3 GIUGNO, LA RIAPERTURA DEL “CONFINE”: CHIUSI SCALO E PO’ BANDINO COME BERLINO NELL’89

3 GIUGNO, LA RIAPERTURA DEL “CONFINE”: CHIUSI SCALO E PO’ BANDINO COME BERLINO NELL’89
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CHIUSI – Il 3 giugno è arrivato. Ed è un giorno speciale. Dalla mezzanotte e un minuto  si può infatti “varcare il confine con l’Umbria”. Il lockdown è finito. Sia sul versante toscano (Chiusi Scalo), sia sul versante umbro, Po’ Bandino e Villastrada, primi avamposti di Città della Pieve e Castiglione del Lago il 3 giugno sarà ricordato come il giorno che cadde il muro fatto erigere dal Coronavirus. Un po’ come il 9 novembre 1989 a Berlino.

Sì perché tre mesi senza poter andare a passeggiare a Città della Pieve o sul lungo lago di Castiglione o a fare la spesa nei supermercati di Po’ Bandino per i chiusini sono stati tre mesi di sofferenza. Più che altro psicologica. perché la spesa si poteva fare lo stesso anche a Chiusi. E da quando hanno riaperto anche alla possibilità di passeggiare, due passi si potevano fare anche sulle colline e sui sentieri chiusini. Ma il fatto di non poter andare di là del fosse, pesava. E non poco. Sembrava una privazione crudele.

E c’è un motivo, che vale soprattutto per gli abitanti di Chiusi Scalo. Si perché se i pievesi non amano troppo uscire dalle mura della loro città e come tutti i residenti delle città murate di taglio medievale difficilmente escono e i castiglionesi si sono sempre considerati autosufficienti, come i poliziani, i chiusini della stazione si sono sempre sentiti “gente di mare”. Anzi gente di porto, anche se il mare è lontano. Chiusi Scalo è sempre stata, fin dalla sua nascita a metà dell’800 un “porto di mare”. Un paese di commerci e di trasporti sorto intorno ad una stazione. Come le stazioni di posta del Far West. Come le mining town che si sviluppavano intorno ad una miniera e poi alla stazione della ferrovia che serviva per movimentare persone e minerali…

Trovarsi di colpo, chiusi in casa, senza potersi muovere, senza poter varcare quel confine che poi è un fossetto di bonifica largo 3 metri con la pendenza di 10 cm a chilometro, è stata come la deprivazione di uno “status”, della caratteristica peculiare e dell’identità stessa del luogo. 

Per questo, per i chiusini di Chiusi Scalo è stato più difficile che per i chiusini di Chiusi Città che sono un po’ come i pievesi, più “arroccati” nel loro splendido e orgoglioso isolamento. A Chiusi Scalo è diverso.

Gli stessi commercianti e operatori economici di Chiusi Scalo, falcidiati prima dalla crisi e poi dall’emergenza covid, sono in buona misura non autoctoni. Molti sono originari o abitano tutt’ora nei comuni limitrofi, soprattutto in Umbria. Certo, loro potevano varcarlo il confine, ma era come fare i pesci fuori dall’acquario, perché si son trovati senza gran parte della clientela abituale. Insomma un bel casino.

Da oggi, 3 giugno 2020, il tana liberi tutti! e a Po’ Bandino stamattina, già alle 9,00 c’era un bel movimento. Per i supermercati e i negozi dell’area produttiva a 500 metri da Chiusi Scalo sarà come l’apertura di un rubinetto che porta acqua fresca e salutare, dopo 3 mesi di siccità. Ma anche quelli di Chiusi Scalo ne trarranno giovamento. Come i bar e i ristoranti di Città della Pieve o di Castiglione del Lago.

Chiusi Scalo non ce la faceva più a fare la cittadina autarchica perché non lo è mai stata. Di autarchico basta la squadra di calcio, perché quella fu una scommessa, ma per il resto l’autarchia è una formula che non si addice alla parte nuova di Chiusi. Che è un po’ in disarmo, anche sul piano del commercio e dei servizi, rispetto anche solo a 20 anni fa, ma resta pur sempre una cittadina diversa da tutte le altre del comprensorio sia di qua che di là del fosso.

A dimostrazione del fatto che Chiusi Scalo sia sempre stata un porto di mare, e per questo anche luogo di accoglienza e integrazione vale la pena ricordare che per molti anni il partito di maggioranza, quando si chiamava ancora Pci ha avuto anche in sequenza, segretari di sezione provenienti da Orvieto, Rende, Roma, Firenze e dirigenti o assessori e consiglieri comunali di Castiglion Fiorentino, Foligno, Salerno, Piombino… E anche adesso, il Pd a Chiusi Scalo ha come segretario un ragazzo che arriva da Matera.

Ovviamente tanti, anche tra i promotori di iniziative, associazioni sodalizi di Chiusi Scalo sono umbri, per lo più pievesi e castiglionesi di origine.

L’insofferenza per il lockdown e certe restrizioni, la battaglia fatta anche da questo giornale (oltre che dai sindaci) per la riapertura della “frontiera” a Po’ Bandino e alle Torri non era solo una questione di “spesa alla Lidl”. Era, forse anche inconsciamente, una questione di identità sociale. Di status culturale di un territorio. Che, è vero, da una parte era “illuminato” e dall’altra “papalino”, quindi oggettivamente più retrivo, ma che dai primi del ‘900 è stato un tutt’uno, intrecciato nelle vicende politiche ed economiche e anche nel dialetto, che non è toscanissimo a Chiusi e non è propriamente “perugino” a Città della Pieve o Castiglione del Lago.

Ben vanga dunque questo 3 giugno. Ben venga la fine del “muro” alzato dal coronavirus. Perché poi la riapertura significa che l’emergenza non è più quella di due mesi fa, che il virus fa meno paura (e anche meno morti), che queste terre sono ormai covid free… Certo, alcune accortezze andranno mantenute. Ma già poter circolare liberamente è un tassello di libertà riconquistata. Ci sarà, indubbiamente, chi avrà paura dei milanesi e dei lombardi che arriveranno, o dei toscani in Umbria e viceversa. Ci sarà chi proverà ad alzare altri muri. A chiudere ponti e porti.

Ma Chiusi Scalo, che è sempre stata un porto di mare, a dispetto del nome chiusa non ci può stare: un porto chiuso è una contraddizione in terminis. Checché ne pensi Salvini.

Marco Lorenzoni

 

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