IL TEATRO E LA CULTURA DOPO L’EMERGENZA. GABRIELE VALENTINI: “QUANTO E’ DIFFICILE FARSI CONSIDERARE LAVORATORI!”
Una settimana fa, su queste stesse colonne abbiamo avviato una riflessione sugli effetti dell’emergenza Covid sull’economia e sulla vita sociale, anche in questo territorio. Nell’articolo si parlava anche di settori non esattamente economici, ma che coinvolgono centinaia di persone, producono reddito e soprattutto producono “qualità della vita”, come lo sport, il teatro, la musica… E in conclusione si facevano anche alcune proposte, non tanto per la ripresa o ripartenza che verrà, quanto per sopravvivere in questa fase di “clausura” e magari per sfruttarla per allenarsi e sperimentare linguaggi e modalità diversi che potrebbero rivelasi utili anche una volta tornati alla normalità. Tutto ciò per non disperdere un patrimonio, per non vedere squadre sportive o compagnie teatrali, band musicali,costrette al rompete le righe e al si salvi chi può… Qualcuno tra gli interessati ha risposto a margine dell’articolo in questione (Carlo Pasquini, per esempio), altri lo hanno fatto con messaggi privati o conversazioni telefoniche… Qui sotto pubblichiamo oggi la riflessione di Gabriele Valentini, regista teatrale sarteanese. Un addetto ai lavori. Una delle tante “eccellenze” del territorio che da anni producono intrattenimento e cultura. E che ha già sperimentato oltre al teatro e al palcoscenico, anche altre forme di espressione come il cortometraggio, ad esempio…
Ecco cosa scrive Valentini:
Carlo Marco,
ho letto l’articolo sul futuro del teatro che pubblicato qualche giorno fa da primapagina, volevo rispondere tra i commenti poi mi sono reso conto che sarebbe uscito fuori “un pippone” e ho desistito. Tuttavia mi è rimasto un ronzìo in testa, al quale proverò a dare forma. Il problema del teatro, e più ampiamente, dei mestieri legati all’aggregazione ai tempi del corona virus, esiste, sono perfettamente d’accordo con te, non sappiamo ancora quali saranno “le regole” alle quali dovremo sottostare, ma sicuramente cambieranno non di poco le nostre abitudini. Nel tuo articolo fai un invito a inventare nuove forme, magari utilizzando lo streaming come forma di diffusione, rendendolo meno amatoriale ovviamente, e questo è uno stimolo al quale, personalmente, sto lavorando, in questo periodo di stop forzato. Alla tua riflessione generale, però, mi viene da aggiungerne un pezzo: da quando è iniziata l’emergenza Covid, sulla rete è stato un proliferare, quasi immediato, di dirette, piccoli filmati, letture, esibizioni musicali, ecc… tutte iniziative, come dici tu, lodevoli, non sempre belle dobbiamo ammetterlo, ma comunque con una funzione “sociale”, almeno nelle intenzioni.
Dico questo perché, a tratti, soprattutto all’inizio dell’emergenza ho avuto come l’impressione che ci fosse una corsa a non farsi dimenticare, da parte di noi artisti (non mi piace questo termine, ma per convenzione lo userò), quasi come se avessimo paura di cadere in un oblìo che la pandemia minacciava, è solo un’impressione che può essere sbagliata, lo so, ma tuttavia non è da escludere, perché diciamolo, noi, chi vive di questo mestiere, siamo precari per definizione e chi può essere gettato nel dimenticatoio meglio di un precario?
Questo interrogativo mi porta dritto dritto verso un’altra riflessione, solo apparentemente slegata, che riguarda il mondo del lavoro, di questo lavoro intendo, che, chiariamoci non è molto diverso dal lavoro di qualsiasi altro artigiano, con la differenza però che ad altri artigiani , che so, tipo il falegname, non viene chiesto “si, ma di mestiere che fai?” Il tavolo, la libreria ecc. li vedi, li tocchi e quindi è più semplice capire. Gli operatori nel mondo dell’arte, che siano registi, attori, scrittori, musicisti, pittori, fanno parte di una categoria che spesso non viene identificata come un vero e proprio lavoratore, questa emergenza ha però evidenziato l’importanza di questo settore (avrei voluto vedere una quarantena, senza libri, musica, film ecc.) e questa forse è l’occasione per farlo capire.
La grande generosità che questo settore sta dimostrando nel mettere a disposizione gratuitamente il proprio materiale è indubbia, ma la domanda che mi faccio io è: non è che questa generosità, questo mettere a disposizione il proprio materiale, questo inventarsi velocemente, il proliferare di clip, di letture, di esibizioni, recitative o musicali, siano alla fine controproducenti? Perché se siamo noi per primi a lanciare il messaggio che basta mettersi di fronte ad una telecamera di un telefono, poi alla fine non ci lamentiamo se qualcuno a fine emergenza continuerà a non capire e a chiederci che mestiere facciamo. La penso così. Con una piccola precisazione: quando scrivo che spesso non veniamo identificati come lavoratori non intendo solo da “l’opinione generale” ma anche da chi avrebbe il dovere di tutelarci in quanto lavoratori, magari non era chiaro o forse sì.
Grazie per la pazienza e per aver sollevato l’argomento nel tuo articolo.
Gabriele Valentini
Condivido in pieno quanto dice Gabriele. Nel nostro territorio si usa a dismisura la parola cultura e arte e artisti e in certi casi tanto è stato fatto. Quando poi si tratta di aiutare, sovvenzionare, responsabilizzare realtà territoriali che hanno dimostrato con i fatti il loro valore, che hanno dedicato lavoro, ore e ore di lavoro, per creare un mondo di giovani e bambini attorno a loro che si dedicasse e comprendesse quanto il mondo merita un apprezzamento e una dedizione, ci si è quasi sempre voltati dall’altra parte, preferendo chiamare e pagare i nomi televisivi, dando incarichi politici a incompetenti e via così. Quello che il virus ci toglie massicciamente e gravemente non ci era mai stato pienamente riconosciuto prima. Giustamente gli ospedali sono al centro della speranza e del riconoscimento generale, ma i teatri, che a modo loro sono ospedali della cultura e della mente, nemmeno se ne parla e degli artisti ancora meno. Buon 25 aprile !
Sul “perfido” whatsapp circola una vignetta con Conte che annuncia: “Potrete andare a teatro solo se gli attori sono vostri congiunti” e sotto aggiunge: “cioè come al solito”. Subito ho riso ma poi ho ri-riso amaro. Il teatro è sempre esistito ma si è ri-orgranizzato più volte nella sua lunga storia, tanto che l’edifico teatrale è persino scomparso per un millennio dalla fine dell’Impero romano fino al Rinascimento. Una costante è però rimasta nel tempo: il teatro si fa dal vivo e credo sia l’unica strada percorribile. Negli stessi contenitori borghesi, su poltroncine scomode e con un “magico” sipario davanti? Con le stesse modalità? Dubito. Gli ultimi 30-40 anni sono stati un vero stillicidio, con un divario sempre più ampio tra una vecchia modalità e nuove esigenze da parte di un pubblico la cui attenzione e i cui “bisogni” stavano mutando. Giuseppe Verdi ricercò, rinnovandosi costantemente, il contatto con il pubblico e cambiando più volte pelle nel corso della sua lunga vita artistica. Forse il Coronavirus sta rappresentando la mazzata che ci voleva per ripensare il rito assuefatto di un teatro ormai anacronistico ma che deve però sempre passare dal contatto umano diretto. Non a caso il teatro più vitale è rimasto quello “locale” – cosi ben rappresentato da Valentini – più cura ed educazione dell’anima, più respirazione bocca a bocca fatta ad un’umanità consumistica e plastificata, che Arte somma del grande mattatore o del regista genio e sregolatezza, ambedue contaminati dal virus del narcisismo compulsivo.
Di questi tempi trovo spesso irritanti i tanti contributi video, quasi poco dignitosi nella richiesta di attenzione, quando invece è la “necessità” che dovrà farsi largo, la necessità che il contatto umano sia riannodato con gli strumenti che da sempre il teatro sa attivare. Come? Francamente non lo so ma lo dovremo scoprire tutti assieme, cercando di capire cosa c’è dietro l’angolo di questa fase storica di cambiamento profondo.
Altro discorso è quello legato al lavoro. Il teatro, quindi i performer, i registi, i tecnici e tutti quelli che lo rendono possibile devono campare. E se non campano, non potranno continuare il loro lavoro nel futuro. Già da tempo anche in Italia avrebbe dovuto esserci l’ “Intermittence”, strumento che in Francia tutela il lavoro dei teatranti e li protegge dalla già normale incertezza (garanzia anche della loro libertà). Spero che il Coronavirus, oltre a tanti guai e lutti, ci possa portare, come risarcimento, questo strumento di civiltà e di tutela dei teatranti.