemi sovietici di controllo sulla produzione e sulla distribuzione, ma di programmare e gestire al meglio l’offerta. Naturalmente di concerto con le associazioni di categoria, i sindacati e tutte le parti sociali interessate.
Qui si è parlato soprattutto di commercio e per lo più di quello alimentare. Ma il problema della gestione dell’offerta riguarda tutti i settori e pure quelli della produzione artigianale e delle manutenzioni e riparazioni, ormai merce rarissima e quasi introvabile. Eppure la necessità non è scomparsa. C’è ancora bisogno di chi può riparare un rubinetto, una finestra, un elettrodomestico… Non tutto si può sostituire in un baleno gettando via il vecchio e comprandone una versione nuova… E non è neanche giusto, come principio, perché l’usa e getta crea problemi di produzione di rifiuti, quindi di smaltimento e inquinamento.
Tra le nuove tendenze c’è anche quella del riuso: per esempio ci sono case e negozi arredati con oggetti di recupero, tipo i pancali da imballaggio riadattati, oppure le cassette per le bottiglie di vino, lampade da capannone o da officina, vecchi bidoni o botti… E’ quasi una moda… Ma anche questo, più che una moda dovrebbe diventare una abitudine consolidata, una scelta consapevole…
In conclusione: il ragionamento è generale e vale per tutti. Ma per rimanere sul locale stretto, a Chiusi tra meno di un anno si voterà per l’elezione del sindaco e il rinnovo del consiglio comunale. Questo tema di un “aggiornamento” dell’offerta commerciale-artigianale, magari attraverso piani studiati e non lasciando tutto all’improvvisazione e alle intuizioni di questo o quell’operatore, potrebbe essere uno dei temi caldi da affrontare nel confronto politico e pre elettorale.Il sindaco proprio oggi ha annunciato la riduzione della Tari per le attività penalizzate durante il lockdown, ed è una misura positiva, che aiuterà le imprese, anche quelle “di vicinato”. Ma una cosa è predisporre misure di emergenza (giustissime), altra cosa è accompagnarle con una programmazione a più ampio spettro e lungo raggio…
m.l.