FASE 2, IL TEATRO. QUATTRO CHIACCHIERE CON L’ATTORE NELLO MASCIA

lunedì 04th, maggio 2020 / 18:20
FASE 2, IL TEATRO. QUATTRO CHIACCHIERE CON L’ATTORE NELLO MASCIA
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Di questi tempi pandemici, cinema, teatro, turismo e i settori culturali in genere, sono i comparti in maggiore sofferenza ( e insofferenza). Di teatro abbiamo parlato su questi schermi con Gabriele Valentini, regista teatrale sarteanese, che ha espresso le sue preoccupazioni circa il destino del teatro in un post-Covid ancora tutto da programmare.

Oggi ne parliamo a lungo con Nello Mascia, attore napoletano di lungo corso, un grande amore per il teatro, cui ha dedicato oltre cinquant’anni di vita, e svariati flirt cinematografici all’attivo. Ricordiamo tra gli altri, L’uomo in più, regia di Paolo Sorrentino e La Cena, di Ettore Scola.

In teatro debutta da professionista nel’estate del 1967 ne La Tabernaria di Giovan Battista Della Porta, regia di Mico Galdieri. “Protagonisti”, ricorda Nello Mascia, “i grandi Ugo D’Alessio e Giustino Durano affiancati da un certo Gennarino Palumbo e un certo Enzo Cannavale e poi un gruppo di mocciosi: Franco Iavarone, Tato Russo, Lina Sastri, Ida Di Benedetto, Paolo Falace, Peppe Barra, Armando Pugliese. Le Musiche le faceva un giovane piccoletto sempre sorridente che si chiamava Roberto De Simone.”

Nei cinquant’anni successivi, Mascia interpreta una robusta molteplicità di ruoli, da Luca Cupiello ai personaggi di Raffaele Viviani, i protagonisti di Ionesco, Shakespeare, Molière, Strindberg, Osborne, Pinter, Eschilo, Sofocle, Euripide, Plauto fino ai personaggi nati dalla penna di Manlio Santanelli. Chiacchierare con Nello Mascia è come conversare con il Teatro in persona.

Come stai trascorrendo questi giorni di clausura?

Con un po’ di noia. Qualche momento di depressione. Le poche volte che mi muovo e alzo il culo dal divano devo stare attento a non calpestare la guallera (termine napoletano. ernia inguino-scrotale giunta nella sua fase più avanzata, ndr)  che mi fa incespicare. Ma con fatalismo. Doveva capitarci, siamo stata una generazione tutto sommato troppo fortunata.

Cosa ti manca di più e cosa, invece, hai recuperato

Mi manca il barbiere innanzi tutto. Perché ho i capelli lunghi come la Maddalena. E poi il lavoro. Il 2020 si annunciava come un anno pienissimo. Avevo appena finito le repliche de Il Contrabbasso di Patrick Suskind allo Stabile di Palermo. Ero ritornato in quella città che amo dopo 8 anni, grazie alla nuova direttrice Pamela Villoresi che mi telefonò dicendomi: “qui tutti abbiamo nostalgia di te. Devi tornare!”. E’ stato bellissimo. Ho rivisto tanti cari amici. Sono stato felice.

Avevamo cominciato le prove di Carosone, l’americano di Napoli un mega musical scritto da Federico Vacalebre. Avrei dovuto curare la regia e interpretare il ruolo del narratore. Una produzione importante. Le scene pronte, i ballerini che già provavano da un po’. E poi lo stop. Che peccato. Ci saremmo divertiti tanto.

Poi in estate al Napoli Teatro Festival avrei dovuto debuttare in The Red Lions di Patrik

L’uomo in più, di Paolo Sorrentino

Marber un testo sul mondo del calcio che amo, in coppia con Andrea Renzi. Avremmo rinverdito l’esperienza di L’uomo in piu’ di Sorrentino. Uno spettacolo già in cartellone a novembre al Piccolo di Milano.

Intanto avevo ricevuto dal governatore De Luca l’incarico di svolgere un triennale Progetto Viviani al Teatro Trianon Viviani. Io, sempre orgogliosamente outsider, che entro nelle istituzioni! Chi lo avrebbe immaginato? Niente raccomandazioni, lo dico a petto in fuori. Ma un riconoscimento spontaneo al mio lavoro e alla mia conoscenza dell’opera del grande Stabiese. E questo è l’anno di Viviani. Avrei dovuto omaggiare i 70 anni dalla morte con un nuovo allestimento prodotto dal Teatro Trianon Viviani. Che dolore! Cosa ho recuperato? Una cippa! Inutile fare i poeti. Vorrei recuperare un po’ di crediti che ho con questo e con quello e che nel frattempo hanno approfittato della crisi per dileguarsi.

Di questa emergenza ti preoccupa più il durante o il dopo?

Il dopo sarà tragico. Il Paese vivrà una crisi pazzesca. Le mafie ne approfitteranno

Gabriele Valentini, regista teatrale, proprio su questi schermi ha sottolineato quanto gli operatori dello spettacolo fatichino ad essere identificati come categoria di veri e propri lavoratori. Ti riconosci in questa affermazione?

I lavoratori dello spettacolo da sempre sono una categoria non riconosciuta. Siamo genericamente lavoratori autonomi

Fare il teatro in televisione, su facebook, su Instagram, sulle piattaforme è un modo per far vivere l’arte o per non far dimenticare l’artista?

L’ambiente virtuale, è un ambiente nel quale i teatranti, le prostitute o i baristi, possono fare molta fatica a svolgere la propria professione.

È, o può essere, una lama a doppio taglio. Da una parte c’è la necessità di sentirsi vivi, l’ esigenza anche un po’ egoistica di mantenersi in esercizio. Dall’altra si rischia di non essere presi sul serio, il legislatore non capirà mai che quello è un lavoro che  deve essere retribuito. Inoltre molte istituzioni hanno lanciato dirette chiedendo agli artisti contributi gratis. Ma  le istituzioni, sono le prime che dovrebbero crearsi il problema dell’artista disoccupato. Si rischia di avallare l’idea che un operatore dello spettacolo, teatrale, musicale, un qualsiasi artista, possa anche non essere pagato per fare il suo lavoro. Siamo noi per primi che dobbiamo dare dignità e valore al nostro lavoro.
Ricordiamoci che chi può avere una cosa gratis, non sarà poi disposta a pagarla!

Il Contrabbasso, Patrick Süskind

Non fa una piega. E infatti Il teatro era già sofferente prima, sia per ragioni di de-finanziamento  che per un graduale deterioramento socio-culturale. Nel post Covid intravedi una possibilità di rinascita o  la minaccia di un ulteriore tracollo?

Ripeto col mio amico Max Vado, il teatro è sopravvissuto al 900, ai capocomici, ai cabarettisti negli anfiteatri antichi, al Fus, all’Eti, ai critici, ai raccomandati, alle porcherie del teatro di ricerca, ai critici, ai politici, alle fidanzate dei politici, alla mancanza di dizione, ai truffatori, ai critici, ai sindacati, a quelli della tv, alle mode, alle lobby che si dividono le piazze, alla Siae, ai biglietti omaggio, alle prime a inviti, agli scherzi dell’ultima replica, al personale dei teatri pagato con la tredicesima e gli attori ai minimi sindacali, agli amministratori ladri, ai critici, all’attribuzione dei camerini, agli abbonati, alle bugie,ai critici ,ai premi organizzati dai critici, ai teatri stabili, agli amatoriali, a quelli presi dalla strada, ai capricci, agli sgambetti, ai critici, ai critici che fanno i direttori artistici, ai vuoti di memoria, alle sostituzioni, alle risse, alla drammaturgia scritta male, ai critici, al signore che russava in sala, al signore che rispondeva al cellulare, al signore che tossiva, al signore che starnutiva, agli improvvisati diventati famosi con una soap orrenda ,ai critici, ai critici che non sanno scrivere, alle scarpe strette, alle tournée scavalca montagna, ai ristoranti, ai direttori artistici capitati lì per caso, agli attori cani, alla fame, ai gatti morti lanciati in scena, ai camerini freddi, ai balsami e ai de fusco, ai critici, e ora,cosa volete che sia una pandemia?

Bè, è una corsa a ostacoli con vittoria finale che fa ben sperare. E a proposito di rinascita, l‘inverno scorso Vincenzo Salemme ha riportato il teatro in televisione. Credi che questo possa essere un canale da  sperimentare o bisogna concentrarsi su un nuovo modello di teatro?

Il teatro in televisione è una formula interessante di intervento culturale. Può aiutare il teatro a essere più amato, a diffondere la cultura teatrale, a far conoscere questo o quell’attore. Tutte cose che la RAI anni 60 fece con continuità. Il teatro del venerdì. I grandi sceneggiati con grandi attori di teatro.  A proposito di RAI una breve digressione. In questi giorni c’è un grande dibattito sulla condizione dei lavoratori dello spettacolo, e un rinnovato spirito di categoria. Nascono come funghi gruppi sul web di discussione sulle azioni da prendere nei confronti del ministero. E io mi sono permesso di intervenire con la seguente proposta:

Qui bisogna puntare al cuore. C’è una disaffezione nei confronti del teatro che bisogna combattere. E la disaffezione parte dalla prima azienda culturale italiana che è la RAI. E’ la RAI che orienta i gusti e le scelte. La RAI che paghiamo noi. L’attacco frontale va fatto nei confronti della RAI. Sono anni che ci si lamenta di una RAI che rincorre i modelli della televisione commerciale invece di assolvere i suoi impegni istituzionali di servizio culturale pubblico.

Questo è un momento di cambiamento? E allora che si cambi davvero. La RAI deve essere un SERVIZIO CULTURALE. Uno strumento per arricchire culturalmente il cittadino. E allora: CHE RIVOLUZIONE SIA. La mia utopia è che gli attori si battano non solo per le proprie giuste rivendicazioni di categoria, ma per un cambiamento epocale della prima azienda culturale italiana.

Non più una RAI alla rincorsa di lucrosi spot pubblicitari ma una RAI al servizio della cultura. Un CdA RAI con un rappresentante degli Attori, degli Scrittori, dei Musicisti. Una RAI completamente fuori dalla politica. Un’utopia. Ma è l’unica battaglia che mi sembra giusta.

Ritornando al teatro in tv. La televisione può solo far bene al teatro – non tanto come veicolo di emozione ma come strumento di conoscenza e affezione. Ma non è teatro. Il comparto non a caso si chiama “Spettacolo dal vivo” perché va fatto dal vivo. Il teatro è fisico. Perché è fatto di vicinanza, di ore di prove, di involontari ma inevitabili sputazzi in faccia al mio collega, di sale gremite di persone sudate. Comunicazione e partecipazione. Il teatro è dire “mercoledì vado a teatro”, forse vestirsi bene, prendere la macchina o l’autobus e andare lì, con gli altri che hanno deciso di andare lì, e che non possono essere da nessun’altra parte. Condivisione, carne e ossa.  Quindi il teatro adesso non c’è.

Questa è l’evidenza e voglio rispettarla. Accettare questo momento di silenzio, che vede il cancellamento di molte altre professioni in Italia e nel mondo. Aspettare e, se ne abbiamo voglia, pensare a cosa significa per noi un mondo in cui il teatro è assente, anche come fruitori. Pausa.

Attori Indipendenti

Parliamo del progetto Attori Indipendenti di cui sei co-fondatore. Di cosa si tratta?

Si tratta di una follia. Il teatro vive da sempre uno stato di crisi perenne. Lo è stato prima di questo flagello che ci ha colpiti. Lo sarà dopo. Forse anche con maggiore drammaticità. In risposta a questo crescente  disagio e smarrimento nel 2016 mi venne un’idea che comunicai ai miei amici più fidati, gli amici attori con cui avevo avuto un rapporto più duraturo. E così nascono gli ATTORI INDIPENDENTI. Un gruppo spontaneo formato da attori che riconoscono la propria storia nell’altro, che riconoscono nell’altro le ragioni poetiche della propria scelta di vita. Gli ATTORI INDIPENDENTI nascono con pochi concetti chiari: rivendicano un’idea di teatro che restituisca all’attore la dignità e la centralità dell’attività creativa; sono convinti che l’unica rivoluzione possibile sia quella di fare spettacoli belli di cui il pubblico si innamori; partono con niente. Nessun produttore. Senza aiuti, senza coperture, senza protezione. Si affidano al botteghino. Attori da una parte. Spettatori dall’altra.

Attori Indipendenti potrà sopravvivere senza un minimo di finanziamento esterno come si è imposto di fare prima della pandemia?

Gli Attori indipendenti si tengono lontani dalle istituzioni ma non rifiutano aprioristicamente i finanziamenti delle istituzioni. Le istituzioni hanno il compito di distribuire danaro pubblico. Se un’istituzione individua gli Attori Indipendenti come struttura adatta a realizzare un determinato progetto, e assegna ad essi un fondo per la realizzazione, ben venga. Vuol dire che quella istituzione – per una volta – ha assolto bene la sua funzione distributrice di danaro pubblico.

Nella fase 2 non si è parlato di riapertura di Cinema e Teatri. Neanche una data possibile. Come sopravviveranno, secondo te, tutti gli operatori del settore?

Il settore si sta organizzando in gruppi e associazioni. Varie le richieste alle istituzioni.  Le fondamentali sono:istituzione di un reddito di sostegno per tutti i lavoratori dello spettacolo esteso fino alla ripresa delle attività. Impiegare il FUS ordinario per saldare tutte le retribuzioni e i cachet insoluti prima dell’emergenza sanitaria. Regolamentare con urgenza il diritto d’autore e d’immagine per gli spettacoli in streaming, aprendo un tavolo di consultazione e trattativa per il settore insieme al MiBact, ribadendo con forza l’unicità e l’irripetibilità dello Spettacolo dal Vivo ,affinché lo streaming rimanga eccezione e non diventi norma.

Cosa dovrebbero o potrebbero fare le dirigenze politiche per sostenere la rinascita del teatro?

Per il momento siamo in attesa. Non mi fido per niente di Franceschini autore del decreto di 4 anni fa che cancellò 300 imprese teatrali e creò il mostro Teatro Nazionale. Mi fido dell’attivismo di molti colleghi che si stanno attivando con passione. Come ho detto prima, la RAI dovrebbe essere un veicolo fondamentale di divulgazione del teatro presso i cittadini.

Inoltre il mio Progetto Viviani al Trianon Viviani prevede anche un intervento per avvicinare lo spettatore al teatro, che auspica il coinvolgimento della scuola. Il progetto è piaciuto molto alla Regione ed è stato immediatamente finanziato. Purtroppo ora è sui blocchi di partenza, e questa è un’altra cosa che mi addolora tanto.

Un progetto che richiama alla formazione del lettore ma forse inedito in teatro. Ringraziamo e salutiamo Nello Mascia con alcuni punti e spunti del suo Progetto di Formazione di un pubblico teatrale consapevole e partecipe: colmare o contribuire a ridurre la disaffezione e il disinteresse per il teatro che si riscontra sempre più massiccio nella società contemporanea. Uno dei fattori che ha determinato la crisi del teatro è la preoccupante perdita da parte dello spettatore di punti di riferimento per la valutazione di uno spettacolo.

La perdita di quel criterio di base a cui associarsi o dissociarsi.

Un progetto destinato soprattutto al mondo dei giovani delle scuole secondarie e dell’università, ma che può anche essere esteso a qualsiasi cittadino che senta la necessità di approfondire la cultura teatrale più specificamente. Un progetto che nasce non con l’obiettivo di formare dei nuovi attori, bensì per far capire che cos’è il teatro.

Vorremmo che il teatro diventasse il territorio libero dell’intelligenza di una città.

E noi, non potremmo essere più d’accordo…

Elda Cannarsa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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