TRIBUTO POSTUMO A LUCIANO PELLICANI E AL SUO SOCIALISMO LIBERTARIO
Sabato scorso è morto a Roma Luciano Pellicani. Chi se lo ricorda? Chi ha più o meno la mia età, alla notizia avrà avuto un sussulto. Chi era ‘sto Pellicani? Sì, perché il nome negli anni ’70 era in voga. Poi se ne son perse le tracce. E il nome si è perso nelle nebbie del tempo… Eppure era una delle menti più lucide della sinistra. Soprattutto di quella sinistra radicale, libertaria, socialista, che non era non comunista. E negli anni in cui l’egemonia culturale ce l’aveva il Pci (non solo nei giornali, ma anche nella letteratura, nel cinema e nell’arte e perfino nella musica)Pellicani era una mosca bianca. Che però riuscì a porre sul tappeto questioni fondamentali. Ed è un peccato che poi la sua analisi sia andata disattesa se non irrisa, come molte altre. Era un giornalista, sociologo e docente universitario e nel 1978, qualche mese dopo l’uccisione di Moro, con il Pci e il Psi che si erano fronteggiati e osteggiati sulla questione della “fermezza” o della “trattativa” con i brigatisti, l’Espresso, il settimanale della sinistra “radical” pubblicò un saggio intitolato “Il Vangelo Socialista”, firmato dall’allora segretario del Psi Bettino Craxi, su Proudhon, il protosocialista francese, che riportava in auge un socialismo antiscientifico, libertario, e non violento che rompeva con il comunismo di tradizione marxista e leninista ed apriva la strada a un socialismo liberale e riformista della tradizione Turati- Matteotti- Rosselli. E appunto Proudhon.
Noi che nel 1978 avevamo vent’anni e poco più discutemmo molto quella tesi. E non ci piaceva. Non ci piaceva soprattutto perché l’aveva proposta Bettino Craxi che per noi era un macigno inderigeribile.
In realtà colui che aveva ispirato quella “svolta” era stato Luciano Pellicani che dalle colonne della storica rivista socialista “Mondoperaio” insieme a Norberto Bobbio erano anni che lavorava e disquisiva sul socialismo libertario, rispetto a quello di stampo comunista… E soprattutto rispetto al socialismo totalitario.
Oggi, a distanza di tanti anni lo posso anche dire: all’epoca eravamo tutti contro la svolta proudhoniana, ma quel’idea di socialismo libertario, non dogmatico, e non legato alle previsioni errate sulla fine del capitalismo, non ci dispiacevano affatto.
Non ci piacque – ed eravamo contro per questo, noi giovani comunisti – l’uso che Craxi e il craxismo rampante fecero di quelle teorie in funzione anticomunista, anti Berlinguer per intenderci… Ci sembrò un’escamotage di bassa lega per uscire da un’impasse e conquistare un quarto d’ora di audience e qualche consenso a buon mercato in un mondo che aveva appena vissuto il ’77 carrarmati per le strade a Bologna e che vedeva nel Pci un “puntello del potere costituito”.
Ma Luciano Pellicani non aveva tutti i torti.
E, apprendendo la notizia che se n’è andato alla soglia degli 80 anni, a me personalmente viene da pensare anche ad un altro aspetto della figura di Pellicani. Che è un merito, non comune a quell’epoca e tra i suoi prossimi: il merito di non cavalcare mai il successo del nuovo socialismo, di non chiedere prebende e posti nel potere socialista, preferendo rimanere fedele alle proprie idee rigorose nella stagione in cui molti profittavano dei successi del craxismo.
Essere di sinistra non significa essere per forza comunisti. Oggi più che mai, con le incognite del dopo emergenza coronavirus (ammesso che l’emergenza venga superata) sul piano economico e sociale, con il sistema capitalistico e liberista che sta facendo acqua da tutte le parti, forse servirà qualche iniezione di socialismo, qualche pillola di libertarismo e di egualitarismo non dogmatico, non coercitivo per uscire dalla malattia.. Le analisi di Luciano Pellicani forse possono tornare utili, anche se son passati 40 anni.
Ti sia lieve la terra, compagno!
Marco Lorenzoni
Luciano Pellicani. Anch’io in quegli anni lì, che tu hai citato leggevo a volte Pellicani e devo essere sincero, pur riconoscendo che nelle sue riflessioni aveva molti argomenti su cui discutere, riflettere, oggi sicuramente tornati d’attualità, avevo dei pregiudizi. Non tanto fumosi ideologici, quanto il suo stare a fianco di Craxi. Quell’uomo lì, io lo vedevo e ancora oggi ne sono convinto, come un uomo in grado di fare qualsiasi cosa pur di costruire un suo potere. I fatti politici, giudiziari, che sono seguiti negli anni oramai lontani, mi hanno dato ragione. Un uomo, un intellettuale che pensava profondo come lui, non poteva stare alla corte di quel personaggio. Certo anch’io di recente sono tornato a rileggere Turati e l’ho trovato attualissimo in particolare sulle questioni della costruzione dell’Europa federale. Una cosa assai diversa dall’attuale assetto europeo, che oltre alla moneta unica non pare voglia andare. Oggi su quei pensieri, soprattutto dopo che anche un grande magnate come Bill Gates, ha detto a chiare note che un Diritto come la sanità e io aggiungo anche la scuola e molti altri, debbono essere gestiti da un potere pubblico, altrimenti non ci sono garanzie uguali per tutti, sarebbe utile tornare a ragionare. La pandemia, se le forze progressiste la sapranno gestire in termini politici e culturali, potrebbe rappresentare un detonatore per far saltare molti dei valori su cui si è costruita l’economia degli ultimi quaranta anni e che tanti danni ha creato all’ambiente e al genere umano, soprattutto nel Sud del mondo. Iniziare a discutere di come costruire un modello economico diverso da quello liberista, una diversa globalizzazione, perché l’attuale appare molto simile nei principi al vecchio colonialismo. Un modo di intendere la produzione, l’economia che non prevede il tener conto di chi lavora. Una sconvolgimento epocale certamente, che ha permesso a un popolo come quello cinese di diventare protagonista sulla scena internazionale, anche se questo non rientrava nei piani dei Chicago boys della scuola monetarista di Milton Friedman, che l’avevano ideata. Potrebbero venire in soccorso per questa grande opera di ripartenza le idee dei due premi Nobel in economia 2019 Abhijit Banerjee e Esther Duflo.